Butto o mangio lo stesso? Come regolarsi dopo la data di scadenza di un alimento

DATA DI SCADENZA

Cos’è e come va letta la data di scadenza per non sprecare cibo e non rischiare problemi di salute: il giusto equilibrio  attraverso il parere del professor Giacinto Miggiano, direttore del Centro nutrizione umana dell’Università Cattolica di Roma.

Buona parte del budget familiare è dedicato alla spesa, al cibo in particolar modo. In tal senso grande importanza è rappresentata dalle date di scadenza degli alimenti che vanno  tenute in grande considerazione, sia per evitare sprechi che per la salute di chi li ingerisce. Ma quando è necessario buttare il cibo scaduto? Basta guardare le date di scadenza riportate sulla confezione degli alimenti o c’è un periodo entro il quale è ancora possibile consumarli?

Cos’è la data di scadenza

La data di scadenza è riportata sull’etichetta dei prodotti in commercio ed indica il termine entro il quale, per la casa produttrice, andrà consumato l’alimento. Va precisato in tal senso che può trattarsi di un’indicazione volta a sottolineare entro quando il prodotto manterrà il proprio gusto, la consistenza e la capacità di buona riuscita di una piatto o di una data dopo la quale si può avere il deterioramento totale dell’alimento e correre qualche rischio nel consumarlo. Ecco dunque che torna l’interrogativo sul consumare o meno un cibo anche qualche giorno dopo la data di scadenza indicata.

Iniziamo col dire che i prodotti per i quali è prevista la data di scadenza sono:

  • prodotti in scatola;
  • pasta e riso;
  • cracker;
  • biscotti;
  • spezie;
  • latte e formaggi confezionati;
  • uova;
  • salumi confezionati.

Non vi è invece una obbligatorietà nel riportare la data di scadenza per:

  • frutta e verdura fresca;
  • prodotti da forno;
  • prodotti di pasticceria;
  • zucchero;
  • sale;
  • aceto;
  • vino.

Si ricorda che sulle etichette possono essere riportate varie diciture per indicare la data di scadenza. Quando si trova scritto “consumare preferibilmente entro” si fa riferimento alla data oltre la quale l’alimento perde le proprie qualità nutrizionali che, giorno dopo giorno, potrebbero progressivamente diminuire. Tale dicitura viene anche definita con l’acronimo Tmc, Termine minimo di conservazione, il che sottolinea come oltre la soglia indicata il prodotto non vada necessariamente buttato. Quando, invece, è presente sull’etichetta la scritta consumare entro il oscade il, si fa riferimento alla data entro la quale l’alimento deve essere necessariamente consumato per non correre anche rischi di salute.

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Una valanga di sprechi

Comprendere in maniera ottimale il meccanismo delle date di scadenza permette di evitare gli sprechi. Nel mondo, secondo quanto riportato dal Centro comune di ricerca della Commissione europea, viene buttato il 17% di quanto viene coltivato e, nel 2021, l’Italia da sola ha sprecato circa 270 tonnellate di cibo. Si tratta di un valore fortemente negativo per il nostro paese, che con questi dati risulta essere il peggior membro europeo negli ultimi venti anni in tema di spreco alimentare. Questa situazione si ripercuote inevitabilmente anche sull’economia del paese e sulla sua gestione ambientale, con molti ettari di terreno coltivabili che vengono utilizzati per la produzione di alimenti che verranno successivamente scartati o buttati.

La catena dello spreco non interessa però soltanto il consumatore finale (post-consumer waste), ma l’intera filiera (pre-consumer waste): dalla raccolta di prodotti alimentari, alla produzione, alla lavorazione industriale fino ad arrivare alla ristorazione e alle mense. Lo spreco è spesso legato a motivi di vendita più che di qualità dei prodotti, con alcuni prodotti che vengono scartati perché ritenuti non sufficientemente idonei ai canoni di bellezza del mercato. Non a caso lo spreco alimentare, in Italia come all’estero, riguarda soprattutto prodotti freschi come frutta e verdura, ma anche carne, pesce, cereali e formaggi.

Come ampiamente detto, l’Italia non gode di buona fama in Europa in tema di sprechi. La quantità di cibo sprecato nel nostro paese è stata così alta da portarci, dal 2000 al 2017, in vetta alla classifica dei paesi che buttano maggiormente i propri prodotti alimentari. Dopo l’Italia, in piazzamenti non certo gratificanti, troviamo la Spagna e la Germania. A fornire questi dati è il metodo di ricerca del JRC applicato da Eurostat che prevede che tutte le nazioni europee comunichino annualmente i dati relativi alla produzione di rifiuti e di scarti, sia durante la fase produttiva che in quelle della filiera. Tale sistema dovrebbe permettere, in ottica futura, agli Stati europei di raggiungere gli obiettivi di transizione ecologica del Green deal europeo.

Quando buttare il cibo?

