La Ue scopre i pericoli del biossido di titanio, ma l’industria fa finta di niente

BIOSSIDO DI TITANIO

Meglio tardi che mai. Dopo che di tossicità del biossido di titanio si parlava almeno dal 2016, l’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare ha concluso la rivalutazione dell’E171 ritenendolo non sicuro come additivo alimentare. Questa bocciatura apre la strada all’eliminazione dell’E171 dall’elenco degli additivi alimentari autorizzati.
Anni di appelli, prove e denunce di sospetta genotossicità, insomma, alla fine produrranno l’effetto che si proponevano. Ma con almeno otto anni di ritardo: qualunque bando, infatti, non entrerà in vigore almeno fino al 2024. Da qui a quella data sarà ancora permesso usare il biossido di titanio in alcuni alimenti, negli integratori alimentari e nei dentifrici. A meno che, ovviamente, non siano le industrie a rinunciarci volontariamente. Cosa che, almeno al momento, sembra ancora lontana, come dimostra l’elenco che pubblichiamo sul nuovo numero di agosto del Salvagente di quante ancora lo prevedono tra gli ingredienti.

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Con l’aiuto fondamentale delle segnalazioni dei nostri lettori, questo elenco fa i nomi di un centinaio di prodotti che ospitano l’E171, tra dentifrici (anche per bambini), alimenti, integratori e farmaci.

Il rischio di genotossicità del biossido di titanio

Dopo aver condotto una revisione di tutte le evidenze scientifiche disponibili in merito, l’Agenzia per la sicurezza alimentare ha concluso che non si possono escludere pericoli circa la genotossicità, delle particelle di biossido di titanio.

In altre parole – spiega al Salvagente Fiorella Belpoggi, direttrice scientifica del Centro di ricerca sul cancro dell’Istituto Ramazzini di Bologna – per l’Agenzia, l’E171 ha la capacità di apportare modifiche al materiale genetico. Il Dna contiene le informazioni genetiche essenziali per il funzionamento delle cellule e quindi dell’intero organismo. Un danno al Dna può quindi tradursi in un’alterazione anche grave, nella morte cellulare (inducendo apoptosi o necrosi), ma potrebbe comportare anche lo sviluppo del cancro.

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Il colorante della discordia

Utilizzato da almeno 50 anni, il biossido di titanio è un additivo alimentare il cui uso è autorizzato in 48 diverse categorie di alimenti. Secondo l’Autorità per la sicurezza alimentare europea le principali fonti dell’esposizione alimentare all’E171 sono i prodotti da forno, le zuppe, i brodi, le salse (per neonati, bambini piccoli e adolescenti) e le creme spalmabili. Poiché la legislazione non prevede la quantità massima, le aziende alimentari devono utilizzarlo in conformità con le buone pratiche di fabbricazione e utilizzarne solo la quantità necessaria per raggiungere lo scopo previsto. Scopo che è solo ed esclusivamente estetico: il biossido di titanio, infatti, è una polvere di colore bianco e, come additivo alimentare, non ha motivi funzionali ma viene aggiunto ai cibi per renderli più belli alla vista. Ai confetti, ad esempio, viene aggiunto per farli apparire più bianchi e per molti anni anche le caramelle colorate M&M ne hanno fatto uso.
Se è vero che si mangia anche con gli occhi, in questo caso ne avremmo fatto volentieri a meno. Perché, come dicevamo, all’E171 negli anni sono stati dedicati molti studi – ignorati dall’Efsa – che ne hanno evidenziato le caratteristiche di tossicità. Tant’è vero che, in virtù del principio di precauzione che l’Europa sembra aver dimenticato, la Francia lo ha messo al bando dal 2020 basandosi su un parere dell’Anses, l’Agenzia nazionale francese per la sicurezza sanitaria dell’alimentazione, dell’anno prima. Nella sua valutazione, l’Agenzia aveva sottolineato che, con i dati scientifici disponibili sugli effetti del biossido di titanio, era impossibile eliminare l’incertezza sull’innocuità dell’additivo alimentare. In quell’occasione, l’Anses aveva quindi raccomandato di “limitare l’esposizione dei lavoratori, dei consumatori e dell’ambiente nel quadro di un approccio graduale, favorendo specialmente dei prodotti sicuri ed equivalenti in termini di funzione e di efficacia, privi di nanomateriali”. Detto, fatto, almeno dall’esecutivo transalpino, con un bando – previsto inizialmente per un solo anno – poi stato prolungato anche nel 2021.

