Che ci fa in Val D’Agri un erbicida vietato dal 2009?

VAL D'AGRI

Ogni anno l’industria petrolifera e chimica brevettano nuove sostanze, molecole, polimeri, additivi, ricette che spesso vengono tarate sul riutilizzo di sostanze o materie prime a basso costo, magari sviluppate decenni addietro. Non capita di rado che queste molecole, messe a punto per un ambito preciso e poi messe al bando una volta riconosciuta la loro pericolosità, vengano riutilizzate altrove; una teoria del riuso e del riciclo di scoperte chimiche passate che potrebbe anche apparire virtuosa se non fosse che a volte può nascondere grossi danni per la salute e per l’ambiente. Esattamente uno dei casi studiati dall’Ong Cova Contro in Basilicata, quando quest’anno, quasi per caso, ha scoperto un pesticida vietato dal 2009 in diverse matrici ambientali di una zona a forte attività industriale.

Basilicata, terra di nessuno

Dal 2015 Cova Contro fa citizen science per individuare, comprovare e colmare i buchi nei controlli ambientali in Basilicata, regione da sempre critica per i reati ambientali. Nel 2012 la Commissione parlamentare sul Ciclo dei rifiuti definì questa parte del nostro paese terra di nessuno, refrattaria ai controlli e non è un caso che l’Unione europea l’abbia sanzionata per numerose discariche e depuratori non a norma. La Basilicata non ha ancora adottato neanche un piano regionale di tutela dell’acqua, dell’aria o del suolo, nonostante fornisca acqua a milioni di pugliesi e ospiti ambite sorgenti minerali, usate da Coca-Cola (Livia, Sveva, Fonti del Vulture) e San Benedetto. Decisamente insufficiente la capacità di controlli interni, tanto che l’Arpa Basilicata, l’Agenzia regionale che si occupa della protezione ambientale, deve ancora ricorrere ad altre Arpa e a Ispra per una lunga serie di analisi e valutazioni ambientali. Nonostante il fiume di denaro derivante dalle attività petrolifere che vedono la Basilicata come il più grande giacimento on shore d’Europa, i cittadini sono costretti ad autotassarsi o a cercare bandi privati per alzare l’asticella dei controlli.
Cova Contro è tra quanti cerca di fare questo lavoro, con particolare attenzione ad alcune aree strategiche, come alvei fluviali e sorgenti montane, posti incantati ma che nascondono una storia ambientale ancora da scrivere. Negli anni l’associazione ha calibrato sempre di più i suoi controlli per offrire al territorio dati gratuiti che aiutassero i residenti a comprendere il più possibile l’impatto dell’industria petrolifera, con l’osservazione costante dei siti specialistici per carpire quelle informazioni che all’estero i petrolieri o i loro tecnici hanno dovuto documentare ma che in Italia restano sconosciute.

Dalle acque “anomale” alle analisi

Un campione di acqua prelevato dai volontari di Cova Contro presso il terminale fluviale scarico del Tecnoparco Valbasento Spa di Pomarico (Materia) il 12 agosto 2021

Nel corso del 2021 un agricoltore di Montemurro in Val d’Agri, il Texas italiano, aveva segnalato la venuta a vista di acque anomale dal terreno: rossastre, iridescenti, con un olezzo forte di idrocarburo e zolfo, che lasciavano sedimentare altre anomale colorazioni, e al cui passaggio l’erba sembrava non crescere normalmente. Cova Contro decide di non fare la solita spettrometria di massa sui campioni prelevati ma di commissionare al laboratorio CR Chimica di San Pietro Vernotico, in provincia di Brindisi, esami mediante gascromatografia in alta risoluzione, l’apparecchiatura di ricerca per diossine e furani impiegata per ricercare anche le altre sostanze. A maggio il laboratorio comunica che dal gascromatografo è emersa una positività per il Dcpa, il Dimetil tetracolorotereftalto, ovvero il Dachtal, un pesticida sospetto cancerogeno, tossico e persistente a base di cloro, bandito dalla Ue nel 2009. In questa prima fase si vede la presenza ma non la quantità, dato che il laboratorio non ha gli standard di misurazione per quantificare numericamente questa positività. L’Ong decide di assumersi l’onere dell’acquisto degli standard e di ripetere il prelevamento su altri campioni.

