Mutti: “Per noi il concentrato è un simbolo, ma solo se è 100% italiano”

Ad Argenta, nella campagna larga ferrarese è da poco andata all’asta un’azienda che si occupava di trasformazione di pomodoro da industria e che produceva concentrato, la “Ferrara Food”. Una piccola brutta storia, con lavoratori a casa, debiti e un danno per l’indotto. Ma è una storia interessante per capire quanto la marginalità nella produzione del concentrato sia bassissima. Per questo da oltre 15 anni il concentrato arriva dalla Cina, dalla California e da alcuni paesi Ue, come Spagna e Portogallo, come dimostra l’inchiesta di copertina del numero del Salvagente in edicola proprio da oggi, con volumi che cambiano a seconda della disponibilità del prodotto e del prezzo, che in tutti i casi deve essere bassissimo.

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È la politica del prezzo che ha fatto di questo mercato, legale, perché consentito dalla normativa Ue, ma con qualche zona grigia, al limite dell’illegalità, uno dei più redditizi del settore. Compro a poco, additivo con acqua, zucchero e sale, per rivendere in Africa, ma anche in alcuni paesi Ue, nel nord Europa e in Germania. Il tutto stando alle regole comunitarie.

In tema di pomodoro da industria Nord e Sud Italia giocano complessivamente una partita importante sul mercato interno ed internazionale, con delle differenze. Nel nord la produzione di pomodoro è meccanizzata, nel sud ancora largamente affidata al lavoro bracciantile. Ai grandi trasformatori, a nord e a sud, si affiancano broker di peso, sia a Parma sia a Napoli, in grado di movimentare grandi quantitativi di pomodoro e di concentrato. Se i primi puntano tutto sulla qualità e sul brand, i secondi traggano vantaggio da una politica di prezzo.

Il Salvagente ha deciso di chiedere alle aziende principali di questo settore di raccontare le scelte che fanno e la materia prima che utilizzano. Un viaggio nella realtà industriale del pomodoro che affianca l’inchiesta di copertina del giornale in edicola che proseguirà nei prossimi giorni.

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Fra chi ha scelto di puntare esclusivamente sulla qualità e sul made in Italy c’è Francesco Mutti, che dal 1994 guida l’azienda di famiglia, giunta alla quarta generazione. La sua politica è: solo pomodoro italiano di alta qualità, lavorato con trasparenza ed eticità. Mutti è leader del mercato dei derivati (con una quota in volume del 20,8%, ovvero 353mila tonnellate trasformate nel 2017), raggiungendo nella categoria del concentrato una quota del 50%: il tubetto della “Mutti” è presente da sempre nelle case degli italiani. “Rappresenta una piccola parte del nostro mercato, l’1,5%, 5.500 tonnellate – racconta Francesco Mutti –, ma sono legato al concentrato, perché siamo stati i primi a lanciarlo, negli anni Cinquanta, fu una vera intuizione, ma questo vale per altri prodotti, come per la polpa di pomodoro, nata in “Mutti” nel 1971. Lavoriamo solo pomodori italiani”.

Mutti ha creato un circolo virtuoso che coinvolge tutta la filiera produttiva: l’azienda lavora a stretto contatto con i produttori agricoli attraverso un percorso di affiancamento, supporto e cooperazione, fornendo loro assistenza tecnica ed attrezzature, premiando la migliore qualità. L’impegno è quello di fare altrettanto anche al Sud, dove “Mutti” è presente con lo stabilimento di Fiordagosto, in provincia di Salerno.