La mappa della pasta con solo grano italiano

GRANO ITALIANO PASTA

Dopo anni di diminuzione, torna ai massimi l’importazione di grano duro dal Canada con il rischio glifosato. Ecco i marchi che utilizzano solo grano italiano

Crescono le importazioni di grano dal Canada e anche i prezzi interni dei pacchi di pasta continuano a subire rialzi. Da un anno a questa parte prevale il segno più lungo tutta la filiera simbolo del made in Italy a tavola. L’approvvigionamento del grano duro dal paese del Nord America torna a livelli massimi. Se nel 2016 viaggiavano intorno al milione di tonnellate nei due anni successivi le importazioni di frumento canadese si erano quasi azzerate (appena 100mila tonnellate nel 2018).
Cos’era successo? L’opinione pubblica aveva “scoperto” gli effetti tossici dell’erbicida più usato al mondo, i nostri test segnalavano la presenza ricorrente di glifosato, le inchieste giornalistiche denunciavano l’impiego del famigerato pesticida in “pre-raccolto”, ovvero usato come essiccante per accelerare la mietitura e i consumatori non volevano portare in tavola la presenza sgradita. La risposta dei produttori, a cominciare da Barilla, non si fece attendere: la pasta destinata al mercato nazionale da allora è in larghissima parte (come testimonia l’elenco che pubblichiamo e che è tratto dal test sulla pasta realizzato nel numero in edicola del Salvagente) ottenuta con grano 100% italiano.

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Progressivamente però le navi dal Canada sono tornate ad attraccare sempre più numerose nei porti italiani. Se nel 2022 abbiamo importato 608mila tonnellate (fonte: Centro studi Divulga su dati Istat), le stime per il 2023 supererebbero abbondantemente il milione di tonnellate.

Il pastaio d’Europa

Dove finisce questo grano? Nella pasta destinata all’esportazione. Nel 2022 nell’Unione europea, secondo gli ultimi dati Eurostat, sono state prodotte 6,1 milioni di tonnellate di pasta, per un valore di 7,8 miliardi di euro. Con 4,2 milioni di tonnellate di pasta prodotte lo scorso anno, per un valore di 5,1 miliardi di euro, l’Italia rappresenta il 68% della produzione totale della Ue in termini di volume. È anche il primo esportatore di pasta in Europa (2,1 milioni di tonnellate che attraversano le nostre frontiere, che rappresentano il 75% del totale europeo). Complessivamente, quasi 2,8 milioni di tonnellate di pasta sono state esportate dai membri della Ue nel 2022 e più della metà (56%) di questa quantità è andata ad altri paesi membri, soprattutto Germania (414.758 tonnellate) e la Francia (358.117). Le due principali destinazioni delle esportazioni extraeuropee sono state il Regno Unito (309.030 tonnellate) e gli Stati Uniti (262.877).

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Spinta inflazionistica

A crescere non sono solo le importazioni di grano e le esportazioni di pasta ma anche i prezzi dei pacchi “tricolore”. Poco più di un anno fa nell’autunno del 2022 il combinato disposto tra crollo della produzione canadese, con la conseguente tensione delle quotazioni, e crisi energetica prodotta dal conflitto in Ucraina, ha determinato un aumento consistente dei listini della pasta: in base ai dati Ismea, il prezzo medio di un chilo di pasta è passato da 1,42 euro del 2021 a 1,84 euro nel 2022. Aumenti che non hanno risparmiato nessun marchio, a cominciare da quelli low cost dei discount dove addirittura si è registrato un raddoppio dei prezzi.
La spinta inflazionistica tuttavia non si è arrestata e, come ha testimoniato un’indagine del Garante dei prezzi presso il ministero delle Imprese e del made in Italy, nel mese di marzo 2023 il prezzo medio della pasta ha fatto registrare un ulteriore aumento del 17,5% rispetto all’anno precedente. Risultato: un chilo di pasta si aggirava intorno 2,13 euro. Un aumento, ricordava nel maggio scorso Mister prezzi, non giustificato visto che le quotazioni del grano duro in quei mesi era in sensibile calo sui mercati internazionali. I produttori tuttavia rispondono che l’impegno produttivo e la ricerca giustificano un prezzo generale relativamente contenuto.
Nel nostro piccolo, considerando i 14 campioni presi in esame in questo test, possiamo testimoniare che i rincari sugli scaffali non si fermano e pochi mesi fa, quando abbiamo acquistato i pacchi da mandare in laboratorio, il prezzo medio al chilo ha sfiorato i 3 euro al chilo, fermandosi a 2,84 euro.