Difosfato disodico: l’additivo che fa male alla salute ed è al centro di traffici nel Sahara

salumi difosfato

Difosfato disodico, fosfati e polifosfati, sostanze che fanno male alla salute e sono persino al centro di tensioni nell’Africa sahariana

 

Il difosfato disodico è tracciabile sulle etichette dei cibi con la sigla E450. Questo additivo è un esaltatore della sapidità: esalta il gusto degli alimenti che lo contengono. È anche un agente lievitante molto utilizzato in campo alimentare. Il difosfato disodico viene anche utilizzato per migliorare le caratteristiche nutrizionali e le prestazioni nella cottura, ed è raggruppato nella grande famiglia degli addensanti, stabilizzanti e emulsionanti, riconoscibili in etichetta con una varietà di sigle che va da E400 a E499. Tra questi ci sono i polifosfati, composti inorganici creati in laboratorio. Anche questi, utilizzati come additivi in vari alimenti per migliorarne la densità, la cremosità, per prolungarne la durata e migliorarne l’aspetto estetico.

I polifosfati sono i più noti, tanto è vero che diversi marchi industriali di salumi sottolineano sulla confezione quando un prodotto è “senza polifosfati”.

 

Fosfati e polifosfati vietati nel baby food

Più volte, il Salvagente ha illustrato le ricadute negative soprattutto sulla salute dei bambini: i fosfati e polifosfati, usati per legare bene la massa, sono accusati di ostacolare l’assimilazione del calcio così importante nella crescita dei nostri piccoli. Più precisamente, questi additivi alimentari trattengono il calcio, ma anche il magnesio e il ferro, ostacolandone l’assimilazione nel nostro organismo. Un aspetto ancora più preoccupante per i giovani consumatori, tanto che i polifosfati sono vietati negli alimenti per l’infanzia, il baby food da 0-3 anni.

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Non è neppure difficile incontrarli, superando così la dose giornaliera tollerabile, poiché sono presenti in prodotti di largo consumo: dal noto prosciutto cotto “semplice” ad alcuni gelati, e ancora chewing-gum e snack a base di cereali. Per questo è sempre meglio scegliere un prosciutto cotto senza polifosfati.

 

In quali alimenti si trova il difosfato disodico

Questo additivo si trova in prodotti alimentari industriali come formaggi fusi, carni in scatola, prosciutto cotto, insaccati cotti, carni preparate di tacchino, prodotti impanati e dolciari, merendine, latte concentrato, latte in polvere, farina di patate, preparati pronti per budini, cerali per la prima colazione.

Il difosfato disodico è presente in genere anche in molte farine autolievitanti e in molti prodotti da forno confezionati. Come tutti gli additivi del gruppo E 450, è un composto formato dall’unione di sali (di sodio, calcio o potassio) e fosfati che danno luogo a emulsionanti di natura sintetica. Tali agenti devono essere consumati con moderazione in quanto in dosi massicce possono essere responsabili di iperattività (specie nei bambini), problemi digestivi e demineralizzazione ossea.

 

Il trionfo del cibo spazzatura

Spesso i dolci industriali, soprattutto quelli molto grassi, contengono agenti lievitanti o polveri lievitanti istantanee, sostanze utilizzate soprattutto in ambito dolciario per la preparazione di torte. Composti impiegati come sostituti del tradizionale lievito di birra in soggetti intolleranti. Sono additivi di natura sintetica che, in combinazione con altre sostanze e ad alte temperature, reagiscono decomponendosi per generare sostanze gassose, soprattutto anidride carbonica, permettendo così l’espansione dell’impasto, in maniera molto più veloce rispetto a quanto farebbe il lievito naturale.

Questi lieviti di produzione industriale si chiamano in inglese baking powder. Combinano una sostanza acida (definita attivatore), in genere difosfato disodico, con una sostanza basica, solitamente carbonato di sodio, che produce anidride carbonica. Nell’impasto di questi dolci vengono aggiunti anche degli stabilizzanti come amido di mais e sali di calcio degli acidi grassi (sigla E 470), ottenuti anche da grassi bovini e suini. Nell’amalgama servono a facilitare la conservazione del prodotto.

