Caro Direttore, leggo sempre con attenzione e con grande interesse tutto ciò che riguarda il grano duro e soprattutto la produzione di pasta specie quella secca.
L’Italia è il primo paese al mondo per produzione di pasta di grano duro con oltre 3.200.000 tonnellate per anno, con un’esportazione pari quasi al 50% della produzione, la pasta è la seconda voce del nostro export agro-alimentare e rappresenta il Made in Italy nel mondo con grande forza e soprattutto associando la elevata qualità e competenza dei nostri produttori e dei nostri pastai.
Ho letto fra le ultime news l’opinione di Oscar Farinetti di Eataly vorrei dare un contributo personale da chi lavora nel settore della Chimica degli Alimenti affinchè ci siano più dati su cui potere discutere e riflettere.
IL GRANO ITALIANO NON BASTA DAVVERO?
La prima linea di difesa per l’importazione di materie prime da altri paesi comunitari e non, è sempre stata il grano duro italiano è un prodotto ottimo, ma i volumi attuali non permettono di sostenere il consumo interno e tantomeno il mercato estero. Non è così. L’Istat ci dice che si producono in Italia oltre 5.325.000 tonnellate di cui solo il 29% destinato all’uso zootecnico, ma il restante 71% pari a 3.763.000 tonnellate sono destinate alla pastificazione.
Basta poco a intuire che avremmo addirittura un surplus di oltre mezzo milione di tonnellate di grano duro Made in Italy rispetto alla bisogna del mercato interno e internazionale. Questi valori assicurano un valore di autoapproviggionamento superiore al 100% per la nostra filiera produttiva.
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MADE IN ITALY DI SCARSA QUALITA’?
La seconda criticità per il grano duro prodotto in Italia rispetto ai prodotti di importazione è nel suo contenuto più scadente in qualità e quantità di proteine. La legge n. 117 del 22 maggio 2001 recita un valore di proteine non inferiore al 10,50% nel caso della pasta di semola di grano duro e ceneri massimo di 0,90%.
Esistono dati riportati in rete sul grano duro varietà Aureo, utilizzato in commercio in un marchio top, che per questa varietà danno un valore di proteine del 14,5%.
Sulla quantità delle proteine si può osservare che non ci sono dubbi sul superamento dei valori di proteine per il grano Manitoba che è compreso fra l’11 e il 15%, vale la pena sempre ricordare che in Canada il valore proteico è espresso sul prodotto con una umidità del 13,5% mentre in Italia si parla di valore proteico sul sostanza secca; in poche parole non si dovrebbero confrontare patate e cipolle.
Sulla qualità delle proteine la discussione non ha gran peso perché le proteine sono chimicamente sovrapponibili e possono formare la medesima “maglia glutinica” necessaria a tenere la cottura anche del più distratto dei cuochi.
PROTEINE E SENSIBILITA’ AL GLUTINE
A questo punto vorrei aggiungere un nuovo argomento di discussione sul tavolo: il mercato dei prodotti destinati ai celiaci, ma ancora di più alla popolazione della “gluten sensitivity” ovvero essere sensibili al glutine senza essere per questo dei celiaci, è destinato a crescere per motivi vari. Alla luce delle nuove tecnologie di pastificazione che oggi compensano abbondantemente un eventuale minore tenore di proteine del grano duro, si può offrire un prodotto con livelli di proteine non troppo spinti, evitando di sensibilizzare e così di aumentare la popolazione dei gluten sensitivity.
Vale la pena di spingere sulla strada di pasta ricche nella componente proteica quando si raggiugono ottimi risultati tecnologici e gastronomici senza forzare il livello di proteine (non parliamo dei risvolti ambientali per la necessità di azotare i terreni, di non impoverire gli stessi con raccolti ricchi in proteine) con il fenomeno collaterale di far crescere di numero una popolazione silente destinata a ridurre de facto in futuro il consumo di pasta convenzionale per evitare un carico di glutine eccessivo ?
È il solito dilemma che ci perseguita da sempre: è meglio avere oggi una gallina oppure una frittata domani ?