“Serve un programma di protezione… laboratori”. Sembrava una battuta quella che aveva fatto Matteo Fago, il nostro editore, a caldo nella diretta facebook che avevamo dedicato alla pasta dopo la fortunata puntata di Striscia la notizia. Ma non era tale, è il frutto di quanto abbiamo registrato già a poche ore dalla messa in onda del servizio di Max Laudadio in cui – cosa inedita per la televisione – la redazione di “È tutto un magna magna” ci ha permesso di fare i nomi dei prodotti nei quali avevamo trovato tracce di pesticidi (in particolare di glifosato) e micotossine.
Un inedito per chi, come i nostri giornalisti, anche sui canali del servizio pubblico, si sente spesso ripetere “Per carità, niente nomi…” come se ai giornalisti non fosse stato insegnato, da sempre, che si dice il peccato così come il peccatore. Sempre, ovviamente, a condizione di aver fatto le verifiche adeguate.
Tant’è che gli effetti si sono fatti sentire già dopo qualche ora. Una prima lettera da uno dei laboratori che effettuava analisi per il nostro giornale ci ha dato subito la sensazione di quello che era successo. “Non possiamo più collaborare con la vostra redazione e anche le analisi in corso si intendono interrotte” ci ha comunicato una striminzita mail, dandoci il senso delle pressioni (minacce?) ricevute da chi fa onestamente il suo lavoro.
Non ce la prendiamo – ci mancherebbe – con chi ha deciso di non collaborare più con il Salvagente, spaventato da pressioni alle quali probabilmente era impreparato. Così come non ci ha meravigliato, dopo la puntata di Striscia, ricevere da importanti laboratori risposte del tipo: “Possiamo fare analisi per vostro conto ma a condizione che non vengano pubblicate”… Tutti dobbiamo pur vivere e lavorare e se noi, giornalisti di questa testata ed editore, siamo pronti a rispondere di quello che scriviamo sia pubblicamente che in tribunale, non possiamo pretendere che un laboratorio privato sia disposto ad andare alla guerra con potentati economici che potrebbero strangolarlo.
Non siamo neppure tanto ingenui da non immaginare quante e quali pressioni debbono essere arrivate su chi “firmava” le prove che ogni mese pubblichiamo. Non è la prima volta che ricercatori siano costretti a non parlare più con noi, dopo qualche inchiesta pesante.
A preoccuparci, però, è il clima di intimidazione che si può esercitare (e si esercita) su di loro. E per questo dal numero che è in edicola con tutte le analisi sulle farine abbiamo scelto, di comune accordo con l’editore, di rinunciare a una nostra peculiarità, quella di pubblicare il nome del laboratorio che ha condotto le analisi dei nostri test.
Non è un segno di resa, come constaterete leggendolo e come avrete già percepito dalla copertina che richiama, volutamente, quella della pasta, come una sorta di sequel del numero di novembre. Il servizio firmato da Enrico Cinotti, infatti, non fa sconti e mette in evidenza le preoccupazioni che da sempre abbiamo tanto nei confronti del cocktail di pesticidi che del glifosato.
Allarmismo, come suggeriscono le reazioni di diverse industrie del settore?
Non lo crediamo.
Non lo pensavamo quando indicavamo (sempre con nome e cognome, abbiamo questo brutto difetto) le aziende che usavano il triclosan sospetto di interferenza endocrina in dentifrici e saponi intimi; non lo ritenevamo neppure quando spiegavamo i rischi del fenossietanolo, conservante assai sospetto di molti prodotti per l’infanzia; né quando abbiamo cominciato a raccontare i danni del glifosato.
Tutti casi in cui le industrie hanno poi fatto marcia indietro. Adottando quel principio di precauzione che invocavamo. Chissà che non succeda la stessa cosa anche per i pesticidi presenti nei migliori prodotti del made in Italy… Chissà che chi ha a cuore i simboli del made in Italy (ce ne sono, ma non sono esattamente tutti quelli che lo incensano demagogicamente) o, semplicemente ha in mente (e non solo negli spot) qualità e sostenibilità delle sue produzioni non decida di fare un altro, importante passo in avanti.