 

Il kebab a rischio? L’Ue ha fatto marcia indietro

Nel 2018 il kebab, uno degli alimenti etnici più diffusi dello street food, e anche più economici, ha rischiato di essere bandito sui mercati dell’Unione europea. Doveva essere illegale e poco ci è mancato. E nel mirino finirono anche le salsicce. Poi, a sorpresa, l’Unione europea fece marcia indietro.

Questo alimento molto popolare (gli europei ne consumano oltre 500 tonnellate al giorno) è prodotto in gran parte dagli scarti della macellazione gonfiati con polifosfati. È gustoso al palato proprio perché contiene i fosfati tra gli additivi più utilizzati.

Nel dicembre del 2017 il Parlamento europeo di Strasburgo aveva votato per mettere al bando i fosfati utilizzati nella conservazione della carne. Una contraddizione evidente, visto che nel 2014 gli stessi parlamentari europei avevano dato il via libera all’utilizzo dei fosfati in altre tipologie di carni. In quella occasione, la massima assise europea emanò il Regolamento 871/2017 Ue che, su richiesta della Repubblica Ceca, consentiva l’aggiunta di fosfati in alcuni salumi tipici di quella nazione.

Inutile ricordare le sollevazioni popolari dei produttori di kebab. Il Parlamento Ue non raggiunse la maggioranza necessaria per porre il veto alla carne del kebab per appena 3 voti. E così, passò la proposta della Commissione europea di consentire l’utilizzo di acido fosforico, difosfati, trifosfati e polifosfati (E 338-452) nella carne di montone, agnello, vitello, manzo e pollame, utilizzata negli spiedi verticali per il kebab.

 

Sacrificato il principio di precauzione nonostante i pericoli

Erano in gioco notevoli interessi: i primi kebabbari (doner kebab) sono nati in Germania, dove forte è la presenza della comunità turca. Poi si sono diffusi anche in Italia e nel resto d’Europa, determinando un incremento nella produzione di carne gustosa e a basso costo. Quella proposta di veto, bocciata per 3 voti, era motivata con l’applicazione del principio di precauzione, basato su uno studio di revisione scientifica del 2012, i cui dati mostrarono un potenziale collegamento tra additivi fosfatici negli alimenti e un aumento del rischio cardiovascolare. Nel 2013, però, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) affermò che non è possibile attribuire questo rischio all’assunzione di fosforo in generale e agli additivi fosfatici, nonostante un altro studio scientifico di quello stesso anno suggerisse un legame tra diete ad alto contenuto di fosforo e aumento della mortalità nella popolazione degli Stati Uniti.

L’ultima valutazione Efsa, quella del 2019, come vedremo in seguito, li assolverà definitivamente, suggerendo i quantitativi ritenuti poco rischiosi.

 

Il problema delle etichette

Ma il vero problema resta quello della etichettatura. Se nei cibi industriali gli additivi sono indicati con le relative sigle, ma senza riportarne il quantitativo, in questo caso, la trasparenza non c’è. Si riscontrano grandi difficoltà a tracciare persino origine e provenienza delle carni stesse. Una delle caratteristiche dello street food è la velocità di consumo. Cibi spazzatura gustosi e poco costosi, che si abbinano ad altre pietanze contenenti fosfati. Il suggerimento degli esperti è quello di evitare almeno di consumare contemporaneamente diversi cibi con fosfati.

 

L’ultimo parere dell’Efsa sui fosfati e le dosi giornaliere consigliate

Nel 2019, l’Efsa (Autorità europea per la sicurezza alimentare) ha aggiornato il parere sui fosfati, stabilendo un livello di sicurezza per il consumo congiunto di fosfati da più fonti. I fosfati sono presenti in modo naturale nell’organismo umano e costituiscono nutrienti essenziali per la nostra alimentazione.

La dottoressa Ursula Gundert-Remy, presidente del gruppo di lavoro sui fosfati, ha comunicato la decisione presa: “Il gruppo scientifico ha riesaminato la sicurezza dei fosfati e, per la prima volta, ha dedotto una dose giornaliera globale ammissibile (DGA) di 40 milligrammi per chilogrammo di peso corporeo (mg/kg di peso corporeo) al giorno”.

