Quanti anni servono per bandire un pesticida tossico? La storia del Dcpa

DCPA
Tractor spray fertilize field with insecticide herbicide chemicals in agriculture field

Con 15 anni di ritardo rispetto all’Europa, gli Stati Uniti vietano l’uso del Dcpa, un erbicida in grado tra l’altro di far diminuire il QI dei nuovi nati. E si scopre che per 10 anni il produttore si è rifiutato di consegnare gli studi sul rischio. La strana storia di una sostanza comparsa anche nel 2021 nelle acque della Val D’Agri

 

Ci sono voluti 15 anni per ammettere che fosse provatamente pericoloso, come pure aveva fatto l’Europa già dal 2009. E  alla fine il pesticida Dcpa, noto anche come dimetil-2,3,5,6-tetrachlorotereftalato, è stato vietato anche negli Usa dall’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente (Epa).

Un rischio per agricoltori e consumatori

Ora l’EPA ha finalmente ammesso che il Dcpa può essere dannoso per i feti, causando un quoziente intellettivo (QI) inferiore e altri effetti avversi a lungo termine. I rischi maggiori riguardano coloro che vengono frequentemente in contatto con il Dcpa, come applicatori, lavoratori agricoli e persone che vivono vicino ai campi trattati. “Sono un gruppo relativamente piccolo di persone che pagano un prezzo molto alto per essere in prossimità di questi prodotti chimici,” afferma Charles Benbrook, PhD, esperto indipendente sull’uso e la regolamentazione dei pesticidi che collabora con Consumer Reports, la principale organizzazione dei consumatori nordamericana.

I pericoli però, non riguardano solo i lavoratori: nelle analisi dello stesso Consumer Reports, il Dcpa è stato trovato in alimenti come cavolo e senape. Viene anche usato su altre colture come broccoli, cavolini di Bruxelles e cipolle. Tuttavia, il bando delll’Epa non ne vieta esplicitamente la presenza nei cibi, quindi i prodotti importati potrebbero ancora contenere residui di questo pesticida, fanno notare dall’associazione dei consumatori a stelle e strisce.

15 anni di attesa per i dati del produttore

Interessante notare come la decisione di vietare il Dcpa si basi su ricerche condotte dal produttore del pesticida, la AMVAC Chemical Corporation che hanno mostrato come possa influenzare gli ormoni tiroidei nei feti di ratto anche a dosi molto più basse di quelle che causano problemi nei ratti adulti. Negli esseri umani, queste alterazioni potrebbero portare a problemi di salute come basso peso alla nascita, capacità motorie compromesse e problemi di sviluppo del cervello e delle ossa, oltre a un QI più basso. I dati del produttore sono arrivati all’Epa solo un anno fa, a 15 anni di distanza dal bando europeo, dopo che l’agenzia aveva richiesto studi sulla funzione tiroidea per quasi dieci anni.  “L’Epa ha determinato che non esiste alcuna combinazione di mitigazioni praticabili sotto cui l’uso del Dcpa possa continuare senza presentare un pericolo imminente,” ha dichiarato il portavoce dell’agenzia.

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Il caso italiano del Dcpa in Val D’Agri

Per quanto vietato dal 2009, il Dcpa è stato protagonista anche di un caso tutto italiano. Nel 2021 le analisi della Ong Cova Contro scoprono questo pesticida in Val D’Agri. Il laboratorio incaricato dall’associazione lucana testimonia la presenza in tutti i campioni analizzati con tenori che oscillano tra i 2 mg/kg nei terreni montani/sedimenti fluviali a 0,14 mg/l nelle polle sorgive che affiorano a mille metri sul livello del mare, a tre chilometri di distanza dalla diga a uso potabile del Pertusillo.
I pesticidi a base di cloro affini al Dcpa avrebbero una soglia di legge nei terreni di 0,01 mg/kg e di 0,1 mcg/l per le falde, quindi i risultati ottenuti fanno balzare sulla sedia i responsabili del lavoro di Cova Contro: i certificati di laboratorio evidenziano tenori centinaia di volte sopra il limite. E i sospetti degli ambientalisti si puntano subito non tanto sull’agricoltura lucana, ma sull’attività petrolifera.

I sospetti sull’industria petrolifera

Ma che c’azzecca la presenza del Dcpa con le attività che si realizzano nel “Texas italiano”? Da quello che sostiene subito Cova Contro l’erbicida bandito dall’Europa c’entra eccome con l’industria petrolifera. “Fonti interne alle compagnie ci hanno spiegato che la molecola potrebbe essere un ingrediente di altri additivi usati come disemulsionanti o comunque usati nell’ambito della modulazione dei fluidi, sostanze la cui solubilità doveva essere prevedibile invece oggi temiamo che il Dcpa si stia accumulando in alcuni habitat lucani da lustri se non decenni, e che gli enti locali si siano sempre rifiutati di aggiornare i controlli ai reali rischi”.

Dopo l’uscita di un ampia inchiesta sul Salvagente a cura di Giorgio Santoriello, arrivano le precisazioni di Eni che “esclude la presenza nel ciclo produttivo del Centro Olio Val D’Agri di Dimetil tetraclorotereftalato (Dcpa) o di composti chimici assimilabili o intermedi di sintesi”. La società, dunque, si dice estranea all’eventuale presenza di Dcpa nei terreni e nelle acque oggetto di analisi in Basilicata.