L’inquinamento invisibile in Val D’Agri

Il fiume Basento, Pisticci Scalo (Matera), agosto 2021

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Non è il primo caso di sospetto inquinamento di quell’area. Dal 2016 a oggi tra Val d’Agri e Val Basento, tra sorgenti montane e acque fluviali, si sono registrati continui sforamenti o positività per metalli pesanti, idrocarburi pesanti, tensioattivi, composti organici aromatici. Ora si aggiunge il sospetto di una presenza anomala di Dcpa Un sospetto che si trasforma in certezza una volta terminate le analisi di quantificazione: il laboratorio testimonia una presenza in tutti i campioni analizzati con tenori che oscillano tra i 2 mg/kg nei terreni montani/sedimenti fluviali a 0,14 mg/l nelle polle sorgive che affiorano a mille metri sul livello del mare, a tre chilometri di distanza dalla diga a uso potabile del Pertusillo. In Val Basento invece l’omonimo fiume sfocia tra le spiagge bandiera blu del Metapontino.
I pesticidi a base di cloro affini al Dcpa avrebbero una soglia di legge nei terreni di 0,01 mg/kg e di 0,1 mcg/l per le falde, quindi i risultati ottenuti fanno balzare sulla sedia i responsabili del lavoro di Cova Contro: i certificati di laboratorio evidenziano tenori centinaia di volte sopra il limite.
Un inquinamento difficile da evidenziare se non fosse per le analisi condotte dall’Ong: a oggi Arpab non solo non ha un piano regionale di tutela acque come imposto dalle norme europee, e per il quale l’Europa stranamente temporeggia sulle sanzioni, ma non ha svolto alcuna valutazione ecologica né per i laghi a uso potabile né per i fiumi. Eppure, soprattutto per questi ultimi, gli abitanti locali, ex pescatori fluviali, denunciano zone morte sempre più persistenti, poche specie, molte aliene, sulle quali ricade anche un divieto di pesca causa inquinamento. Altra nota dolente è la mancanza di biomonitoraggi, richiesti e promessi da lustri: non si studia l’accumulo di inquinanti nella catena alimentare e solo Cova Contro ha la tenacia di continuare a pubblicare dati chiari e accessibili a tutti, dagli idrocarburi ritrovati nella carne podolica, ai metalli pesanti nella fauna ittica vicino lo scarico del sito nucleare Itrec di Rotondella, sempre in Basilicata.

La procura si muove

Affioramenti anomali a Montemutto (Potenza), maggio 2020

La pubblicazione delle analisi sul sito dell’organizzazione lucana non passa inosservata. La Procura di Potenza apre ulteriori indagini sulla denuncia relativa al Dcpa ma le recenti denunce del procuratore capo Francesco Curcio disegnano un quadro desolante: mancanza di uomini e mezzi tra procura e forze dell’ordine, mancanza di fondi per consulenze più estese e approfondite, difficoltà di collaborazione anche tra enti pubblici e magistratura.
In questo quadro Cova Contro è diventata un punto di riferimento anche per le vittime dell’inquinamento che non sentendosi tutelate da nessuno si rivolgono all’associazione per avere supporto tecnico ambientale e legale: trovare un legale non condizionabile ed esperto in tematiche ambientali non è semplice, idem reperire laboratori di analisi con le medesime caratteristiche, serve spesso un mediatore esperto tra la vittima e il laboratorio, un tecnico che sappia formulare una sorta di analisi del rischio, calibrando la ricerca degli inquinanti che da letteratura sono verosimilmente afferibili al caso studio.
“Cova Contro colma il vuoto di pensiero critico, incrociando i dati reperibili su: stampa, letteratura scientifica, atti giudiziari e fonti riservate elaborando una griglia valutativa che si prefigge l’obiettivo di ricercare le sostanze più pericolose o con il maggior grado indiziario, utili a rafforzare la tesi di un nesso di causalità alla luce anche del principio di copertura scientifica al quale devono sottostare anche le sentenze, conservando sempre uno sguardo sull’economicità”, è questo l’obiettivo dichiarato dell’associazione.

Segreto industriale

Affioramenti sospetti a Montemutto (Potenza) nel settembre 2021

L’ostacolo del segreto industriale in questo lavoro di ricerca è ancora forte, basta consultare le pubblicazioni di settore e vedere come ogni anno l’industria chimica mondiale sforni nuove molecole, (lo abbiamo visto anche col caso Solvay che ha rifiuto di fornire i dettagli tecnici per la determinazione analitica di alcuni Pfas come sanno bene i lettori del Salvagente), non rintracciabili neanche nei laboratori più attrezzati. L’industria petrolifera è tra le più prolifiche in questo caso, visto che le compagnie stesse operanti in Basilicata, come Eni e Total, hanno al loro interno aziende specializzate nell’ingegneria chimica e dei materiali. E lavorano una gamma infinita di polimeri che è praticamente impossibile identificare con un controllo indipendente, magari a sorpresa, perché i laboratori hanno bisogno del nome/struttura della sostanza, dati che le compagnie non forniscono e che purtroppo neanche al legislatore e alle amministrazioni locali paiono utili, tant’è vero che da anni Cova Contro chiede a Regione e ministeri di redigere un registro pubblico degli additivi petroliferi, senza ricevere risposta.

