Una nuova ricerca smentisce la convinzione che la vitamina D sia efficace contro gli attacchi di asma. E aggiunge perplessità sul ricco mercato di integratori su cui spesso guadagnano le stesse industrie che producono farmaci.
Gli integratori di vitamina D possono aiutare chi soffre di asma? Secondo una nuova revisione Cochrane no, non servono a nulla.
Bassi livelli ematici di vitamina D sono stati collegati a un aumentato rischio di gravi attacchi di asma e una precedente revisione Cochrane del 2016, degli stessi autori dell’attuale revisione aggiornata, aveva rilevato che i dati suggerivano che la vitamina D riducesse il rischio di attacchi di asma. Eppure il dibattito è continuato e alcuni studi successivi hanno scoperto che la vitamina D non ha alcun effetto.
Vitamina D e asma, la ricerca di Londra
Il team della Queen Mary University di Londra, nel Regno Unito, ha condotto una meta-analisi aggiornata per includere i dati di nuovi studi completati dopo la loro ultima revisione.
La revisione di 20 studi clinici, pari a 2.225 partecipanti, conclude in maniera inequivocabile
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“In contrasto con la nostra precedente revisione Cochrane su questo argomento, questa non trova che la vitamina D offra protezione contro gravi attacchi di asma o migliori il controllo dei sintomi”.
Le prove sono durate da tre a 40 mesi e tutte tranne due hanno studiato una particolare forma di vitamina D chiamata colecalciferolo o vitamina D3. Questa è la forma più comune di compresse di vitamina D.
I dati accumulati indicano che le persone a cui sono stati somministrati integratori di vitamina D non avevano un rischio inferiore di gravi attacchi di asma rispetto a quelli trattati con placebo (farmaci fittizi). E l’integrazione di vitamina D non ha influenzato le misurazioni del controllo dell’asma o della capacità respiratoria; né ha influito sul rischio di gravi effetti collaterali dannosi.
La revisione dell’Aifa
La bocciatura si aggiunge alla revisione appena effettuata dall’Aifa, l’Agenzia del farmaco italiana, che con la Nota 96 ha modificato alcuni criteri per cui si può prescrivere la supplementazione della Vitamina D o delle molecole simili nelle persone che hanno una reale carenza. Nella nota, è stata anche introdotta una nuova categoria di potenziali persone a rischio ovvero chi ha gravi deficit motori o è allettata a domicilio. Nello stesso tempo si è ridotto il limite da 20 a 12 ng/mL di Vitamina D nel sangue delle persone con o senza specifici sintomi e senza altri rischi per potere richiedere la rimborsabilità del trattamento.
Un provvedimento che era stato spiegato dal professor Alberto Ritieni su queste colonne e che ha provocato diverse polemiche. Non sempre fondate, almeno nel fuoco di fila di chi sostiene che si tratti di un favore alle case farmaceutiche. Va considerato infatti che il mercato degli integratori – dove i supplementi di vitamina D sono una parte importante del fatturato – è sostanzialmente gestito proprio dai big dei farmaci.
Integrazione a pioggia? Nessun miracolo, anzi
L’Aifa nella stessa nota ha anche valutato che l’impatto della Vitamina D sul contagio e la gravità del Covid 19 fosse insufficiente a considerarla come uno strumento di protezione dal virus pandemico. Questi dati sono frutto della valutazione di studi condotti di recente (ad esempio Coronavit e Cloc del 2022) nel caso dell’utilità della Vitamina D per contrastare o prevenire il Covid 19 e di studi svolti nel 2018 che hanno dimostrato come occorra avere livelli inferiori a 10 ng/mL perché sia giustificata la supplementazione nei pazienti con problemi respiratori.
Spiegava il professor Ritieni: “Queste ricerche evitano una generalizzazione dei trattamenti con Vitamina D senza tenere conto, ad esempio, dei sintomi, tant’è che nei casi di osteoporosi o nelle donne in dolce attesa occorre avere un livello di almeno 30 ng/mL per valutare la necessaria integrazione o meno. In sintesi, dare Vitamina D ‘a pioggia’ è un vero paradosso perché esponendosi al sole la autosintetizziamo e senza valutarne i sintomi e le patologie sarebbe non solo un inutile spreco di risorse, ma paradossalmente potrebbe provocare un maggiore rischio per la salute dovuto ad “abuso” che deriva dalla supplementazione eccessiva”.