Lo paghiamo dai 30 ai 39 euro al chilo a seconda dei mesi di stagionatura. Eppure, almeno fino a maggio 2018 come è in grado di ricostruire il Salvagente, una coscia di Prosciutto di Parma su tre in vendita, sarebbe dovuta costare la metà perchè era un falso prosciutto Dop, ottenuto da un maiale incrociati con verri danesi non ammessi dal disciplinare del Consorzio di tutela. Una colossale truffa ai danni delle tasche dei consumatori che sta per ripartire perché in queste settimane – se gli enti di controllo non interverranno – circa 3 milioni di cosce di falso Parma Dop stanno per essere vendute nei supermercati di tutta Italia
Lo scandalo dei falsi prosciutti Dop, Parma e San Daniele, scoppiato un anno fa come raccontano le inchieste del Salvagente, on line e nell’edizione cartacea oggi raccolta in una nuova guida sui recenti scandali alimentari, ha mostrato finora solo la punta di quello che invece è un grande iceberg contro il quale rischia di infrangersi uno dei marchi più prestigiosi del made in Italy.
“Fino a maggio 2018 è stato venduto falso prosciutto”
Le responsabilità? Di chi doveva controllare e non l’ha fatto, o non lo ha fatto appieno, l’Ipq, l’Istituto Parma qualità, in primis, e dei “controllati” – il Consorzio del prosciutto di Parma, Assica, l’Associazione industriali delle carni e l’Unapross, l’Unione nazionale tra associazioni produttori suini – che sono a loro volta proprietari del controllore, ovvero del certificatore l’Ipq. Un conflitto di interesse pazzesco che rischia di riversare più di 3 milioni di falsi prosciutti e farli pagare ai consumatori come salumi Dop.
Per riuscire a capire la portata dello scandalo è bene partire dai fatti. E quelli che possiamo accertare tramite la visione di documenti riservati, è che nel giugno 2018 dopo che Ipq è stata da un mese commissariata (insieme all’omologo ente di certificazione per il San Daniele) dall’Icqrf, la Repressione e frodi del ministero delle Politiche agricole, e da Accredia, l’Ente italiano di accreditamento che vigila sugli enti di certificazione, vengono bloccate circa 400mila cosce alle quali vengono tolti i marchi del Parma. Gli ispettori che hanno fermato la frode non hanno dubbi: sono prosciutti che vengono da suini incrociati con genetiche “spinte”, danesi in particolari, che arrivano a pesare molto in breve tempo. Troppo, per il peso forma di un prosciutto di Parma Dop che da vivo può pesare tra i 144 e i 176 kg. “È chiaro che almeno il 35% delle cosce vendute fino a maggio 2018 è falso Parma ed è già finito nei supermercati”, allargano le braccia gli ispettori.
“I macelli non devono registrare i peso dei maiali”
Per quanto tempo è andata avanti questa frode? Da anni rispondono “sussurrando” da anni. C’è chi arriva ad ipotizzare dal 2015 quando una circolare interna degli enti certificatori dei prosciutti Dop, Parma e San Daniele, cancella l’obbligo per i macelli di registrare il peso da vivo dell’animale.
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Secondo il disciplinare del Parma un animale che pesa meno di 144 kg e più di 176 kg non può essere avviato alla stagionatura del Dop. E invece, senza obbligo di registrare gli scontrini di pesatura, per anni così è stato. Con la gioia di tutti: i maiali inseminati con sperma di verri danesi favorivano una crescita rapida (un vantagglio per gli allevatori) e il raggiungimento di un peso elevato (un vantaggio per i macellatori che diventano proprietari della carne per rivenderla poi ai salumifici) che garantiva cosce grandi (adatte a una stagionatura lunga, quella su cui puntano i salumifici).
Dal peso delle carcasse si scopre l’inganno
Per troppo tempo nei circa 60 macelli (in gran parte localizzati in Emilia e Lombardia, un paio di in Friuli e poche unità in Piemonte) sono stati macellati suini non conformi al Dop ovvero più di 176 kg e altri che pesavano meno di 144 kg. Con la compiacenza di tutta la filiera.
Domanda legittima: se era stato abolito l’obbligo di registrare il peso dell’animale da morto, come si è riusciti a scoprire la truffa? “Partendo dal peso delle carcasse” spiegano da Roma chi lavora al dossier. Vincendo le “resistenze” dell’Istituto friuliano, che da ottobre concede a Ipq solo a febbraio 2019 le chiavi di accesso al Portale nazionale della classificazione delel carcasse (Ifcq e Ipq sono gli enti incaricati del controllo del Portale), i commissari riescono a risalire al peso da vivo dell’animale. Il quadro che emerge è drammatico: per mesi, forse anni, almeno il 35% delle cosce avviata alla stagionatura del Dop aveva un peso fuori forma. “E la coscia a 12 mesi della macellazione non poteva ricevere il prestigioso marchio. Cosa che invece regolarmente avveniva”.
Nel 2019 “pronti” 800mila falsi prosciutti
Seguendo questi dati vengono bloccati 400mila prosciutti a giugno 2018 e si stima che nel secondo semestre 2018 debbano essere smarchiate circa altri 2.400.000 di prosciutti. Ma il sistema truffaldino, nonostante il clamore suscitato dallo scandalo, non si ferma. Sempre da documenti che abbiamo potuto visionere, dal 1° gennaio 2019 al 31 marzo 2019, quindi nel solo primo trimestre di quest’anno, le partite che risultano essere fuori peso sono circa 3.000 per un totale di circa 390.000 suini e circa 780.000 cosce Dop. Che fine faranno tra 12 mesi queste carcasse? Saranno marchiate oppure verranno venduti come semplici prosciutti, quindi alla metà del prezzo della Dop?
I signori del prosciutto restano in sella
Nel frattempo l’Ipq è stato di nuovo commissariato e chi ha contribuito a svelare la truffa dei falsi prosciutti Dop è stato allontanato, compreso il presidente dell’Istituto defenestrato meno di una settimana fa. Chi rimane in sella sono i signori del prosciutto, dai macellatori ai salumifici, nell’inerzia di un Consorzio che sembra paralizzato dal conflitto di interessi e pare più interessato a salvaguardare il buon nome delle aziende piuttosto che quello dell’eccellenza italiana più esportata al mondo.
La storia di Parma ci insegna una cosa: spesso non serve il cattivo straniero a far del male al made in Italy. Su questo siamo dei maestri. E se il ministro Centinaio e tutti gli organi di controllo non interverranno presto, il rischio è che più di 3 milioni di cosce non verranno smarchiate e i consumatori italiani pagheranno il doppio per acquistare questo falso prosciutto di Parma.