“Poiché i fosfati sono anche sostanze nutritive – ha aggiunto – e sono essenziali per la nostra alimentazione, nell’approccio da noi applicato abbiamo definito una DGA che tiene conto del probabile apporto di fosforo da tutte le fonti, sia quelle naturali sia gli additivi alimentari”.

La DGA corrisponde a un’assunzione di 2,8 grammi di fosforo al giorno per un adulto medio di 70 kg di peso corporeo.

 

Ma quanti fosfati sono presenti nei cibi industriali?

Stabilire la dose giornaliera globale ammissibile ha risolto tutti i problemi? Naturalmente no. Il problema è che non è possibile per il consumatore avere contezza di quanti milligrammi di additivi di fosfato siano stati aggiunti in un prodotto che acquista nei negozi, supermercati oppure online. Al momento esistono solo stime su quanto incidano i fosfati sull’esposizione dei consumatori, ma non ci sono dati precisi. Il dottor Maged Younes, presidente del gruppo di esperti Efsa sugli additivi alimentari e sugli aromi (gruppo FAF), ha specificato che “è importante sottolineare che la DGA non è valida per individui con riduzione da lieve a grave della funzionalità renale, considerati una fascia di popolazione vulnerabile. Tale conclusione si basa sul ben noto effetto sui reni di un’assunzione elevata di fosfati”.

L’esposizione dei consumatori è stata calcolata a partire dalla quantità totale di fosforo da tutte le fonti alimentari e non soltanto dai livelli negli additivi alimentari riferiti dai produttori. Gli esperti hanno stimato che, indicativamente, gli additivi alimentari contribuiscono dal 6 al 30% del consumo medio totale di fosforo.

 

L’esposizione dei bambini

L’Efsa, tramite le parole del dottor Younes, non nasconde le preoccupazioni per l’esposizione ai fosfati da parte dei neonati e degli adolescenti: “Abbiamo stimato che l’esposizione alimentare ai fosfati potrebbe superare la nuova DGA in lattanti, bambini piccoli e bambini che abbiano una normale assunzione di fosfati dalla dieta. È questo il caso anche di adolescenti con dieta ricca di fosfati”.

L’Efsa ha ammesso: “Il gruppo di esperti scientifici ha osservato che nello scenario di esposizione stimato basato su dati analitici, le stime dell’esposizione hanno superato la DGA proposta per neonati, e bambini a livello medio e per neonati, bambini e adolescenti al 95esimo percentile (un po’ più robusti della media). Il gruppo di esperti scientifici ha inoltre osservato che l’esposizione ai fosfati mediante integratori alimentari supera la DGA proposta”.

 

I fosfati negli integratori alimentari

Attualmente i fosfati come additivi negli integratori alimentari possono essere usati quantum satis (cioè quanto tecnicamente necessario). Tuttavia, gli esperti dell’Efsa hanno riscontrato che nei soggetti di età superiore a 3 anni, che consumano periodicamente tali integratori, l’esposizione alimentare stimata può superare la DGA a livelli talmente elevati da causare effetti nocivi sui reni.

Il dottor Younes ha così commentato l’ultimo parere Efsa: “Sulla base della valutazione dell’esposizione, il gruppo scientifico raccomanda l’introduzione di livelli numerici massimi consentiti di fosfati usati come additivi negli integratori alimentari anziché il quantum satis, nel quale non esiste un limite fisso”.

 

La guerra del fosfato e i tentacoli sull’Africa

Nel 2020, il quotidiano Repubblica ricordava che nel Sahara Occidentale c’è il maggiore giacimento di fosfati al mondo. Il governo del Marocco già si preparava a murare i confini con barriere di 2700 chilometri, in modo da impedire l’accesso agli attivisti saharawi.

Il governo giustifica il muro per ragioni di interesse strategico-difensive, ma il muro servirebbe anche a garantire il pieno controllo della frontiera e i profitti derivanti dai transiti di fosforo, ma anche pesce pescato dagli spagnoli in Mauritania, capi di bestiame e cavalli venduti dalla Spagna in diversi Paesi africani, e cocaina colombiana che dalla Mauritania viene spedita in Europa e nel mondo occidentale. Gli interessi sui traffici di stupefacenti sono enormi. Ma anche quelli legati alla roccia fosfatica che alimenta la produzione di integratori alimentari di calcio e di fosfato. Immesso anche nei fertilizzanti per uso agricolo.