Saccarina: quali sono i suoi effetti dannosi e gli ultimi studi che ci mettono in guardia

SACCARINA

Il 3 agosto 2022 l’Oms ha emanato una bozza con le nuove linee guida sull’uso degli edulcoranti. L’organizzazione mondiale fa sapere che gli zuccheri aggiunti e dolcificanti artificiali non dovrebbero superare il 10% delle calorie giornaliere. La saccarina però continua a circolare nonostante gli studi abbiano dimostrato le correlazioni con la glicemia, quindi con il diabete.

 

Dopo anni di battaglie contro il consumo eccessivo di zucchero raffinato (che effettivamente fa male), le nuove strategie di mercato si fanno furbe e cavalcano un bisogno puntando sui dolcificanti artificiali, come l’aspartame, l’acesulfame-K e il sucralosio. In realtà, siamo di fronte a un nuovo pericolo: il dolce inganno del “senza zucchero”. Infatti, nonostante le rassicurazioni di Efsa (Autorità europea per la sicurezza alimentare), l’aspartame (indicato con la sigla E951) è il dolcificante artificiale tra i più abusati dall’industria alimentare ma sospettato di essere cancerogeno, come dimostrano gli studi dell’Istituto Ramazzini di Bologna.

Prendiamo ad esempio la saccarina (nome in codice E954). Questa molecola ha rappresentato il primo dolcificante artificiale, ed è stata scoperta nel 1879 da Ira Remsen e Constantin Fahlberg della Johns Hopkins University.

La saccarina ha un potere dolcificante 450 volte superiore a quello del saccarosio. Si presenta al palato attraverso un retrogusto amaro o metallico generalmente considerato sgradevole, specialmente ad alte concentrazioni. Un “difetto” che in alcuni Paesi viene corretto associandola al ciclamato in proporzione 1:10. Spesso viene utilizzata anche in associazione con l’aspartame.

 

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Dove si trova la saccarina

Questo edulcorante artificiale viene spesso offerto nei bar e nei ristoranti in sostituzione dello zucchero e viene impiegato nelle versioni “light” delle bibite gassate e dei soft drink. La saccarina è contenuta come dolcificante in quasi tutti i dentifrici di produzione industriale.

Viene utilizzata nell’industria alimentare e può trovarsi in molti tipi di cibi. Oltre alle bibite light, possiamo ritrovarla tra le etichette delle gomme da masticare (chewing-gum), nei condimenti a base di frutta, nelle decorazioni per prodotti dolciari, ma anche in gelatine, marmellate, succhi di frutta e altri prodotti.

È presente nel junk food (cibo spazzatura), studiato appositamente per attrarre clienti con l’idea delle calorie zero. Al contrario, sono alimenti dallo scarso valore nutrizionale e dall’elevato apporto energetico, di sale da cucina, additivi che “manipolano” il sapore, coloranti per il restyling visivo (per renderli più attraenti, come il vietato, ma ancora utilizzato biossido di titanio) e aromatizzanti per truccare ulteriormente la sapidità.

Quindi, alla saccarina, sono molto vulnerabili i bambini.

Questo edulcorante è impiegato anche nel settore farmaceutico.

 

Saccarina liquida e saccarina in polvere

Questo dolcificante può essere impiegato in forma di liquido o in polvere. Tra gli scaffali della grande distribuzione organizzata sono sempre più diffusi i flaconcini di dolcificanti saccarina liquida, con packaging sempre più accattivanti e ammiccanti, slogan promettenti e stampati a caratteri cubitali che funzionano più come specchietto per allodole. “Zero”, “Light”, “Dietetico”: sono le parole più abusate dal marketing. Le confezioni con dosatore e contenuto liquido stanno pian piano soppiantando i più comuni dosatori di saccarina di sodio, anche detta saccarina solubile, che è la forma del sale di iodio della saccarina.

La saccarina può aumentare la glicemia

Un articolo scientifico pubblicato dal magazine della Fondazione Umberto Veronesi, a firma del biologo e nutrizionista esperto Fabio Di Todaro, mette in guardia dall’utilizzo di saccarina e sulla possibilità che questa molecola possa aumentare la glicemia. Un effetto, propedeutico all’insorgenza del diabete, che potrebbe essere legato alla capacità dei dolcificanti artificiali di modificare la flora batterica.

Questi dolcificanti, suggeriti per anni dai dietologi ai pazienti desiderosi di perdere peso, sono invece costantemente nel mirino della comunità scientifica per i presunti effetti dannosi a carico dell’organismo. I risultati di queste ricerche scientifiche sono sempre contrastanti, sin dalle origini, e questo deve preoccupare non poco, o quantomeno metterci in guardia.

