Il Cbd, cannabinoide non psicotropo (privo cioè degli effetti droganti del Thc), è una delle sostanze che hanno contribuito alla nuova fama della cannabis. A questo cannabinoide sono attribuiti diversi effetti salutari, calmante, rilassante, antiossidante, antinfiammatorio e analgesico, tanto per fare pochi esempi.
Il Cbd è un fitocannabinoide presente nella resina secreta dai tricomi nelle piante femminili di Cannabis sativa e si trova principalmente nelle infiorescenze. La bioattività di questo composto è stata correlata ad un potenziamento della sua attività antiossidante e neurologica, tra gli altri, attraverso la promozione di diverse vie metaboliche. Tuttavia, l’Unione europea non considera gli integratori di Cbd come un nuovo alimento e consente agli Stati membri di stabilire le proprie regole sulla sua commercializzazione, portando a una situazione contorta in termini di regolamentazione. Nonostante diverse ambiguità nella sua legislazione, il mercato europeo degli integratori a base di CBD è stato valutato in 318 milioni di dollari nel 2018 e con una forte proiezione della crescita. Negli Usa si stima un giro di affari di 3 miliardi di dollari.
Uno studio pubblicato nel luglio 2018 da ricercatori della Colorado State University, ha addirittura dimostrato risultati estremamente positivi nell’uso dell’estratto di cannabis nel trattamento dell’epilessia nei cani. Nello studio, i cani trattati con Cbd hanno visto una riduzione dell’89% delle crisi epilettiche.
Un mercato, quello dei prodotti fuori dai nostri confini che non è privo di rischi: potenziali contaminanti, come micotossine e pesticidi, possono essere coestratti durante il processo di fabbricazione e finire nel prodotto finale. Esattamente quanto ha dimostrato un’équipe guidata dal professor Alberto Ritieni – i nostri lettori conoscono bene il docente di Chimica degli alimenti dell’Università Federico II di Napoli oltre che autore della rubrica Miti Alimentari – che ha messo a punto una nuova metodologia che utilizza la cromatografia liquida ad altissime prestazioni accoppiata alla spettrometria di massa ad alta risoluzione per quantificare 16 micotossine prodotte dai principali funghi di Cannabis sativa, e uno screening di 283 pesticidi. Il lavoro, pubblicato su Mdpi.com e firmato dalla collega Luana Izzo e da Luigi Castaldo e due scienziati dell’Università di Valencia in Spagna, ha passato in rassegna dieci prodotti a base di Cbd, acquistati su internet e provenienti dall’estero.
In sette campioni sono stati trovati fino a sei diverse micotossine Fusarium, la più diffusa delle quali è lo zearalenone (60%) e l’enniatina B1 (30%), entrambe rilevate a un livello massimo di 11,6 ng/g. Sono stati rilevati anche 46 diversi pesticidi; in particolare etossichina (50%), piperonilbutossido (40%), simazina (30%) e cianazina (30%).
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“Questi risultati evidenziano la necessità di monitorare i contaminanti negli integratori alimentari al fine di garantire un consumo sicuro, ancor più considerando la tendenza all’aumento del loro utilizzo” spiegano gli autori. E magari, aggiungiamo noi, rendere più omogenee le legislazioni prevedendo la possibilità di approfittare anche nel nostro paese di un principio attivo salutare come il Cbd ma con i controlli che spesso fuori dai nostri confini sono decisamente più “distratti”.