Che cosa si intende per uso promiscuo di un bene o servizio e come questo incide sull’applicazione del codice del consumo. Le differenze tra le qualifiche di consumatore e professionista: le garanzia previste.
Quando si parla di uso promiscuo di un bene si fa riferimento ad un’agevolazione che viene concessa da un’azienda ai propri dipendenti, i quali potranno beneficiare di quel bene sia per uso personale che lavorativo, così come a quello di un professionista che acquista un bene che utilizzerà sia per il lavoro che per la propria vita privata. L’esempio tipico, nel primo caso, è quello delle automobili che vengono prese a noleggio a lungo termine o in leasing dall’azienda e poi date, come forma di benefit, ai dipendenti. Nel secondo, invece, pensiamo ad uno smartphone acquistato dal professionista per svolgere la propria professione, ma in realtà utilizzato anche nella vita privata. In questi casi l’uso personale e lavorativo del bene vengono accorpati, con il dipendente che non dovrà farsi carico dei costi relativi all’acquisto o alla manutenzione del bene e il professionista che potrà portare in detrazione le spese sostenute. A coprire le spese, nel primo caso, è l’azienda che, comunque, può sfruttare degli importanti vantaggi fiscali. Resta ora da capire se il lavoratore che riceve in uso promiscuo il bene può essere considerato un consumatore e, dunque, se rientra nelle tutele previste dal codice dei consumatori. A rispondere è stata la Corte di Cassazione.
Uso promiscuo e consumatori
Data in precedenza la definizione di uso promiscuo, cerchiamo ora di comprendere come l’ordinamento italiano definisca il consumatore. Iniziamo subito col dire che essere consumatori vuol dire poter contare su una maggiore tutela in caso di acquisto di prodotti difettosi. Ci sono, ad esempio, due anni di garanzia da poter sfruttare, con il venditore che, nel primo anno dall’acquisto, avrà il compito di dimostrare che il difetto di funzionamento dipende da un uso inappropriato dell’acquirente. In caso contrario, il consumatore avrà diritto all’assistenza o al cambio della merce non perfettamente funzionante. Il consumatore, inoltre, è tutelato dallo specifico codice del consumo. Quest’ultimo garantisce dal punto di vista fiscale delle importanti agevolazioni per le aziende che decidono di concedere dei beni in uso promiscuo ai propri dipendenti, ma lascia un grande vuoto in merito alla regolamentazione delle garanzie sul bene. Proprio per questo motivo è stato necessario l’intervento della Corte di Cassazione che ha precisato, nelle sentenza n. 5097/23, che “ai fini dell’assunzione della veste di consumatore l’elemento significativo non è il non possesso, da parte della persona fisica che ha contratto con un operatore commerciale, della qualifica di imprenditore commerciale, bensì lo scopo avuto di mira dall’agente nel momento in cui ha concluso il contratto”. Questo vuol dire che non può essere considerato un consumatore chi acquista un bene destinato alla propria attività professionale, anche nell’ipotesi in cui il suo utilizzo non sia esclusivo per la sola attività lavorativa (uso promiscuo). L’unica opzione per la quale chi acquista un bene destinato alla propria attività professionale può essere considerato un consumatore e, dunque, rientrare nel codice del consumo, è quella per la quale “l’uso professionale sia da considerarsi del tutto marginale”. Ecco dunque che in presenza di imprenditori e professionisti, questi potranno essere considerati come consumatori solo nel momento in cui sottoscriveranno un contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’esercizio dell’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale svolta. Come ribadito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 11933/2006, non può essere considerato consumatore un professionista, come ad esempio un avvocato, che acquista un telefono cellulare che utilizza anche per la propria attività professionale. E ancora, secondo la Corte di Giustizia UE, nella sentenza del 20 gennaio 2005, caso n.C-464/01, il professionista che conclude un contratto per un bene che utilizzerà anche solo in parte per la sua attività professionale, non potrà invocare la normativa che ha l’obiettivo di proteggere “la persona che presumibilmente si trova in posizione di debolezza rispetto alla sua controparte”. L’unica eccezione è rappresentata da quei casi in cui il nesso tra il contratto e l’attività professionale è talmente modesto da divenire marginale.