A memoria, già durante gli anni Sessanta del Novecento diversi studi hanno suggerito che la saccarina fosse un cancerogeno per gli animali. L’allarme ha toccato il livello massimo nel 1977, dopo la pubblicazione di uno studio in cui si rilevava un aumento dei casi di cancro alla vescica nei ratti alimentati con alte dosi di saccarina. Quell’anno la saccarina venne vietata in Canada. Negli Stati Uniti la Food and Drug Administration (FDA) ne propose il bando, ma si scontrò con l’opposizione dell’opinione pubblica, in special modo quella dei malati di diabete per i quali all’epoca non esistevano dolcificanti alternativi. Si trovò il compromesso nell’obbligo di indicare i potenziali pericoli della saccarina sulle etichette dei prodotti che la contengono.

Almeno all’epoca c’era consapevolezza. Invece, nel 1991, la FDA decise di ritirare la proposta di bando.

La verità è che manca una verità

La verità del dottor Di Todaro è che “sui dolcificanti artificiali manca ancora una verità univoca”. Di sicuro – osserva – “l’assenza di calorie li renderebbe efficaci in una dieta dimagrante, ma alcune modificazioni apportate alla flora batterica intestinale sarebbero alla base di un aumento di glicemia, possibile causa dell’insorgenza del diabete”.

L’esperto giornalista della Fondazione Veronesi cita una ricerca sugli edulcoranti artificiali condotta in due step da Jotham Suez, del Dipartimento di Immunologia, Weizmann Institute of Science di Rehovot, in Israele. I risultati di questo studio sono stati pubblicati su Nature nell’ottobre 2014, in un approfondimento dal titolo “Artificial Sweeteners Induce Glucose Intolerance by Altering the Gut Microbiota”. Dai dati emergevano significative alterazioni del metabolismo energetico sui topi nutriti con diete arricchite in dolcificanti. Mutamenti legati all’effetto dei dolcificanti stessi sulla composizione e sulla funzione dei batteri intestinali. Anche nell’esperimento condotto su sette volontari sani, l’impiego di saccarina ha indotto un aumento dei livelli di glicemia in metà dei partecipanti allo studio. E anche in questo caso, l’alterazione della flora microbica intestinale è stata individuata come il responsabile di questo effetto. Il gruppo di ricerca condotto da Suez ha infine studiato il microbiota intestinale di oltre 400 persone scoprendo che la popolazione batterica dei consumatori di dolcificanti era profondamente diversa da quella dei non consumatori. Inoltre il consumo di dolcificanti era correlato con livelli più elevati di glicemia.

Tanto basta, secondo esperti come Fabio Di Todaro, per almeno ripensare il consumo e l’impiego dei dolcificanti artificiali. “Nulla di fin troppo eclatante – spiega Di Todaro – se si considera che tutte le sostanze ingerite hanno un impatto sulla composizione del microbiota intestinale, oggi sempre più studiato per il possibile ruolo nell’insorgenza di diverse malattie: dalla depressione al diabete. In attese di ulteriori riscontri, non è comunque il caso di alimentare il panico”. “Nemmeno tra le persone con il diabete” – affermava Enzo Bonora, ordinario di endocrinologia all’Università di Verona e presidente della Società italiana di diabetologia. – “Di sicuro, però, non possiamo raccomandare l’uso dei dolcificanti al posto dello zucchero: per cui piccole quantità sono ben tollerate anche dai diabetici”.

Lo studio del 2021

Gli studi si sono ripetuti negli anni, con una certa frequenza, anche dopo le ricerche in Israele del professor Suez. Questo dato dovrebbe quantomeno farci capire che il quadro è piuttosto confuso, non allarmistico, ma almeno meritevole di misure precauzionali, mettendo un freno all’abuso di dolcificanti artificiali.

Facciamo un salto in avanti di 7 anni. È il 2021. “I dolcificanti artificiali come l’aspartame, il sucralosio e la saccarina interferiscono sui batteri intestinali precedentemente sani, causando disagio e problemi digestivi”. Questa volta a sostenerlo sono i ricercatori della Ben-Gurion University, ancora una volta in Israele. Gli esperti hanno pubblicato i risultati di questo nuovo studio sull’International Journal of Molecular Sciences.

“Nonostante siano etichettati come sicuri e benefici, le recenti prove non spiegano l’azione dei dolcificanti artificiali e sui loro presunti effetti sul microbiota intestinale”, si legge nell’incipit dello studio. “I microrganismi intestinali – prosegue – sono essenziali per le normali funzioni metaboliche del loro ospite. Questi microrganismi comunicano all’interno della loro comunità e regolano i comportamenti di gruppo tramite un sistema molecolare chiamato quorum sensing (QS). Nel presente studio, abbiamo mirato a studiare gli effetti dei dolcificanti artificiali su questo sistema di comunicazione batterica”.

I risultati sono ancora disponibili su questo articolo de Il Salvagente di quell’ottobre 2021. “Il nostro studio – affermano i ricercatori – mostra che l’aspartame, il sucralosio e la saccarina hanno azioni inibitorie significative sui batteri intestinali”. “I nostri risultati – si legge – suggeriscono che questi dolcificanti artificiali possono influenzare l’equilibrio della comunità microbica intestinale tramite l’inibizione del QS. Pertanto, deduciamo un effetto di questi dolcificanti artificiali su numerosi eventi molecolari che sono al centro della funzione microbica intestinale e, per estensione, sul metabolismo dell’ospite”.

