Dal clima ai pesticidi, il rischio di un ritorno al passato anche sulla sicurezza alimentare si fa sempre più reale. E la lobby del fossile e dei pesticidi approdittano della guerra in Ucraina per mettere sotto assedio le regole europee. E trovano sponda nella Ue e nel governo Draghi. Naomi Klein chiamava “The shock doctrine” la dottrina del capitalismo di usare le crisi per ottenere vantaggi.
Divisi tra la sensazione di una gigantesca speculazione e l’evocazione – assai lontana, per fortuna, dalla realtà – di un’economia di guerra, gli italiani nelle prime settimane dall’invasione Ucraina da parte della Russia, sono tornati ad avere paura. Ovviamente ci sono i timori di un conflitto più largo di quello attuale, ma pesano anche gli effetti già concreti sulle proprie finanze familiari. Bilanci – quasi inutile ripeterlo – già messi a dura prova da oltre due anni di pandemia.
Il prezzo della pasta e la guerra in Ucraina
E così, da una parte è tornata la corsa agli accaparramenti di pane, pasta, olio di girasole, farina, dall’altra è partita la ricerca spasmodica dei distributori che praticassero qualche centesimo di sconto rispetto a prezzi di benzina e gasolio che il nostro paese non aveva mai visto.
Il conflitto ucraino, però, con queste dinamiche c’entra assai poco, anche se fa comodo a molti evocarlo. Le bombe su Kiev non hanno alcuna influenza, tanto per fare un esempio, col prezzo della pasta, dato che il grano duro che usiamo per produrla non viene né da Kiev, né da Mosca. Lo acquistiamo da Canada, Francia, Usa e lo usiamo soprattutto per la pasta che esportiamo. Se si pensa che tra i primi sette produttori italiani per vendite, circa il 40% delle quote di mercato (per l’esattezza quelle di Barilla, Molisana e Voiello) è appannaggio di maccheroni, spaghetti & Co. prodotti con tutto grano italiano, appare debole anche la motivazione del forte calo di esportazioni dal Canada come giustificazione dei rialzi.
Aumenti delle bollette e della benzina: cosa pesa davvero sui prezzi
Anche sul prezzo del petrolio addossare tutte le responsabilità alla guerra Ucraina sembra un po’ miope; certo la Russia è un grande produttore ma l’altalena delle quotazioni internazionali dell’oro nero mostrano chiaramente come in questo campo pesino altri fattori. Gas ed elettricità, poi, erano aumentati già a fine 2021, dunque la guerra non è stato l’unico fattore a determinarle. Semmai queste ultime crisi, avrebbero dovuto spingerci non tanto a differenziare gli approvvigionamenti ma a sostituire queste fonti. Se si considera che da qui a due anni la Cina avrà bisogno di una quantità di gas naturale pari a quello che ne può esportare la Russia (le stime sono di Leonardo Setti, ricercatore all’Università di Bologna) la strada sembrerebbe obbligata.
In gioco la sicurezza alimentare
E invece c’è una parte importante dell’Europa, come potete leggere nell’intervista a Eleonora Evi che abbiamo anticipato sul ilSalvagente.it (e che pubblichiamo integralmente sul numero in edicola da venerdì 25 marzo), che sembra approfittare degli eventi per spingere verso un enorme passo indietro col ritorno alle fonti fossili. Con una sponda assai sensibile nel governo Draghi. E non è la sola spinta oscurantistica con la quale dovremo fare i conti in questi giorni. Quella sul Farm to Fork ve la raccontiamo nel numero di aprile del Salvagente e sembra l’ennesima crociata delle industrie per non rinunciare a pesticidi, agricoltura e allevamenti intensivi. Diversi importatori hanno addirittura chiesto una revoca temporanea dei limiti di residui dell’Ue per i pesticidi nei prodotti alimentari e nei mangimi importati, per importare merci non conformi agli standard di sicurezza europei.
Ma anche l’apertura, come quella appena fatta dal ministero dello Sviluppo all’uso di oli diversi dal girasole dichiarato in etichetta, non va di certo nella direzione della qualità e della trasparenza. Per garantire le industrie da quello che è un problema reale – la carenza di una materia prima – si dà la possibilità di non rispettare l’elenco degli ingredienti dichiarati. Senza neppure l’obbligo di apporre un adesivo per informare il consumatore, il rischio più che probabile è di tornare all’uso massiccio e nascosto di olio di palma.
Il rischio – e qui citiamo Alberto Ritieni – di barattare la sicurezza alimentare per un accesso facilitato ai cibi è reale. E ci riporterebbe indietro nel tempo.
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