L’Europa propone di affiancare alla scadenza e al termine minimo di conservazione la dicitura “Spesso buono oltre…”. Cosa cambierà per le nostre abitudini alimentari, sarà davvero un metodo per combattere lo spreco o piuttosto si tratta di un favore ai produttori?
Un salto nel buio, l’angolo cieco, dietro l’angolo, a occhi chiusi etc. sono tutti modi di dire che riassumono in poche parole la paura dell’ignoto e dei cambiamenti che è insita nell’uomo. Gli alimenti e tutto ciò che li coinvolge sono parte del nostro vivere quotidiano e, inoltre, hanno una grande rilevanza economica. L’ evoluzione di un qualsiasi aspetto che li tocchi può suscitare sospetti, specie ora che è molto più rapida e per questo sembra ancor più “spaventevole”. Le informazioni nel tempo sugli alimenti sono sempre più vaste, ma le nuove conoscenze scientifiche e tecnologie permettono di modificare le etichette per migliorare i rapporti tra consumatori, produttori e ambiente. A questo punto proviamo a capovolgere la frase di Tomasi di Lampedusa “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi” e accendiamo un “occhio di bue” sulle nuove regole di etichettatura che sono proposte per comprenderne il loro spirito e la loro utilità.
L’Europa propone la nuova dizione in etichetta “Spesso buono oltre…”, ma non cambia nulla per il consumatore
FALSO La Commissione Europea ha di recente proposto di aggiungere una nuova dicitura “Spesso buono oltre…” che si affiancherebbe a quella perentoria del “consumarsi entro” e a quella più tollerante del “consumare preferibilmente da consumare entro”. Perché c’è bisogno di una terza aggiunta? La prima delle ragioni è contrastare lo spreco eccessivo che oggi si registra in molte dispense. In parte si spreca per le offerte di alimenti in quantità spesso superiori ai nostri bisogni, ma a prima vista convenienti oppure per la paura di improvvise “carestie sugli scaffali dei supermercati” che inducono ad acquisti superflui. Questi alimenti si tramutano per chi fa la differenziata in volumi di umido da smaltire in qualche modo. In Italia sprechiamo mediamente a testa circa 36 Kg di alimenti che costano oltre 9 miliardi di euro (fonte: “Osservatorio internazionale di Waste Watcher”) e se aggiungiamo quanto speso per produrli si raggiungono oltre 16 miliardi di euro all’anno. In alcuni paesi si preferisce acquistare formati piccoli, o fare acquisti più frequenti o ancora meglio programmare i menù per una settimana intera. In Italia alcune criticità nascono perché non si surgelano piccole porzioni di carni o di pesce acquistati in gran quantità. Probabilmente contribuisce anche l’abbandono del negozio di quartiere e la scelta dei centri commerciali dove si abbina la spesa alimentare ad altri acquisti ma questo può indurre carrelli (e dispense) sovradimensionati. Il risultato talvolta è che alcuni alimenti raggiungono la data del “preferibilmente da consumare entro…” per cui sono buttati creando uno spreco maggiore.
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L’aggiunta “spesso buono oltre…” confonderà i consumatori perché non migliora le loro scelte
FALSO Un alimento è paragonabile a un bipede che si regge su due solide gambe che negli alimenti sono la sicurezza e la qualità. Il primo parametro della “sicurezza” non è contrattabile, deve essere sempre garantita e assicurata per tutti gli alimenti e per tutti i consumatori. I pericoli per gli alimenti sono per lo più microbiologici ovvero dovuti a batteri, virus, muffe etc. che possono svilupparsi anche rapidamente e creare i presupposti di gravi rischi per la salute dei consumatori. Un esempio è il latte fresco pastorizzato trattato termicamente a 71,7-78 °C per 15-20 secondi, la sua conservazione in frigo è di circa 6 giorni; oltre tale limite non è possibile assicurare la sicurezza del latte e questo lo rende una possibile fonte di rischio. La definizione della data entro cui consumare permette di aver un buon compromesso fra un livello di sicurezza ottimale e un tempo di consumo adeguato. Nel caso della frase “consumare preferibilmente entro…” rappresenta invece un valore che assicura la qualità sensoriale e nutrizionale del prodotto senza che ne sia compromessa mai la sua sicurezza. La qualità può essere assicurata per quel periodo mentre consumarlo oltre può dare una “delusione sensoriale” ma è pur vero che siamo stati avvertiti dall’etichetta alimentare e non possiamo lamentarci troppo. Purtroppo, questa data per molti consumatori è recepita quasi come un avvertimento perentorio per cui riteniamo erroneamente che il giorno dopo la scadenza il prodotto “zoppichi” anche per i livelli di sicurezza. Questa valutazione fa sì che siano buttati dalla dispensa o dal frigo degli alimenti ancora sicuri e quindi utilizzabili pur se sono oltre la data preferibile per consumarli indicata dal produttore. La nuova frase riassunta in “spesso buono oltre…” vuole rassicurare il consumatore che l’alimento è ancora sicuro oltre a essere identico come sapore, aspetto o nutrizionale a quello comprato appena dieci giorni prima. In sintesi, “spesso buono oltre…” non vuole confondere i consumatori ma ha come obiettivo quello di evitare sprechi e renderli più consapevoli nei loro acquisti e nella conservazione degli alimenti da fare in maniera più attenta. Un minore spreco significa consumare meno le risorse del nostro pianeta e talvolta avere le tasche un po’ meno vuote.