Differenza tra consumatore e professionista
Dai discorsi fin qui affrontati appare evidente che la legge italiana faccia una netta distinzione tra due diverse tipologie di soggetti acquirenti:
- il consumatore, ovvero colui che acquista un dato bene o servizio per farne un uso tipicamente personale o familiare. Gli esempi in questo caso sono molti, dal lavoratore dipendente che acquista uno smartphone per un utilizzo esterno al lavoro, fino a colui che acquista un’automobile che viene sì utilizzata per andare a lavoro, ma che non è tuttavia funzionale all’attività lavorativa o imprenditoriale;
- il professionista, ovvero colui che acquista un bene o servizio perché strumentale al proprio lavoro professionale, imprenditoriale, artigiano. Un esempio tipico è quello di un’agente di commercio che acquista un’automobile di grandi dimensioni per trasportare la merce che dovrà vendere ai propri clienti, così come quello di un avvocato che compra un computer portatile per poter gestire gli atti processuali e i rapporti telematici con i propri clienti o quello di un’azienda che acquista un televisore da appendere nella sala di ricevimento della clientela.
Come evidente si tratta di qualifiche ben distinte e l’attribuzione ad una delle due comporta delle variazioni sulle tutele garantite dalla legge, specie in caso di prodotto difettoso e garanzie rilasciate dal venditore. Quest’utlimo, non potendo conoscere sempre la qualifica dell’acquirente, utilizza un metodo empirico per effettuare la distinzione tra consumatore e professionista: la presenza di una partita Iva che offre la possibilità di scaricare le spese sostenute per la propria attività professionale. Ecco dunque che se l’acquirente fornisce la propria partita Iva per avere la fattura, viene considerato un professionista. Il ragionamento logico dietro questo passaggio è molto semplice: la fattura serve per scaricare le spese, per cui se gli imprenditori, i professionisti o gli artigiani la richiedono è perché quel dato bene o servizio è collegato all’attività lavorativa. Tale possibilità, invece, non è riservata al consumatore privo di partita Iva che non può, dunque, scaricare il costo sostenuto dalla propria dichiarazione dei redditi. Anche su questa divisione degli acquirenti è intervenuta la Corte di Cassazione specificando che la semplice emissione della fattura con partita Iva in sede di acquisto non esclude l’ipotesi che possa trattarsi di un consumatore e non di un professionista. Ciò che suggerisce la Suprema Corte al venditore è dunque di indagare sull’uso effettivo che l’acquirente farà del prodotto. In base a questa pronuncia appare evidente che un professionista che acquista un tablet con la partita Iva, ma poi non lo usa per l’attività professionale, deve essere considerato come un consumatore e, dunque, avrà diritto alla tutela rafforzata in caso di prodotto difettoso.
Sul tema molto indicativo è, inoltre, quanto stabilito dal Giudice di Pace di Caserta in data 10 febbraio 2020, nella sentenza n. 103, In questa si decide l’esclusione dell’applicazione della disciplina consumeristica nel caso in cui il cliente abbia indicato nel contratto la propria partita iva. Nel caso in esame, il giudice aveva dunque negato il titolo di consumatore all’acquirente di un’automobile che aveva inserito, tra i dati personali, la propria partita iva. Per il Giudice di Pace tale circostanza crea la “fondata presunzione di utilizzo promiscuo del veicolo tale da rendere inapplicabile il Codice del Consumo”.
Non conosci il Salvagente? Scarica GRATIS il numero con l'inchiesta sull'olio extravergine cliccando sul pulsante qui in basso e scopri cosa significa avere accesso a un’informazione davvero libera e indipendente
Le garanzie del consumatore
Come detto il consumatore può vantare delle maggiori tutele rispetto al professionista, soprattutto per quanto riguarda il sistema delle garanzie. Al consumatore, infatti, in base a quanto previsto dal codice del consumo, spettano due anni di garanzia. Al professionista che acquista con partita Iva, invece, soltanto un anno. E ancora, al professionista spetta il compito di denunciare entro 8 giorni dall’acquisto eventuali difetti del prodotto, mentre tale onere non è richiesta al consumatore. Si sottolinea a tal punto che, in passato, la legge prevedeva che il consumatore dovesse denunciare eventuali difetti entro 60 giorni, mentre ora tale termine è stato del tutto eliminato. Altra importante garanzia prevista per il consumatore è quella relativa ai difetti del prodotto o servizio acquistato. Se, infatti, questo si manifesta nel primo anno dalla consegna del prodotto, il consumatore non dovrà dimostrare che tale difetto era preesistente all’acquisto. Ciò che gli basta per ottenere la garanzia è, dunque, semplicemente evidenziare il vizio del bene o del servizio. In questo caso sarà il venditore a dover fornire la prova che il problema riscontrato sul prodotto dipende da un uso inappropriato dell’acquirente e non da difetti di fabbrica. Il professionista, invece, non può contare su questa facilitazione nell’onere della prova.