Il peso dell’industria petrolifera

Il prelievo di sedimenti fluviali nell’alveo del fiume Basento presso lo scarico della Tecnoparco Valbasento Spa, Pomarico (MT) il 12 agosto 2021

Nel 2020 la stessa Ong era riuscita a documentare come l’industria petrolifera da decenni stia modificando anche i batteri per impiegarli nel trattamento del petrolio, dato che i volontari ambientalisti avevano intuito già dal 2018 svolgendo in maniera pionieristica uno studio incrociato del lago del Pertusillo usando satelliti per osservare gli sversamenti, droni per sopralluoghi ravvicinati nell’ottico, ed analisi genetica di tipo 16NGS sulla comunità batterica dell’invaso. Il risultato? Nel Pertusillo un gruppo di scienziati ha sequenziato comunità batteriche mangia-petrolio aliene agli invasi d’acqua dolce ma tipiche del contesto marino, specializzate nel metabolizzare il petrolio, praticamente un marcatore immunitario che attesta l’esposizione dell’invaso agli sversamenti petroliferi.
Studi puntualmente ignorati dalle autorità locali che continuano a svolgere controlli lacunosi e non accreditati con standard di decenni fa mentre cittadini, liberi scienziati e liberi magistrati cercano di reagire con penuria di mezzi. “Una penuria voluta e ribadita dalle decisioni nazionali, vista anche l’assenza di investimenti in materia di controlli ambientali all’interno del Pnrr” spiegano da Cova Contro.
Ma che c’azzecca la presenza del Dcpa con le attività che si realizzano nel “Texas italiano”? Da quello che sostiene Cova Contro l’erbicida bandito dall’Europa c’entra eccome con l’industria petrolifera. “Fonti interne alle compagnie ci hanno spiegato che la molecola potrebbe essere un ingrediente di altri additivi usati come disemulsionanti o comunque usati nell’ambito della modulazione dei fluidi, sostanze la cui solubilità doveva essere prevedibile invece oggi temiamo che il Dcpa si stia accumulando in alcuni habitat lucani da lustri se non decenni, e che gli enti locali si siano sempre rifiutati di aggiornare i controlli ai reali rischi”.

Chi risponde ai cittadini?

Alcuni momenti di una manifestazione del Movimento 5 Stelle a Centro Olio Eni di Viggiano

Eni interrogata più volte nella realizzazione di questo servizio non ha inteso dare una risposta. Lo ha fatto solo il 10 febbraio a quasi due mesi da quando l’avevamo sollecitata con poche, laconiche righe che dicono:”Con riferimento all’articolo “L’erbicida vietato in Val D’Agri”, da voi pubblicato a gennaio 2022, Eni esclude la presenza nel ciclo produttivo del Centro Olio Val D’Agri di Dimetil tetraclorotereftalato (DCPA) o di composti chimici assimilabili o intermedi di sintesi. La società è pertanto estranea all’eventuale presenza di DCPA nei terreni e nelle acque oggetto di analisi in Basilicata”.

Non lo hanno ancora fatto, invece,  le autorità regionali che, in una Regione a vocazione agricola, non hanno mai inserito il Dcpa nei controlli routinari di fitosorveglianza. Purtroppo i reflui petroliferi prodotti in Basilicata sono stati esportati anche in altre regioni, presso altri depuratori industriali tra Puglia e Calabria, e anche in queste regioni la sostanza non è tra gli obiettivi dei controlli.
Spiegano da Cova Contro: “Noi con i nostri mezzi abbiamo trovato questa molecola ma temiamo seriamente che decine di altri composti pur presenti siano invisibili agli standard tecnologici della maggior parte dei laboratori accessibili ai comuni cittadini, timore confermato dai nostri chimici di fiducia che negli anni pur consegnandoci svariati sforamenti di legge non sono riusciti a spiegarci alcune anomalie visive, tattili od olfattive di alcuni campioni i cui colori, consistenza ed olezzi non trovavano chiaro e consolidato riscontro in letteratura. Riscontri che in alcuni casi mancano addirittura per i livelli stessi di contaminazione, come nel campo petrolifero di Tempa Rossa, sempre in Basilicata, ove nel 2016 un allevatore locale denunciava negli organi delle sue pecore tenori di metalli pesanti ineguagliati finanche da analoghi campioni prelevati nelle aree più contaminate della Cina”.