Le aziende saranno certamente contrarie: d’altronde più butto più ricompro e loro vendono…
FALSO Una lettura superficiale non porterebbe ad essere d’accordo. Avere alimenti con un cosiddetto Tempo Minimo di Conservazione (TMC) più lungo comporta da un lato ridurre gli sprechi ma indirettamente questo fa sì che i consumatori facciano acquisti meno frequenti. Allora dov’è l’arcano? I prodotti alimentari vicini alla loro scadenza spesso sono scartati sugli scaffali dai consumatori a favore di lotti più freschi, anche se l’attuale periodo di difficoltà economica può non far sottovalutare questa opportunità di risparmio quando magari vengono offerti scontati. La minore propensione all’acquisto si spiega con la poca chiarezza nel distinguere la differenza tra sicurezza di un alimento e la sua qualità. Questi prodotti invenduti ma sicuri, devono essere resi alle aziende produttrici che provvedono a ritirarli dagli scaffali, a riportarli in un sito di lavorazione e a smaltirli in maniera ecosostenibile. Tutto questo comporta costi vari che oltretutto si sommano a quelli necessari e già sostenuti per la loro produzione. La bilancia economica è doppiamente in negativo, perché alla mancata vendita si sommano i costi accessori di ritiro, lavorazione e smaltimento. Se la lettura è più approfondita e tiene conto anche di questi aspetti, può essere comprensibile come i produttori siano d’accordo ad avere un prolungamento del TMC di alcuni alimenti.
Il Tempo Minimo di Conservazione è qualcosa di diverso dalla data di scadenza
VERO Il Termine Minimo di Conservazione (TMC) è già indicato sulle etichette alimentari degli alimenti e ci aiuta a consumarli entro un dato periodo. Questo limite non è però perentorio, non è un termine insuperabile come, ad esempio, i 6 giorni indicati per il latte pastorizzato perché non rappresenta il confine oltre il quale non è più assicurabile la sicurezza del prodotto. La data di scadenza rappresenta un limite di “sicurezza e salubrità” per alcuni alimenti mentre il TMC è un valore che ci assicura che fino a quel giorno è assicurata la qualità sensoriale del prodotto senza che ne risenta mai la sicurezza. Occorre tenere presente che i produttori di alimenti si salvaguardano indicando un valore di TMC che è anticipato rispetto all’inizio dei segnali di deterioramento dell’alimento così da non deludere le aspettative di qualità nutrizionale o organolettica che i consumatori attendono di ritrovare con il loro acquisto.
Non è detto che un alimento che non ha superato il termine minimo di conservazione sia ancora di ottima qualità. A volte gusto e occhi sono insostituibili
VERO Anche all’interno del TMC stabilito dai produttori possono verificarsi dal punto di vista sensoriale o nutrizionale dei decadimenti che rendono i cibi meno attraenti. Il consumatore non può verificare i livelli di contaminazione per esempio dei possibili patogeni, ma può osservare, odorare e assaggiare. In altre parole, i nostri occhi, il nostro senso dell’olfatto e quello del gusto possono aiutarci a decidere se un alimento ha superato i livelli minimi sensoriali ed organolettici. Se i nostri sensi confermano la scadente qualità dell’alimento possiamo evitarne il consumo evitando delle cocenti delusioni. Affidarsi unicamente alla lettura della data indicata sulla confezione può indurre a sprecare un prodotto del tutto consumabile e certamente sicuro.
Si può applicare questa nuova definizione a tutti gli alimenti
FALSO Alcuni alimenti si prestano meglio a essere conservati “oltre” il TMC. Ad esempio, i prodotti scatolati come pomodoro, tonno sott’olio si possono consumare anche un paio di mesi oltre la loro scadenza indicata. Gli stessi prodotti da forno anche un mese dopo l’indicazione del produttore possono essere equivalenti rispetto i prodotti con lotti più recenti. Nel caso di alimenti dove la componente sensoriale è dominante, ad esempio, come il caffè, l’olio extravergine di oliva è evidente che è consigliabile non superare di troppo il valore di TMC indicato in etichetta per non correre il rischio di usare alimenti sensorialmente deludenti per i nostri sensi. Nel migliorare la consapevolezza degli acquisti, con questo nuovo schema, si migliorerà anche la conservazione evitando che la luce o la temperatura possano deteriorare ancora più velocemente alcuni alimenti. Altri prodotti come pasta o riso possono essere consumati anche due mesi oltre il valore di TMC mentre le verdure sottolio è bene che siano consumati entro il TMC. Uno yogurt, infine, già vicino alla data “limite” ha un contenuto di probiotici molto minore di quando è stato prodotto…
Ogni alimento fa storia a se, ogni alimento ha la sua stagione e talvolta è più conveniente aspettare il giusto tempo perché si possa ancora godere delle qualità sensoriali senza che venga mai meno la sua sicurezza.
Conclusioni
Le Colonne di Eracle sono state un limite geografico e culturale per secoli, ma si sono superate e volente o nolente il pianeta si è arricchito da tanti punti di vista. L’evoluzione degli alimenti non può limitarsi a trovare nuove ricette, nuovi ingredienti o sensorialità; ma è anche facilitare i consumatori nelle loro scelte, ridurre gli sprechi e ottimizzare la distribuzione nel pianeta. Alexandre Dumas diceva “all’apparenza non bisogna sempre credere” e abbiamo per alcuni aspetti organolettici la possibilità di verificare se l’apparenza è pari alla sostanza affidandoci ai nostri sensi e alla nostra esperienza.