Nel test di copertina del numero di febbraio del Salvagente, abbiamo mandato in laboratorio 16 confetture di fragola tra le marche più popolari in Italia, scoprendo che in due casi la presenza di patulina era in quantità superiori alla soglia massima considerata adatta per i bambini. Purtroppo, la normativa europea lo ritiene fuorilegge solo se il prodotto è venduto esplicitamente come baby food.
La patulina nella frutta
La patulina è una tossina che assunta in quantità eccessive può portare a disturbi gastro-intestinali, come ulcere, emorragie. Il problema è che il Regolamento Ue 1881 del 2006, la norma di riferimento sulle tossine, non prevede una soglia esplicita per le composte di fragole. Per risalire a una soglia relativa a confetture, bisogna far riferimento a quella stabilita per le composte di mela, 25 mg/kg, il limite più restrittivo per i derivati di frutta. Il dubbio principale riguarda la differenza di trattamento tra mela e derivati e altri frutti. Anche perché la normativa europea fissa un limite ancora più basso di patulina per i prodotti alla mela destinati ai bambini al di sotto dei 3 anni: 10 microgrammi/Kg, pari a un quinto del limite di legge per gli adulti. “Che la patulina sia nella pera o nella mela poco cambia” – riflette Alberto Ritieni, ordinario di chimica degli alimenti alla Federico II di Napoli – “Perché diamo tutta questa attenzione alle mele? Sicuramente lo meritano perché sono più diffuse, più comuni, ma visto che pure i derivati di altra frutta vanno spesso ai bambini, perché questi non sono compresi nella categoria a rischio come le mele?”.
Le soglie per i bambini
La stessa soglia massima di 10 mg/Kg di patulina, è fissata per i cosiddetti baby food, gli “alimenti destinati ai lattanti e ai bambini diversi dagli alimenti a base di cereali”, secondo le parole dello stesso regolamento 1881. Ancora una volta: perché a un bambino di 2 anni la legge consente di fare scorpacciate di un prodotto con patulina superiore a 10 mg/Kg, solo perché il prodotto non è venduto come “Baby food”? Quando l’avevamo chiesto in occasione del nostro test sui succhi di pera (2019) a Carlo Brera, primo ricercatore dell’Istituto superiore di sanità, ci aveva risposto: “Abbiamo verificato da studi fatti nel 2008 a livello comunitario che il frutto da cui proviene il succo maggiormente interessato dalla contaminazione è la mela”. Se da una parte è abbastanza chiaro che l’industria non gradirebbe un aggravio di analisi e test a suo carico per ogni tipo di frutta, secondo l’esperto dell’Iss, i limiti europei sono tranquillizzanti. “Se io identifico un limite massimo di legge e una soglia tossicologica di riferimento, relazionata all’alimento più a rischio, tutti gli altri inevitabilmente sono al di sotto”. Ma confrontando alcuni dati tra mele e pere, considerando il risultato peggiore riscontrato nel test del Salvagente sui succhi di pera, basterebbe che un bambino di 20 chili di peso ne consumasse tra i 4 e i 5 bicchieri al giorno per raggiungere la dose tossicologica da non superare.
Il don nella pasta
Gli stessi dubbi sulle regole europee relative alle micotossine, il Salvagente li aveva posti nel 2016 quando aveva analizzato diversi campioni di pasta, trovando in alcuni casi livelli preoccupanti di deossinivalenolo, il don o vomitossina. Anche qui, campioni in regola con i limiti previsti dalla normativa sulle micotissine, ma con concentrazioni tali che con un solo piatto di pasta al giorno un bimbo di un anno rischia di “assorbire” oltre il 30% della dose giornaliera tollerata di don. E, badate bene, stiamo parlando della dose tollerata da un adulto, con un organismo ben più difeso di quello di un fanciullo. Le micotossine sono le muffe che attaccano i cereali, dal grano al mais, e che possono arrivare fino al piatto. La tossicità di queste sostanze è nota da tempo anche se, al di sopra delle dosi tollerate, hanno differenti effetti sulla salute umana. Se l’Aflatossina B1 – assente nelle paste da noi analizzate – è classificata dalla Iarc come cancerogena per l’uomo, il Don invece è responsabile di nausee, vomito e disturbi gastrointestinali specialmente tra i consumatori più giovani. Questa sostanza sicuramente è tra le più diffuse nei prodotti a base di cereali, frumento in primis. Sulla pasta esiste un doppio limite: uno per i prodotti destinati all’infanzia (sotto i tre anni) pari a 200 ppb (microgrammi per chilo) mentre per la pasta destinata agli adulti (da tre anni in su) il tetto sale a 750 ppb. Va da se che spesso la pasta per adulti finisce anche nel piatto dei nostri bebè e che un limite di legge che considera sullo stesso piano chi ha compiuto tre anni e chi ne ha magari 60 offre poche tutele ai più giovani.
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Niente allarmismi, ma…
Non vogliamo fare ora dell’allarmismo mediatico ma in Francia a concentrazioni ben più basse l’Agenzia per la sicurezza alimentare, l’Anses, ha concluso nel 2016 che l’esposizione dei bambini al Don deve essere ridotta. Le conclusioni, contenute in una voluminosa ricerca condotta in sei anni su oltre 200mila campioni alimentari, inseriscono il Don tra le 9 sostanze per le quali l’esposizione è stata considerata preoccupante. La vomitossina è stata ricercata in tanti prodotti per l’infanzia (dalle bevande a base di latte ai cereali per la colazione, dal pane alle pizzette, dal riso ai biscotti) e naturalmente anche sulla pasta pediatrica. E con livelli compresi tra 39 e 44 ppb – pari a meno della metà di quella da noi rilevata – l’autorità di vigilanza francese considera preoccupante la situazione. Un invito di fatto a rivedere gli attuali limiti di legge.
Perché la legge va aggiornata
E da noi? La situazione dovrebbe forse essere più preoccupante. Al di là delle concentrazioni medie, perché mangiamo molta più pasta dei cugini d’Oltralpe già in tenera età. A questo punto va posta una domanda: con un singolo piatto di pasta, con una contaminazione media di 100 ppb, ampiamente sotto il limite di legge, quanta vomitossina si assorbe? La Jecfa, il comitato di esperti dell’Oms e della Fao sugli additivi chimici, fissa in 1.000 nanogrammi per chilo di peso corporeo la dose giornaliera tollerata di Don. Una dose che vale per tutti, baby consumatori e adulti. Dalle tabelle pediatriche ricaviamo che un bimbo di 12-18 mesi mangia 30 g di pasta al giorno, alla concentrazione media da noi rilevata di 100 ppb, il bimbo solo con la pasta assume il 30% della dose tollerata. Se poi aggiungiamo i tanti prodotti a base di cereali (pane, pizza, biscotti, cracker, corn flakes) che ne completano la dieta, la quota giornaliera di Don si alza. Rivedere i limiti a livello comunitario si può ma è difficile, così come chiedere una “deroga” per l’Italia in virtù degli elevati consumi di pasta (27 kg procapite all’anno contro i 6 a livello Ue). Ma prevedere un limite post infantile che cioè a tre anni non consideri un bimbo un “piccolo adulto” forse è non solo più facile ma anche utile.