Test sul cioccolato: “Vi spiego perché il cacao è un accumulatore di metalli”

CIOCCOLATO METALLI

Il professor Marco Trifuoggi, Chimica dell’ambiente alla Federico II: “Parliamo di una pianta che è un concentratore naturale di metalli pesanti. Il cadmio nel suolo, poi, ha una maggiore mobilità. Il combinato disposto influisce molto”. I risultati del nostro test sul cioccolato fondente in edicola

“La pianta del cacao di per sé è un accumulatore di metalli pesanti. Se poi ci mettiamo che il cadmio nel suolo ha una maggiore mobilità, il combinato disposto può aiutarci a comprendere l’origine della contaminazione nel cioccolato”.
Marco Trifuoggi, docente di Chimica dell’ambiente e Chimica analitica forense alla Federico II di Napoli, è un esperto di metalli pesanti e contaminazione ambientale.

Lo abbiamo intervistato nel lungo servizio del nuovo numero in edicola e in digitale dove pubblichiamo i risultati del nostro test su 18 tavolette di cioccolato fondente dove il contenuto di cacao varia dal minimo di legge – il 43%fino all’integrale 100%. In sintesi: Più è fondente e maggiori benefici nutrizionali apporta. Ma più la percentuale di cacao cresce, maggiore è la concentrazione di metalli pesanti. Come si spiega questa contaminazione da cadmio e piombo?

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Professor Trifuoggi, cadmio e piombo che effetti hanno sull’organismo umano?
Appartengono tutti e due alla categoria dei metalli pesanti e sono entrambi tossici per l’uomo. La loro tossicità varia in base alla dose e al grado di esposizione ma esistono particolari fasce della popolazione più a rischio: questi metalli sono nocivi in gravidanza, interferiscono nello sviluppo del feto e in generale i bambini sono particolarmente vulnerabili. Entrambi sono classificati dalla Iarc dell’Oms come “probabili cancerogeni per l’uomo” e tra i due sicuramente il cadmio è il più tossico.
Eppure non esistono limiti alla loro concentrazione in molti alimenti. Perché?
Nell’acqua il legislatore ha fissato limiti molto bassi alla concentrazione di questi metalli perché è una delle primarie fonti di esposizione. Chiaro che la fissazione di una soglia massima è legata anche al consumo: nei succhi di frutta può essere più alto perché se ne consumano di meno rispetto ai due litri di acqua che in media un soggetto ingerisce. Il rischio connesso a un certo alimento poi dipende anche da quello che la medicina conosce. Infine bisogna anche individuare la speciazione di queste sostanze.
Ovvero?
Stabilire gli effetti in base alla forma o “specie” nella quale vengono assunti. L’arsenico, ad esempio, è tossico per l’uomo nella forma inorganica, mentre le forme metabolizzate sono meno tossiche. Per lo stagno si verifica l’opposto: il composto metilato è molto più tossico della specie inorganica. Per cadmio e piombo le forme metallorganiche sono tossiche pressoché quanto quelle inorganiche.

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Veniamo al punto della nostra indagine: come ci finiscono cadmio e piombo nel cioccolato?
Non esistono studi specifici, però possiamo dire che la pianta del cacao è un concentratore di metalli pesanti e anche che il cadmio è molto mobile nel terreno. Questi due elementi depongono a sfavore del prodotto finale, cioè del cioccolato. La concentrazione avviene più durante la crescita della pianta piuttosto che nella successiva fase di lavorazione dove, al di là dell’esposizione atmosferica, cadmio e piombo non entrano in gioco.
Qual è in campo la fonte di esposizione maggiore?
La presenza di cadmio e piombo è sia antropica, sia naturale, legata alla morfologia del terreno e poi all’inquinamento causato dalle attività umane, industriali e non. Se parliamo del cadmio è più presente nei terreni di origine vulcanica e nei siti di estrazione mineraria, così come nei terreni dove vengono utilizzati fertilizzanti fosfatici o fanghi da depurazione urbani.
Il cacao viene coltivato in gran parte in Africa e in America Latina: esistono delle specificità che possono influire?
Nei paesi in via di sviluppo la normativa ambientale e di sicurezza alimentare è sicuramente meno stringente. Basti pensare all’uso di benzine con il piombo che ancora in alcune aree del mondo sono consentite o all’assenza di limiti alla concentrazione di alcune sostanze nei fertilizzanti. Detto questo credo che nel cacao la contaminazione avvenga durante la coltivazione e non in quella successiva di trasformazione.
I dati della nostra indagine ricalcano il recente studio condotto in California sempre sul cioccolato fondente: servirebbe avere un limite per il piombo e soglie più stringenti per il cadmio a tutela del consumatore?
Si possono certamente proporre aggiornamenti normativi ma servono dati di controllo e valutazioni tossicologiche specifiche. La nostra università e in particolare i nostri laboratori – dove analizzeremo la presenza di metalli pesanti in molte matrici alimentari – fanno parte del progetto europeo di monitoraggio Metrofood, la prima infrastruttura di ricerca nel campo della sicurezza alimentare coordinata dall’Italia, nello specifico dall’Enea, e costituita da centri universitari e di controllo di 18 paesi europei. Verranno analizzati tanti alimenti per avere un quadro comunitario sulla sicurezza alimentare e sarà un’occasione per mettere a disposizione più dati possibili affinché Efsa, Ue e le autorità nazionali possano valutare l’adozione o la revisione di limiti alla concentrazione dei vari contaminanti.