Le due facce dei vini naturali

vino vini

Sul vino naturale i pareri degli esperti sono discordi. Qualcuno li vede come un prodotto da evitare, altri come Silvano Brescianini, pensa che pur presentando dei buchi a livello di legislazione, come tutti i vini anche questa categoria annovera etichette ottime e altre mediocri. Il Presidente del Consorzio Franciacorta, che produce il vino bio Barone Pizzini, spiega al Salvagente il suo punto di vista su questo vino che ha un mercato in espansione in Italia come in molti paesi del mondo.

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Brescianini, innanzi tutto, come possiamo definire un vino naturale?
È una bella domanda. Non è una categoria definita dalla legge in Italia, quindi non c’è una risposta precisa e corretta alla sua domanda, ma in linea di massima è un vino ottenuto un uve a coltivazione senza interventi chimici, e fatto come lo faceva il nonno. Dal mio punto di vista di produttore di vino bio, un vino naturale dovrebbe essere un biologico nella cui fase di vinificazione e affinamento non è stato aggiunto nessun additivo.

Cosa intende con “nessun additivo”?
Che non sono stati utilizzati lieviti selezionati, comunque naturali, non sono stati aggiunti solfiti, e non sono stati utilizzati prodotti tipo chiarificanti, che servono sostanzialmente per eliminare quelle componenti che renderebbero il vino torbido o instabile.

Ci sono vini naturali che sono anche bio. Per lei sarebbe meglio se vino naturale e vino bio avessero sempre le stesse regole?
Io credo che sarebbe corretto distinguere rispetto a un vino dichiarato naturale tout court, su cui non c’è nessun controllo. Se io compro un vino naturale come consumatore non ho un protocollo a cui fare riferimento, se invece lei mi dicesse questo vino è naturale e in più è anche certificato bio, io avrei una informazione in più. Mentre oggi devo prendere per buona la dichiarazione del produttore. Se lo conosco bene, altrimenti è un signor sconosciuto che mi dice che è bello, bravo e buono.

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Questo non vuol dire però che vino naturale e vino pessimo siano sinonimi.
No, assolutamente. Come tutti i vini, ci sono quelli molto buoni, buoni, interessanti, mediocri e così così. Ma questo vale anche per i territori, non è che prende un vino di Bordeaux ed è sicuro eccellente, ci sono anche vini comuni.

Chiariamo un’altro aspetto. Il fatto che la definizione di vino naturale non sia sottoposta a regolamentazione ad hoc, non vuol dire che un vino naturale non debba rispettare le stesse norme di sicurezza alimentare degli altri.
Ci mancherebbe altro. È chiaro che un prodotto alimentare per essere messo in commercio subisce dei controlli minimi.

Abbiamo capito quali sono i punti critici, secondo lei, della produzione di vini naturali. Cosa invece apprezza?
Al movimento dei vini naturali, soprattutto ai pionieri, va riconosciuto il merito su un aspetto di cui non si parlava molto: l’intervento dell’uomo in campagna e in cantina e su un prodotto come il vino è opportuno che sia il meno possibile. Un prodotto di grande qualità deve avere pochi interventi.

Perché?
Perché un’uva perfettamente sana di una bella vigna, con una posizione e di un’età giusta, ha già all’interno dell’acino tutta una serie di componenti, oltre agli zuccheri, alla acidità, ai tannini, che sostanzialmente sono dei stabilizzanti, dei conservanti.  Ha già quello che serve per potersi proteggere. Poi è chiaro che l’ossidazione è un fenomeno naturalissimo che fa perdere tanti profumi o comunque li trasforma.

Ossidazione che si contrasta con l’uso di solfiti. Che posizione ha a riguardo?
La mia opinione è che, come diceva il grandissimo produttore Josko Gravner, i solfiti nel vino sono come il sale nel salame, poco ma serve.

In conclusione…
Una sensibilizzazione verso una maggiore naturalità dei prodotti che mangiano e che beviamo ben venga. La cosa che mi preoccupa è quando diventa una moda.