Quanto amianto c’è ancora in Italia?

amianto

L’amianto uccide lentamente. Lo sappiamo da 40 anni ma ignoriamo quanto ancora ce ne sia in Italia. I dati ufficiali non sono completi e l’ex ministero della Transizione ecologica non sembra se ne sia interessato. Ma le stime non sono rassicuranti

Quanti sono i siti contaminati e da bonificare? Sembra un paradosso ma rispondere a queste domande non è facile.

Sono passati 30 anni da quando l’Italia ha messo al bando l’amianto (la legge numero 257 risale al 1992). A oggi, l’amianto resta una pesante eredità del passato. Negli ultimi anni si è registrata anche una inversione di tendenza rispetto all’aggiornamento dei numeri. L’amianto giace ancora silente, come silente è la sua letalità per la salute umana.

 

Quanto amianto c’è in Italia

Fino alla scorsa legislatura al ministero della Transizione Ecologica (Mite) spettava il compito di raccogliere i dati da tutte le regioni italiane e aggiornare la mappa dei siti italiani contaminati da amianto. L’aggiornamento dei numeri sembra aver subito un rallentamento dal 2020. Possiamo dunque solo stimare la presenza di amianto in Italia, perché non tutte le regioni comunicano dati aggiornati e puntuali, come dovrebbe accadere il 30 giugno di ogni anno.

I dati dei siti contaminati di interesse nazionale (Sin) e quelli riportati dal Piano nazionale amianto (Pna) spingono le stime a 108mila siti contaminati di amianto in Italia e solo 7.905 siti bonificati al 30 dicembre 2020.

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Invece, l’ultimo report di Legambiente dal titolo “Liberi dall’amianto?”, risalente al 2018, stimava il triplo della presenza di amianto in Italia: 370mila siti contaminati.

Ci sono regioni, come la Lombardia, che non forniscono numeri aggiornati da 5 anni, e che da sola nel 2013 contava 149mila siti contaminati. Altre, come il Piemonte, che addirittura comunicano open data geolocalizzati.

Nel 2020 il Mite ha avviato un portale che tuttavia non è ancora  aperto alla consultazione.

Non resta che affidarsi ai report di ogni singola Arpa regionale, sperando che la propria Regione di riferimento abbia una fotografia chiara della presenza di amianto sul proprio territorio.

 

La stima: 1 milione di siti contaminati

Il Fondo nazionale vittime amianto fotografa un’altra realtà, che non è solo fatta di numeri. Nicola Pondrano, responsabile della Sezione previdenza dell’Associazione familiari e vittime dell’amianto di Casale Monferrato, nel computo dei siti italiani contaminati da amianto inserisce tutti gli immobili industriali. Così la cifra salirebbe a 1 milione di siti infestati (una stima 10 volte superiore ai dati non aggiornati del Mite).

Che cos’è l’amianto

L’amianto (conosciuto anche come asbesto) è un insieme di minerali naturali fibrosi, composti da sostanze denominate silicati (o sali di silicio) in associazione con vari metalli (alluminio, ferro, manganese, magnesio, calcio). Viene estratto in forme diverse (ad esempio, crisotilo, serpentino, tremolite) da miniere e cave sia a cielo aperto che in profondità.

Il termine amianto deriva dal greco “amiantos”, cioè incorruttibile, mentre “asbestos” significa inestinguibile. L’etimologia del termine non è casuale: le fibre di amianto, oltre ad essere flessibili e leggere, resistono particolarmente al fuoco, al calore e alle sostanze chimiche.

In passato l’asbesto è stato utilizzato nella produzione di più di 3000 prodotti, specialmente nel settore edile, quindi delle costruzioni. L’amianto è stato impiegato per la realizzazione di materiali di copertura e pavimentazione (circa l’80% sotto forma di prodotti di cemento-amianto, noti come eternit); nelle carrozze ferroviarie; come materiale di isolamento (termico ed elettrico), anche per le tute di protezione degli operai; per rivestimenti di forni e per la produzione di contenitori e tubature per il deposito o la distribuzione di acqua potabile.

 

Quali sono i rischi da esposizione

L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) mette in guardia dai rischi di esposizione umana all’amianto.

Le fibre respirabili di amianto raggiungono e si depositano negli alveoli polmonari (zone profonde del polmone) dove avviene il trasferimento dell’ossigeno al sangue e l’eliminazione della anidride carbonica.

Durante il trasporto all’interno dei polmoni, le fibre di asbesto, però, possono anche fermarsi nei bronchi per incastro della punta della fibra sulla loro parete.

Le cellule dette macrofagi, che si occupano delle difese interne dell’organismo, riescono ad eliminarne solo alcune, a seconda della loro forma e composizione. Le rimanenti fibre di amianto possono arrivare in altre parti del corpo.

Le fibre di amianto possono essere respirate, se disperse nell’aria, o ingerite se sciolte nell’acqua.

L’accumulo, o l’esposizione prolungata, possono provocare nell’uomo:

  • infiammazione permanente;
  • ispessimento della parete e una specifica fibrosi polmonare chiamata asbestosi.

Questa condizione limita la funzione respiratoria degli alveoli polmonari, procurando una progressiva malattia dell’apparato respiratorio che, nel tempo, passa da fibrosi polmonare a enfisema, pleurite cronica fino a insufficienza respiratoria.

Inoltre, l’amianto è associato a un’alta incidenza di tumori polmonari, della laringe, dell’ovaio e mesoteliomi, tumori maligni della pleura e del peritoneo (membrana che avvolge gli organi addominali).

La comparsa del tumore può avvenire a distanza di anni dall’esposizione all’asbesto ed anche in assenza di asbestosi polmonare.