Il pericolo nanoparticelle

Un altro aspetto a lungo indagato è stata la presenza di biossido di titanio anche in forma nanometrica: un campo di studio in continua evoluzione perché se i rischi dell’E171 in quanto tale sembrano (oramai) appurati, quelli delle nanoparticelle sono ancora tutti da dimostrare.
Quando parliamo di nanoparticelle intendiamo sostanze in cui almeno una delle tre dimensioni fisiche richiede di essere misurata in poche decine di nanometri, ovvero nella scala dei miliardesimi di metro (o milionesimi di millimetro). È una misura difficile da immaginare: se si visualizza lo spessore di un capello umano, occorre poi provare a immaginare qualcosa di almeno mille volte più piccolo.
Le nanoparticelle possono essere di origine naturale (per esempio prodotte dalla combustione ad alte temperature in particolari condizioni) o artificiale, e in questo caso possono avere forma e dimensioni predefinite o essere il sottoprodotto di una lavorazione industriale.
Da tempo si è scoperto che molte sostanze di cui si pensava di conoscere tutte le caratteristiche, in scala nanometrica, presentano proprietà molto diverse da quelle studiate e note da tempo in scala macro o microscopica. Inoltre si è rilevato che possono mutare in modo significativo anche nell’ambito della scala nanometrica, quando vengono modificate anche leggermente forma e dimensioni. In pratica ciascuna variante (materiale, forma, dimensioni) di una sostanza in formato “nano” può dare origine a un comportamento specifico, che richiede di essere valutato con attenzione se entra in contatto con l’organismo umano.
Sulle nanoparticelle di biossido di titanio, ad oggi, sappiamo, grazie ad uno studio dell’istituto di ricerca pubblica francese Inrae, che sono in grado di passare attraverso la placenta delle donne incinte e raggiungere i loro feti. Gli scienziati hanno, infatti, riscontrato la presenza di biossido di titanio in tutte le 22 placente delle donne incinte che hanno potuto studiare, così come nella metà delle prime feci di 18 neonati.

Alimenti no, farmaci sì?

Nonostante queste evidenze la strada burocratica da percorrere per arrivare al bando dell’E171 è lunga e tortuosa. Lunga perché l’Efsa ha solo fornito un parere alla Commissione europea, che ora deve agire. Il commissario Kyriakides ha già fatto sapere che la Commissione proporrà un divieto di uso dell’E171 e che le discussioni con gli Stati membri dell’Ue in tal senso sono già iniziate a maggio.
“C’è stato un sostegno unanime da parte degli Stati membri per il divieto di uso dell’additivo negli alimenti, anche se non c’è accordo su quando dovrebbe essere applicato” ci ha detto Antoine D’haese di Safe, Safe Food Advocacy Europe, una Ong europea molto attiva e informata sulla vicenda. Questo divieto riguarderebbe in teoria solo i prodotti alimentari (non i farmaceutici, dunque), ma la Commissione ha confermato che esiste un legame giuridico diretto tra l’uso negli alimenti e nei prodotti farmaceutici, perché solo i coloranti approvati come additivi alimentari possono essere impiegati nei medicinali. La Commissione, quindi, sta valutando l’impatto di un divieto del biossido di titanio insieme all’Agenzia europea per i medicinali che dovrebbe esprimersi per un’eliminazione graduale a ottobre di quest’anno.
L’esecutivo di Bruxelles spera di avere pronta una proposta di divieto dopo l’estate, da sottoporre al voto degli Stati membri a settembre. Il Parlamento europeo e il Consiglio (colegislatori) avranno poi del tempo per rivedere la proposta almeno fino all’inizio del 2022.
Ma non è finita qui perché si deve aggiungere un periodo di transizione (alcuni Stati membri vogliono fino a 2 anni – in particolare per il settore degli integratori alimentari). Ciò significherebbe (a condizione che tutto vada come previsto) che il biossido di titanio dovrebbe essere rimosso dal cibo (e, si spera, dagli altri prodotti) nel 2024.

La potente lobby del TiO2

Dicevamo che la strada è anche tortuosa: il biossido di titanio vanta, infatti, una lobby potentissima che già in passato ha svolto egregiamente il suo lavoro come ha denunciato nel 2018 il Corporate europe observatory (Ceo), il gruppo di ricerca che vigila sulla trasparenza in Europa. La lobby di riferimento si chiama Titanium dioxide manufacturers association (Tdma): l’associazione che riunisce i produttori di biossido di titanio, pur non presente nel registro per la trasparenza istituito dalla Commissione europea, è riuscita ad accreditarsi presso l’esecutivo e ha messo (e forse continua a mettere) in campo le strategie migliori soprattutto a suon di quattrini per indirizzare le decisioni della Commissione. Della Tdma fanno parte diverse aziende produttrici di biossido di titanio tra cui la slovena Cinkarna Celje, la tedesca Evonik – che dichiara di spendere quasi due milioni di euro l’anno in attività di lobbying – la statunitense Venator, che ha sedi anche in Polonia e in Repubblica Ceca, e il produttore numero due al mondo, la Cristal, che ha sedi in Gran Bretagna, Francia e Belgio. Solo il tempo ci dirà se la lobby, che in passato ha certamente vinto diverse battaglie, vincerà la guerra finale.