Maionese industriale liquida, succhi di frutta dal colore scuro e marmellate che non si spalmano. Se non ci fossero gli additivi alimentari questi prodotti, come tanti altri, sarebbero proprio così.
L’aspetto, il sapore, l’odore e la consistenza di ciò che si consuma a tavola, è in gran parte dovuto agli additivi, spesso molto criticati ma dei quali l’industria alimentare sembra non poterne fare a meno. Quelli autorizzati sono circa 350, tutti elencati nel Regolamento europeo 1129/2011: quelli che troviamo comunemente negli alimenti che portiamo in tavola devono essere inclusi in questa lista “positiva” di sostanze che hanno superato la complessa procedura di autorizzazione. Tuttavia, seppur leciti da un punto di vista normativo, in alcuni casi sono stati bocciati alla prova dei rischi per la salute.
SEMPLIFICHIAMOCI LA VITA
Agli additivi alimentari e alla loro classificazione in termini di sicurezza è dedicata l’inchiesta di copertina del numero di Salvagente in edicola da oggi, con una guida concepita come uno strumento per riconoscere a colpo d’occhio il profilo di una sostanza. Tutti gli additivi sono ordinati in successione crescente (le sostanze si riconoscono, oltre che per nome, da una sigla composta dalla lettera E seguita da un numero) e a ognuno abbiamo associato un colore – verde, giallo e rosso – in base al rischio per la salute descritto dalla letteratura scientifica.
Per gli additivi da evitare vengono poi indicati i sospetti legati al loro consumo. Prima di entrare nel dettaglio, cerchiamo di capire cosa sono e a cosa servono gli additivi alimentari
A COSA SERVONO
Lo abbiamo fatto con il nostro consulente Dario Vista, nutrizionista e tecnologo alimentare.
Dottor Vista, è necessaria l’aggiunta di additivi negli alimenti?
Gli additivi, esclusi quelli utilizzati per la conservabilità, sono aggiunti per migliorare l’aspetto estetico del prodotto e renderlo perciò più vendibile (colore, consistenza, forma, etc..). Prendiamo un succo di mela verde che dovrebbe essere bianco, ma che con l’aggiunta di clorofille rameiche diventa verde e accattivante; oppure paragoniamo il Philadelphia con il Quick della Prealpi, nel primo c’è la carragenina e l’alginato di sodio che danno forma al prodotto che rimane un parallelepipedo perfetto nell’involucro di carta, nel secondo invece non essendoci gli additivi è necessario usare una confezione rigida.
A cosa servono queste sostanze?
Gli additivi si distinguono in macro-categorie ognuna delle quali ha una funzione specifica. I coloranti, ad esempio, servono ad accentuare il colore originale per renderlo più gradevole alla vista del consumatore o addirittura modificarlo completamente o celare adulterazioni (ad esempio le clorofille utilizzate nella crema di pistacchio per nascondere l’aggiunta delle più economiche mandorle). Poi ci sono i conservanti che sono indispensabili ad allungare la shelf-life (vita di scaffale) evitando la variazione anomala di colore e sapore e soprattutto lo sviluppo di batteri tossici. L’uso dei nitrati e dei nitriti nei salumi serve a scongiurare la crescita del Clostridium botulinum e quindi la relativa tossina botulinica e allo stesso come effetto secondario a mantenere il colore rosso delle stesse carni. Antiossidanti e correttori di acidità, infine, prevengono annerimenti dovuti all’ossidazione (come ad esempio l’esposizione al sole di conserve in barattoli di vetro) e modifica del pH dell’alimento per bloccare i sapori secondari e per ottenere vere e proprie trasformazioni alimentari (come l’acido citrico nella produzione di mozzarelle industriali).
Condizionano il gusto di un alimento? E le proprietà nutritive?
Alcuni, come gli esaltatori di sapidità, modificano il sapore dell’alimento; è il caso del glutammato monosodico che, per un processo non ancora noto, stimola i recettori del quinto gusto, il cosiddetto “umami”, e in più accentua il salato, dato che si tratta di sale sodico. Gli additivi non modificano assolutamente le proprietà nutritive, se non per le vitamine (ad esempio l’E101 Riboflavina), ma in quantità realmente insignificanti. Gli edulcoranti permettono di ottenere prodotti con pochi o senza zuccheri, per il fatto che permettono di limitare l’aggiunta di zuccheri, dato che dolcificano ma chimicamente non sono zuccheri.
In che quantità vengono aggiunti gli additivi e come si determina?
Gli additivi vengono aggiunti rispettando le quantità massime riportate del Regolamento Ce 1129/2011. Lo stesso regolamento indica se la quantità limite è la quantità aggiunta come ingrediente o quella riferita alla percentuale di additivo contenuta nel prodotto finito.
Il consumatore è in grado di capire se si tratta della prima o della seconda ipotesi?
Purtroppo la normativa sull’etichettatura non prevede di specificare la quantità aggiunta ma solo l’elenco di ingredienti e quindi anche di additivi in ordine decrescente rispetto alla quantità contenuta. Quindi il consumatore non può sapere quanto additivo è presente. Per molti additivi il Regolamento 1129/2011, prevede il criterio del “quantum satis” ossia la quantità che il produttore ritiene necessaria senza un limite fissato.
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“SIAMO CIRCONDATI”
Dottor Vista l’uso di additivi è permesso in tutti i cibi?
Lo stesso Regolamento, come modifica del precedente 1333/2008 stabilisce le categorie merceologiche di prodotti per cui l’aggiunta di additivo è consentita o vietata.
Qualche esempio?
Un emulsionante come i mono e digliceridi degli acidi grassi (E471) è un additivo autorizzato, ma non può essere usato nel burro, così come le clorofille rameiche (E140) non possono essere impiegate per rendere più verde il tè non aromatizzato oppure i coloranti bianchi per rendere il latte più brillante.
Anche gli alimenti biologici contengono additivi?
Gli alimenti biologici trasformati vengono prodotti rispettando un disciplinare di produzione che indica le tipologie e le quantità di additivi consentiti. Le norme generali sono dettate dal Reg. Ce 834/2007 e la sua applicazione dal Reg. Ce 889/2008; tutto questo nel rispetto di altre eventuali certificazioni insistenti sul prodotto.
Questo significa che i cibi biologici ne contengono meno in percentuale?
Per alcuni, ad esempio i nitrati, il Regolamento del 2008 indica quantità minori (80 mg/kg) rispetto a quanto riportato in quello generale (150 mg/kg). Per tutti è specificata la categoria d’uso. Esempio il carbone vegetale (E153) è consentito solo nei prodotti di origine animale e nello specifico formaggio caprino alla cenere e nel formaggio Morbier. L’idrossido di sodio (E524), invece, solo negli alimenti di origine vegetale e nello specifico nel trattamento superficiale del ‘Laugengebäck’.