Vuoto a rendere e bioplastica, così il ritardo dell’Italia incide sulla crisi del gas

vuoto a rendere

La produzione di plastica è responsabile di una imponente immissione di CO2 in atmosfera e dell’utilizzo massiccio di gas e petrolio. Potrebbe essere fortemente ridotta se l’Italia prendesse sul serio gli impegni presi su posate e piatti monouso e sul deposito cauzionale che serve all’introduzione del vuoto a rendere nei supermercati

 

Quando si pensa alla plastica si è portati a pensare solo alle conseguenze ambientali della dispersione di imballaggi come bottiglie, bicchieri e confezioni varie. Quello che si dimentica spesso è che la produzione di questo materiale è tra i maggiori responsabili delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera e che per produrlo servono materie prime fossili come petrolio e gas, oggi al centro di una crisi geopolitica scoppiata con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Ma mentre il ministro per la Transizione ecologica, Roberto Cingolani, si dichiara estremamente impegnato nel trovare soluzioni rapidi per sostituire l’importazione di gas dalla Russia, acquistandolo altrove e spingendo sulle rinnovabili, sul fronte riduzione del consumo di materie prime energetiche, non si ode alcuna voce.

Il rapporto ecco

E invece, a dire che questo pezzo di strada è strategico per il futuro del nostro paese dell’Unione europea sono i dati. Per esempio, quelli contenuti nel rapporto sulla decarbonizzazione della filiera della plastica, di Ecco, il think tank italiano indipendente sul clima, che lo ha redatto in collaborazione con Greenpeace, Spring e le Università di Padova e Palermo. Secondo il rapporto, che analizza le criticità le soluzioni e gli scenari futuri per favorire una decarbonizzazione della filiera della plastica, l’Italia è il secondo paese consumatore di plastica in Europa.

Meglio il riciclo che la bioplastica

Nel 2020 sono state consumate 5,9 milioni di tonnellate di polimeri fossili, corrispondenti a quasi 100 kg a persona. Per ogni chilo di plastica prodotto viene immesso nell’atmosfera circa 1,7 kg di CO2. Anche la produzione di bioplastica da fossili comporta la stessa quantità di anidride carbonica, mentre il riciclo della plastica comporta un rapporto di 0,5 kg di CO2 per chilo di prodotto immesso in circolazione. Detto in altre parole, dal punto di vista delle emissioni inquinanti, dopo il riuso, il riciclo è nettamente la scelta migliore, mentre la bioplastica da fonti fossili è poco differente dal quella tradizionale.  Dal punto di vista del ruolo dell’Italia, c’è qualche altro dato che appare centrale: “Il 42% della plastica consumata in Italia viene utilizzata nel settore degli imballaggi e dell’usa e getta, mentre poco più del 30% dei rifiuti plastici viene destinato al riciclaggio.  Le bioplastiche rappresentano quasi il 6% del mercato.

La deroga alla bioplastica italiana

Giuseppe Ungherese, responsabile campagna inquinamento, spiega: “Nonostante la direttiva europea Sup preveda per il divieto di plastica in piatti e stoviglie di plastica monouso, l’Italia l’ha recepita con una deroga che consente l’utilizzo di prodotti con meno del 10% di plastica. Una decisione presa per favorire la produzione italiana, che conta sul fatto che prima che la procedura d’infrazione europea nei confronti del nostro paese arrivi a compimento passeranno anni”.

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Il vuoto a rendere in ritardo

Insomma, non una strategia lungimirante. Così come nonostante a luglio 2021 un emendamento al decreto Semplificazioni, poi convertito in legge, aveva aperto all’introduzione di un sistema di deposito cauzionale per imballaggi di bevande anche in Italia, e quindi anche al vuoto a rendere, si attende ancora il decreto attuativo da parte del Ministero della Transizione ecologica. Lo scorso novembre, il deputato Aldo Penna, ha presentato un emendamento, poi riformulato dal governo, che ha introdotto la norma nell’ordinamento italiano. Eppure siamo ancora fermi.  “L’emendamento prevede un sistema di deposito e cauzione, che porterebbe al recupero del 90% degli imballaggi immessi in commercio. Manca il regolamento. Capisco che non è facile perché dovrebbe interessare tutto il sistema della Gdo, che dovrebbe rietichettare i prodotti perché le macchine che le recuperano riescano a riconoscerli”. Eppure, ogni minuto perso è un minuto regalato all’inquinamento e alla dipendenza energetica dalla Russia.

 

Serve una politica attiva

“La plastica è il 5 o 6 emettitore globale di Co2 e potrebbe anche peggiorare, il primo pilastro da seguire è la riduzione dei consumi, eliminando la plastica inutile, a partire dagli imballaggi – spiega Giuseppe Ungherese – mi rendo conto che il settore è complesso e complicato, ma bisogna ridurre la produzione dove è possibile ma soprattutto ricorrere al riuso e la vendita di prodotti sfusi. È qualcosa che la nostra specie ha già fatto e che può tornare a fare. La Francia ha già avviato una serie di misure (come lo stop  agli imballaggi nella frutta e verdura) e dato una serie di incentivi per migliorare la logistica per evitare lo spreco dei prodotti. Anche in Spagna i negozi più grandi devono riservare il 20 per cento  a prodotti sfusi. Abbiamo bisogno di politiche attive – conclude Ungherese – La plastica è un settore importante, occupa molte persone, muoversi è un beneficio per tutti”.