Cosa c’è negli inchiostri per tatuaggi? Lo studio choc Usa

TATUAGGI

Negli Stati Uniti una ricerca universitaria ha analizzato 54 inchiostri per tatuaggi: il 90% conteneva sostanze non dichiarate. Come il fenossietanolo e addirittura un antibiotico comunemente usato per le infezioni del tratto urinario. In Europa le regole sono più stringenti ma i controlli bastano?

Cosa c’è dentro un flacone di inchiostro per tatuaggi? Molto di più di quanto dichiarato nella sua composizione. È questo lo sconcertante risultato raggiunto da un recente studio condotto presso la Binghamton University e pubblicato su Analytical Chemistry che ha portato alla luce preoccupazioni significative riguardanti la composizione dell’inchiostro per tatuaggi e le potenziali implicazioni per la sicurezza. La ricerca, condotta dal laboratorio del Professore Assistente di Chimica John Swierk, ha rivelato discrepanze sostanziali tra gli ingredienti indicati sull’etichetta dell’inchiostro per tatuaggi e le sostanze effettivamente presenti nella bottiglia.

Lo studio statunitense

Lo studio, intitolato “Cosa c’è nel mio inchiostro: un’analisi dell’inchiostro per tatuaggi commerciale sul mercato statunitense”, ha attirato l’attenzione su una lacuna importante nell’industria dei tatuaggi, sollevando dubbi sulla sicurezza e sull’accuratezza delle informazioni fornite ai consumatori.

Il team di ricerca, guidato dal dottorando Kelli Moseman, insieme a Ahshabibi Ahmed e Alexander Ruhren, ha condotto un’analisi dettagliata di inchiostri per tatuaggi provenienti da nove produttori negli Stati Uniti. I produttori variavano da grandi aziende globali a produttori più piccoli, e gli inchiostri analizzati comprendevano una varietà di colori.

I risultati della ricerca sono stati sorprendenti. Su un totale di 54 campioni di inchiostro analizzati, ben il 90% presentava discrepanze significative rispetto ai contenuti indicati sull’etichetta. Queste discrepanze includevano la presenza di pigmenti diversi da quelli dichiarati e l’aggiunta di additivi non elencati.

In particolare, più della metà degli inchiostri analizzati conteneva polietilenglicoli  non dichiarati, una sostanza associata a potenziali danni agli organi attraverso l’esposizione ripetuta. Inoltre, un numero significativo di inchiostri conteneva propilenglicole, un possibile allergene, e altri contaminanti, come un antibiotico comunemente utilizzato per trattare le infezioni del tratto urinario e fenossietanolo, conosciuto da anni, come possibile interferente endocrino.

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Da dove arrivano i contaminanti?

L’origine di queste discrepanze rimane oggetto di dibattito. Il team di ricerca ha ipotizzato che gli ingredienti non elencati potrebbero essere stati aggiunti intenzionalmente durante il processo di produzione, o che i produttori potrebbero aver ricevuto materiali etichettati in modo errato o contaminati.

Le implicazioni per la sicurezza dei tatuaggi sono significative. Mentre le reazioni allergiche sono il risultato negativo più comune , la presenza di sostanze non dichiarate può complicare ulteriormente il quadro clinico. E rendere difficile per i medici diagnosticare e trattare eventuali complicazioni che si presentano dopo mesi o anni dai tatuaggi.

Usa ed Europa, regole diverse

La ricerca della Binghamton University solleva anche preoccupazioni riguardo alla regolamentazione dell’industria dei tatuaggi negli Stati Uniti. Fino alla fine del 2022, gli inchiostri per tatuaggi non erano soggetti a regolamentazione da parte della Food and Drug Administration federale, ma con l’approvazione del Modernization of Cosmetics Regulation Act (MoCRA), ci si aspetta che la FDA cominci ad assumere un ruolo più attivo nella regolamentazione e nell’etichettatura accurata dei prodotti.

In Europa, invece, la situazione è diversa perché già da tempo questo settore è soggetto a regolamentazioni più severe, supervisionate dall’Agenzia europea per le sostanze chimiche.

Resta però, tanto al di là che al di qua dell’Oceano, la preoccupazione dettata da questa ricerca, se non altro perché rende evidente come servano più controlli, al di là di quanto dichiarano i produttori di inchiostri.