Compresa la necessità oggettiva di sprecare di meno, possiamo tornare alle date di scadenza ponendo in questo caso il focus su quale sia il momento nel quale è necessario buttare il cibo. Qual è il limite tassativo oltre il quale si rischia di ingerire un alimento nocivo per la salute? Per rispondere a questa domanda facciamo riferimento a quanto detto dal professor Giacinto Miggiano, direttore del Centro nutrizione umane dell’Università Cattolica di Roma, in un suo intervento sul magazine della “Fondazione Umberto Veronesi”.

Secondo il professor Miggiano, “la commestibilità di un alimento, superata la data di scadenza riportata sulla confezione, è essenzialmente correlata alla natura del cibo stesso che ne determina anche la deperibilità più o meno lunga dal momento della produzione a quello in cui viene posto in tavola”. Tutto dipende dunque dal singolo prodotto e dalle diciture riportate sulla confezione con le sopracitate differenze.

Il professor Miggiano ha fornito indicazioni con specifico riferimento a singole categorie di prodotto:

  • Yogurt, può essere consumato fino a 6-7 giorni dopo la data di scadenza. L’alimento mantiene quasi del tutto inalterate le proprietà organolettiche (colore, sapore, odore, consistenza, tessitura), ma perde in parte quelle nutritive originarie (come ha dimostrato peraltro anche lo studio di laboratorio condotto dal Salvagente sui fermenti lattici);
  • Latte fresco, da consumarsi, sia nel caso del pastorizzato che in quello pastorizzato di alta qualità, entro i sei giorni successivi a quello del trattamento termico. Per il latte microfiltrato fresco pastorizzato, invece, la prescrizione è  di consumarlo entro il decimo giorno successivo a quello del trattamento termico. Andare oltre queste soglie rende l’assunzione pericolosa per la possibile presenza di tossine;
  • Formaggi stagionati e a pasta dura, per i quali è bene considerare il fatto che oltre la data di scadenza potrebbe comparire della muffa. Il professor Miggiano invita però a non preoccuparsi, per ingerire l’alimento sarà sufficiente rimuovere la muffa in quanto la sua presenza non vuol dire che il prodotto sia avariato. Anche in questo caso può venire in aiuto uno studio di laboratorio realizzato dal Salvagente che mostrava come Nel caso di formaggi stagionati, come  la concentrazione delle muffe all’interno della parte di formaggio dove non era presente muffa visibile aveva una concentrazione non rilevante di microrganismi.
  • Formaggi freschi, per i quali è espressamente consigliato di attenersi alla data di scadenza indicata sulla confezione. Lo stesso discorso vale per tutti gli altri latticini;
  • Uova, per le quali la deperibilità dipende anche dal tipo di cottura. Per assumerle crude o alla coque sarebbe meglio non eccedere i 3 giorni successivi alla data di scadenza. Nel caso in cui si decidesse di friggerle si potrà invece arrivare anche ad una settimana dalla scadenza indicata.
  • Pesce e piatti surgelati, consumabili anche due mesi dopo la data di scadenza riportata sulla confezione, purché però siano stati conservati correttamente. Nel caso dei gamberetti surgelati crudi, destinati a ricette che non ne prevedono la cottura, è buona norma rispettare il termine minimo di conservazione per non rischiare una eventuale listeriosi (malattia infettiva). Se invece la ricetta ne prevede la cottura, si può andare tranquillamente oltre il tempo minimo di conservazione;
  • Pesce in scatola, consumabile anche entro 1 o 2 mesi dalla data di scadenza;
  • Pasta secca e riso, consumabili anche qualche mese dopo il termine indicato sulla confezione;
  • Biscotti secchi e cracker, consumabili anche dopo la data di scadenza, ma nella consapevolezza che perderanno le loro proprietà organolettiche;
  • Olio, consumabile fino a 8 mesi dopo la data di scadenza, tenendo conto che ilsapore sarà indubbiamente molto diverso dal prodotto fresco;
  • Conserve sottaceto, possono essere consumate anche di un paio di mesi dopo la scadenza;
  • Conserve di pomodoro, consumabili fino a due mesi dopo la data di scadenza;
  • Salumi affettati, da consumarsi entro la data di scadenza, specie se confezionati, in quanto oltre il periodo indicato potrebbero sviluppare delle tossine;
  • Succhi di frutta, da non consumare oltre la soglia indicata sulla confezione;
  • Panettoni, pandori e colombe, consumabili anche oltre due settimane dalla data indicata sulla confezione, seppure la fragranza o la morbidezza possano risultare alterate (ovvero siano meno soffici).

Dove non è prevista

Nelle parole del professor Giacinto Miggiano trova spazio anche la lunga serie di prodotti per i quali non è prevista la presenza di date di scadenza. Si tratta, come detto in precedenza, di bevande alcoliche, aceto, sale, zucchero, pesce fresco e carne fresca. Appare evidente che si tratti di prodotti ad alta conservazione, in alcuni casi, e altri dalla resistenza minore come la carne o il pesce fresco. Questi ultimi dovranno essere consumati entro un massimo di 6 giorni dalla data di confezionamento indicata sull’etichetta. Attenzione poi anche al tipo di carne (con fette molto sottili andrà consumata entro 2 giorni dalla data di confezionamento) e alla cottura: per il pesce fresco è bene non andare oltre i 4-5 giorni da quando lo si è cotto.