 

I rischi di contaminazione dell’acqua potabile

Diversa è la situazione quando le fibre di amianto sono ingerite per via orale, attraverso l’acqua potabile. Le dimensioni delle fibre non favoriscono il loro deposito ed accumulo nell’organismo e infatti, in questi casi, non è mai stata osservata la comparsa di fibrosi nel tratto gastro-intestinale.

Il consumo di acque altamente contaminate può provocare la formazione di polipi benigni all’intestino. Tuttavia – chiarisce l’ISS – non ci sono indicazioni di formazione di tumori intestinali e allo stomaco.

C’è da dire che non tutti sono d’accordo con questa rassicurazione e alcuni scienziati italiani negli anni hanno ipotizzato risultati molto più allarmanti sul consumo di acque contaminate.

 

Ancora un rischio per i lavoratori

Prima che l’amianto fosse vietato, i lavoratori nei luoghi di estrazione e lavorazione dell’asbesto sono stati i più esposti all’inalazione di fibre sottili e lunghe disperse nell’aria. Anche nella vita non professionale si potevano respirare fibre di amianto rilasciate dai vari materiali contenenti questo minerale.

Nonostante l’attuale divieto di impiego dell’asbesto, rimane anche oggi la possibilità di respirarne le fibre, a causa dell’esistenza di prodotti non ancora sostituiti, o non smaltiti correttamente e presenti nelle discariche o in luoghi contaminati.

Se respirate, le fibre di amianto possono entrare nell’organismo in modo diverso a seconda della loro lunghezza e del diametro. Quelle con diametro fino a 0,015 millimetri e lunghe tra 0,08 e 0,2 millimetri penetrano più a fondo nelle vie respiratorie (per questo sono definite respirabili). Le particelle di diametro e lunghezza maggiori si fermano invece nelle vie aree superiori (naso, trachea) e vengono eliminate.

 

Silente per 20 anni

I disturbi causati dall’amianto iniziano a comparire in modo leggero dopo che sono trascorsi circa 20 anni dalla prima esposizione all’amianto.

Sono caratterizzati da:

  • fatica a respirare (dispnea), inizialmente dopo uno sforzo fisico poi anche a riposo;
  • tosse;
  • dolore al torace.

Progressivamente si verifica un peggioramento delle condizioni generali del malato e, nelle fasi avanzate della malattia, un’insufficienza respiratoria e/o cardiaca.

Se la malattia peggiora determinando l’insorgenza di un tumore polmonare o di altro tipo, si aggiungeranno i sintomi propri della malattia tumorale specifica.

E le tubature?

In caso di tubature in cemento-amianto, in seguito ad erosione da parte dell’acqua o a danneggiamenti, si può verificare un rilascio nell’acqua potabile di fibre di asbesto di forma diversa rispetto a quelle disperse nell’aria. Tuttavia, il loro maggiore diametro e la loro minore lunghezza le rende meno “pericolose” per l’organismo rispetto a quelle disperse nell’aria. Di conseguenza, l’inalazione di fibre disperse nell’aria dovute all’uso domestico di acqua potabile contaminata per il lavaggio o la pulizia di indumenti, pavimenti o superfici, non è pericolosa come la respirazione di fibre di amianto lunghe e sottili.

 

Quanto ne serve per ammalarsi?

Non si può determinare una quantità definita che possa procurare malattie. Sappiamo solo che l’amianto è nocivo soprattutto quando rilascia polveri nell’aria. Quindi bisogna tenere a distanza materiali in amianto sbriciolati o danneggiati.

Sono pericolose anche le aree fortemente influenzate dagli agenti atmosferici. Un terremoto o un crollo possono rilasciare polveri nell’aria che respiriamo. Per questo la bonifica è fondamentale.

 

Che succede se si tocca l’amianto?

L’amianto non ha un odore riconoscibile e non danneggia l’uomo se è intatto. Toccare un materiale in amianto di per sé non è pericoloso.

 

Come faccio a sapere se c’è  in casa?

La bonifica dall’amianto richiede consapevolezza, onestà nei comportamenti e attenzione. L’amianto intero e non danneggiato non espone a rischi per la salute. Ma va rimosso. Per sapere se nel nostro palazzo o nella casa vicina ci sia presenza d’amianto, bisogna contattare l’ASL di riferimento, o l’ARPA della propria provincia.

L’amianto in genere si annida nei rivestimenti in cemento utilizzati in pareti, soffitti e pavimenti. Nei tubi dell’acqua calda situati all’interno nelle pareti in muratura. Negli isolamenti in stufe a legna o sotto i focolari del riscaldatore.

 

Chi paga per la rimozione di amianto?

Quando l’opera contenente amianto non rientra nelle parti comuni di un condominio (ad esempio, il tetto di copertura dell’edificio) la spesa di rimozione e bonifica dell’amianto compete al singolo proprietario.

 

Il riscatto di Casale Monferrato

Quando parliamo di amianto la mente rievoca lo stabilimento Eternit di Casale Monferrato, in Piemonte. È da lì che tutto ha avuto inizio. Nell’ordinanza numero 83 del 1987 si faceva divieto dell’impiego di lastre e manufatti in cemento-amianto, di qualsiasi residuo della produzione su quel territorio comunale nel cuore delle Langhe, oggi patrimonio Unesco grazie alle produzioni vitivinicole e alle straordinarie geometrie umane dei terrazzamenti di uva integrati con un paesaggio collinare dolce e produttivo.

Nel 1986 lo stabilimento di Eternit di Casale Monferrato chiuse per fallimento. Entro 8 anni (fino al 1994) la commercializzazione di prodotti a marchio Eternit contenente cemento-amianto cessò in Italia, ma prosegue ancora oggi con lo stesso marchio Eternit in altri Paesi del mondo, tra cui il Brasile, Cina, India, Kazakhstan.