Il Ceta minaccia l’etichetta di origine del grano sulle confezioni di pasta

PASTA
“Ministro Martina, le lobby dell’agribusiness canadesi la considerano ‘protezionista’ per le sue leggi sulla tracciabilità del grano in etichetta e tramite il Ceta propongono di farle saltare. Come si sente ad aver appoggiato questo accordo tossico?”. E’ il twitter provocatorio che la coalizione Stop Ttip Stop Ceta hanno indirizzato all’ex ministro dell’Agricoltura dopo che CropLife, l’associazione internazionale delle aziende agrochimiche, ha duramente attaccato le nostre leggi (volute proprio da Martina) che prevedono l’indicazione obbligatoria in etichetta della pasta della provenienza del grano.
Il motivo di tanto astio è facile immaginarlo: le importazioni di grano canadese (la principale materia prima della nostra pasta, almeno fino allo scorso anno) sono state fortemente ridotte e questo, per ovvie ragioni, non è piaciuto alle lobby dell’agribusiness che lo considerano senza grandi giri di parole, un ostacolo al libero commercio.
Come reagire? In un dossier scritto a quattro mani da CropLife e dalla Camera di Commercio canadese, è contenuta la risposta: approfittare del comitato per la cooperazione regolatoria istituito dal Ceta, il trattato internazionale che sancisce un accordo commerciale di libero scambio tra Canada e Unione europea. Nel documento, la Camera di Commercio canadese spiega infatti con chiarezza che “uno dei punti di forza del Ceta è la struttura istituzionale creata dall’accordo, che forza il governo del Canada e la Commissione europea a mettere sul tavolo i fattori ‘irritanti’ per il commercio”. E l’etichettatura del grano sembra proprio essere molto “irritante” per il commercio canadese: l’export canadese è crollato dai 557 milioni di dollari canadesi del 2014 ai 93 milioni del 2018.
Non è da meno – si legge ancora nel dossier – la stretta europea ai residui dei pesticidi giudicata anch’essa “una barriera al commercio ingiustificata che non offre alcun livello superiore di sicurezza per i consumatori”. Da qui l’invito di usare a fondo le possibilità del Ceta perché vengano risolti i “disallineamenti” sui residui minimi di pesticidi, poiché “la scienza ha bisogno di essere depoliticizzata, facilitando il rapporto diretto tra i regolatori per costruire una maggiore fiducia”.