Conservare gli alimenti e mantenerli commestibili per lungo tempo è sempre stata, dalla notte dei tempi, una delle prerogative fondamentali per l’essere umano, per salvaguardare la propria sopravvivenza. Un lento e inesorabile percorso che dal sale è arrivato ai nostri supertecnologici congelatori.
I nemici principali da combattere, per conseguire il risultato, sono i batteri, questi piccoli “esserini” che popolano la materia a ogni latitudine, specialmente quando questa è ricca di nutrienti come il cibo.
Allungare la vita di un alimento significa distruggere o rallentare la riproduzione di questi microrganismi, creando quindi condizioni sfavorevoli per essi. Rubargli acqua, ossigeno, metterli in condizioni ostiche di temperatura e acidità.
Nell’evoluzione dei sistemi per rendere la vita difficile se non impossibile a questi batteri, i nostri antenati hanno scoperto le prodigiose doti del sale, dell’aceto e del freddo. Tra questi metodi ha avuto successo anche l’uso del fumo di legna per perseguire il suddetto obiettivo.
Conservante? No aroma
Come può un’impalpabile nuvola scura rendere un cibo più duraturo? I fattori responsabili, che creano condizioni sfavorevoli sui microrganismi sono: il calore del fumo, la creazione di un ambiente carente di ossigeno e la presenza di molecole ad azione antibatterica all’interno della nube. Tra queste sostanze la più attiva è certamente la formaldeide.
Contestualmente all’azione conservante, questa pratica permette di conferire all’alimento anche una caratteristica nota aromatica, molto gradevole.
Il carico sospetto dell’affumicatura
Con il passare del tempo e il progredire della ricerca scientifica, sono state scoperte, purtroppo, anche delle conseguenze negative derivanti da questa tecnica. Gli idrocarburi policiclici aromatici – quelli sprigionati dalle sigarette per intenderci – sono purtroppo tra le sostanze rilasciate all’interno del cibo affumicato.
Oltre a questi anche particelle sottili, derivanti dalla combustione, si rinvengono nel cibo sottoposto ad affumicatura.
Vengono così progettati impianti che, tramite condensazione, filtrano il fumo prima che esso raggiunga l’alimento, ma non tutte le molecole tossiche vengono trattenute e poi, in aggiunta, come avviene sovente nell’industria, ci si scontra con il fattore economico, che ha un peso molto importante in questa tecnologia.
L’aspetto aromatizzante del fumo, con lo sviluppo delle tecnologie e la trasformazione dei mercati, piano piano sovrasta l’azione conservante. L’affumicatura perde quindi nel tempo la sua funzione primaria e questo evento permette lo sviluppo della tecnologia del fumo liquido, molto più economica e rispondente alla richiesta del consumatore.
Dalla combustione del legno di faggio essiccato, i fumi prodotti vengono fatti condensare in acqua. La soluzione raccolta viene confezionata in taniche che le aziende alimentari piccole e grandi possono acquistare e utilizzare, realizzando dei “bagni” in vasca dove vengono immersi i prodotti da “affumicare”. A seconda delle esigenze queste soluzioni “fumose” possono essere anche nebulizzate sul prodotto o addirittura iniettate.
Dimenticatevi il legno
A questo punto, viene spontaneo domandarsi se è possibile continuare a definire questi prodotti “affumicati”, visto che il fumo non è più presente. I cibi derivanti non sono affumicati, ma soltanto aromatizzati. Infatti, nella lista ingredienti compare l’aroma di affumicatura, disciplinato dei Regolamenti europei n. 2065 del 2003 e n. 1321 del 2012. Resta comunque obbligatorio, ai sensi del Regolamento CE 1169/2011, specificare nella denominazione del prodotto il termine “affumicato”, seguito dall’indicazione “aroma di affumicatura” nella lista ingredienti.
Queste leggi impongono anche il tenore massimo di fumo liquido che si può usare relativamente alla soluzione commerciale adoperata e la tipologia di alimento da “aromatizzare”. Quantità di fumo liquido che, per kg di prodotto trattato, vanno dagli 0,002 milligrammi negli oli e nei grassi fino addirittura ai 5 grammi per le carni.
È importante sapere che i criteri di purezza di questi prodotti prevedono la presenza di metalli tossici, come piombo, arsenico, cadmio e mercurio, sotto 1-5 mg per kg. I metalli pesanti, comunque non sono mai completamente assenti e questo non è un aspetto da sottovalutare.
Un bagno chimico
Nonostante questa certezza, la richiesta del prodotto affumicato è in continua crescita sul mercato. Dal pratico e costoso salmone affumicato, alla scamorza onnipresente nelle preparazioni di pizzerie e paninoteche, fino addirittura alle bottigliette di condimenti utili per aromatizzare a casa le nostre pietanze con il pungente sapore di fumo.
Questi condimenti di fumo liquido, come quelli della Stubb’s, possono essere impiegati per realizzare marinature antecedenti la cottura della carne oppure, direttamente sulla portata pronta nel piatto come aromatizzante.Parliamo di condimenti che, più di tanti altri, sono ricchissimi di sodio, per il voluto abbinamento del gusto salato con l’aroma di fumo e soprattutto per garantire una lunga conservabilità.
Che venga dal cibo o dalla sigaretta, questo fumo ha davvero qualcosa di mistico, capace di attirare e creare dipendenza nell’essere umano.
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