Un pollo bio per legge deve razzolare all’aperto per almeno un terzo della sua vita. Ma secondo un’inchiesta mandata in onda da Report, in alcuni allevamenti di Fileni, per diversi giorni, questi non sono mai stati fatti uscire. Oltre a questo, le immagini della Lav mostrano presunti maltrattamenti dentro gli stabilimenti dell’azienda
Un pollo bio per legge deve razzolare all’aperto per almeno un terzo della sua vita. Ma secondo un’inchiesta mandata in onda da Report lunedì 9 gennaio, in alcuni allevamenti di Fileni, per diversi giorni, questi non sono mai stati fatti uscire. Oltre a questo, le immagini della Lav mostrano presunti maltrattamenti dentro gli stabilimenti dell’azienda.
I polli uccisi dagli operai
Nel servizio andato in onda su Rai 3, vengono mostrate immagini di operai che all’interno dei capannoni selezionano dei polli e li uccidono sul momento tirandogli il collo, lanciando le carcasse in mezzo agli altri capi vivi. Alberto Tibaldi, responsabile dei servizi sanitari delle Marche, regione in cui solo Fileni ha aperto negli ultimi dieci anni, dieci allevamenti da 10 milioni di polli, spiega che questo tipo di attività è consentita solo in casi di sofferenza, traumi, e comunque dopo l’intervento di un veterinario. Inoltre, le carcasse non vanno lasciate tra gli altri animali per evitare casi di cannibalismo. Ma perché gli operai ripresi avanzano tra i polli uccidendone alcuni (fino a 280 in un giorno, secondo un documento relativo a uno stabilimento mostrato da Report)? Un ex dipendente fileni intervistato da Giulia Innocenzi, che ha curato il servizio, sostiene che si tratti di polli che non arrivano al peso e all’altezza necessaria per essere macellati, e che quindi diventano scarti.
La crescita fast e le sue conseguenze
A tal proposito, per inciso, un dato interessante è che negli anni ’50 un pollo ci metteva 5-6 mesi per essere abbastanza matura per la macellazione, oggi gliene bastano 34, e ogni anno questo periodo diminuisce di un giorno. Per riuscirci le aziende utilizzano razze ibride, come il broiler, in cui il petto cresce in maniera molto più rapida delle altre parti, finendo con il costringere l’animale a non poter camminare. Non dovrebbe essere usato negli allevamenti bio, ma secondo Report, è stato avvistato anche in un allevamento bio Fileni.
I polli bio che non escono all’aperto
Giulia Innocenzi si reca fuori alcuni allevamenti bio di Fileni (che secondo l’azienda rappresentano l’11% della produzione complessiva) e vede che nessuna gallina razzola fuori. Vengono dati come motivazioni impedimenti congiunturali. Ma l’ex dipendente sostiene che nel suo caso, le portelle per permettere l’uscita dei polli dal capannone rimanevano chiuse perché in quanto automatiche uccidevano decine di polli ad ogni chiusura, e che per sostituirle con quelle manuali ci sarebbero voluti più operai di quelli presenti.
I mangimi Ogm
L’inchiesta riporta diverse accuse, tra cui quella di tenere le luci costantemente accese in alcuni capannoni tutta la notte, cosa proibita in Italia, e di utilizzare mangimi Ogm, nonostante nelle etichette dei prodotti e sul sito lo neghi. Sul punto, l’azienda ha risposto che i polli alimentati con mangimi transgenici sono destinati a filiere non etichettate Fileni.
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Fileni: mistificazione della realtà
Sulle altre accuse, Fileni risposto a Report dicendo che dati i tempi stretti non avrebbero dato una replica, e parlando di “mistificazione della realtà”. Successivamente, Report pubblica sul proprio sito internet la risposta dettagliata da parte di Fileni.
La puzza infernale e la centralina di Arpam che non funziona
Anche la questione ambientale viene affrontata durante il servizio. Gli abitanti di Jesi, in provincia di Ancona, lamentano una puzza insopportabile dal vicino stabilimento di Ripa Bianca. Presentano diversi esposti. La centralina che dovrebbe rilevare la presenza di ammoniaca nell’aria, messa nel 2022 da Arpam, dopo i primi mesi si rivela non funzionante. Solo nell’agosto dello stesso anno, con una centralina prestata dall’Arpa Lazio, in pochi giorni si rileva una presenza di ammoniaca consistente e oltre le stime presentante da Fileni, che minimizza dicendo che in Italia non esistono limiti di legge a tal proposito. Ma Agostino Di Ciaula di Isde – Medici per l’ambiente, ricorda che l’ammoniaca si trasforma in particolato e l’esposizione continua e massiccia può causa danni alla salute, come “malattie croniche, degenerative, problemi alla gravidanza, disabilità”. Sulla questione di Jesi, Eleonora Evi, deputata dei Verdi ha presentato un’interrogazione alla Commissione Europea. La stessa Evi aveva denunciato la mancata chiusura nei tempi stabiliti dello stabilimento di Monte Roberto, dove sono stati trovati 400mila polli che non dovevano stare lì.
Controlli insufficienti
Una storia, quella rilanciata da Report, che riguarda la terza azienda produttrice di carne avicola d’Italia, con 50 milioni di capi l’anno, e che evidenzia come, almeno da quello che risulta dalle immagini, non sempre la filiera di controlli che parte dalle Arpa, passa per i servizi veterinari, e coinvolge gli organismi di certificazione (nel caso di Fileni se ne occupa Cccpb) riescono a garantire che tutto fili liscio e che il consumatore possa dormire sonni tranquilli.
La lettera aperta di Lav a Fileni
Roberto Bennati, Direttore Generale Lav, durante l’intervista a Report, riferendosi al settore zootecnico in generale ha dichiarato, “La presenza quotidiana della malattia e cioè del far stare male gli animali e accettare che questa malattia sia economicamente tollerabile rispetto al sistema di produzione significa creare un allevamento malato. Dentro questi allevamenti è praticamente impossibile il controllo dato il numero elevato di animali e di allevamenti, ma l’illegalità si radica proprio in questo”. La lega anti-vivisezione ha scritto una lettera aperta a Fileni per ottenere risposte a domande precise sui suoi allevamenti.