 

Lo studio dell’Istituto Ramazzini sui dolcificanti artificiali e il pericolo cancro

Sono ulteriori elementi che avvalorano la tesi già sostenuta dal professor Morando Soffritti, ex direttore scientifico della Fondazione europea di Oncologia e Scienze ambientali “B. Ramazzini” di Bologna. Il suo studio risale al 2016, 5 anni prima di quello israeliano. Sull’aspartame e il sucralosio le prime al mondo a mettere in evidenza i profili di rischio sono state le ricerche condotte proprio dall’Istituto bolognese. “Fino a 10 anni fa (nel 2006, ndr) non se ne sapeva molto, ma oggi grazie ai nostri studi non ci sono più scuse e nessuno può dire “non sapevamo””, faceva notare lo scienziato Soffritti, riaprendo anche il capitolo rischio tumori. “Abbiamo dimostrato – tuonava l’esperto – che c’era un aumento significativo di tumori deipelvi renali, dei nervi cranici, di leucemie e linfomi non Hodgkin nei topi e nei ratti alimentati ad aspartame. Si badi bene, anche con dosi ammesse come quantità giornaliera. E l’incidenza aumentava quando il trattamento degli animali iniziava nella vita prenatale”. Risultati che smentivano gli unici dati sugli effetti a lungo termine degli edulcoranti forniti dalle industrie produttrici, evidentemente viziati da conflitto di interessi.

Capitolo a parte merita la saccarina, il dolcificante artificiale più utilizzato, più dell’acesulfame K. “Nel primo caso – ricordava Soffritti – alla fine degli anni ‘70 questo edulcorante era stato sospeso dalla Food and Drug Administration per sospetta cancerogenicità. Poi è stata introdotta una valutazione rischi-benefici, è stata considerata l’importanza per i diabetici e gli studi sulla cancerogenicità sono stati declassati. Ora viene usata con la raccomandazione di non esagerare. Sull’acesulfame, invece, non ci sono ricerche sui rischi. Gli studi prodotti dall’industria non bastano di certo, dato che non sono ritenuti adeguati dagli scienziati indipendenti”.

 

Le alternative per contrastare il diabete e la stevia

Secondo Giorgio Sesti, docente di medicina interna all’università Magna Graecia di Catanzaro, la ricerca del 2014 apre la pista a “nuove prospettive terapeutiche nel campo del diabete”. Perché – osserva – “il danno dei dolcificanti a livello del metabolismo è dovuto a una selezione sfavorevole dei batteri intestinali; questo farebbe supporre che, attraverso modificazioni dietetiche, impiego di probiotici e, in futuro, ricorso ad antibiotici intestinali sarà forse possibile prevenire il diabete, ma certamente non curarlo”.

La dottoressa Manuela Pastore, dietista dell’Istituto Humanitas, suggerisce l’utilizzo della stevia al posto dello zucchero, velenoso per gli oltre 4 milioni di italiani che soffrono di questa malattia. Un male che, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), entro il 2030 sarà la quarta causa di morte in Europa.

Se i pazienti con diabete di tipo 1 devono assumere insulina, nella terapia del diabete di tipo 2 invece sono fondamentali una corretta alimentazione e una regolare attività fisica. Laddove necessaria, sarà predisposta anche una terapia con farmaci ipoglicemizzanti orali, capaci di abbassare i livelli glicemici nel sangue e aumentare la quantità di insulina prodotta in modo spontaneo o la sua efficacia sull’organismo.

Noi pensiamo che nel dubbio sollevato dai numerosi studi sia meglio evitare i dolcificanti naturali. La dottoressa Pastore indica nella stevia una possibile soluzione per l’alimentazione; un dolcificante naturale privo di calorie e di glucosio.

“La stevia può essere introdotta nell’alimentazione del paziente diabetico perché la sua assunzione non determina la comparsa di picchi glicemici, come invece accade con il saccarosio, lo zucchero comune, rispetto al quale la stevia ha un potere edulcorante 300 volte superiore”.

Numerosi sono i vantaggi della stevia:

  • Può essere utilizzata per dolcificare bevande, ma anche per preparare dolci, in quanto non viene alterata dal calore;
  • È ottima per dolcificare molti preparati farmacologici o integratori.

Le nuove linee guida dell’Oms

L’esperta ricorda che “la dieta deve essere equilibrata per i diabetici come per i non diabetici; utilizzare un dolcificante può rendere più piacevole una bevanda, ma l’alimentazione deve essere adeguata in calorie e nutrienti”.

Intanto, notizia del 3 agosto 2022, l’Oms fa sapere che gli zuccheri aggiunti non dovrebbero superare il 10% delle calorie giornaliere. “I dolcificanti non devono essere utilizzati come strumenti per perdere peso o per ridurre il rischio di malattie non trasmissibili”, si legge nella bozza delle nuove linee guida sull’uso degli edulcoranti. Tra questi, l’Oms cita anche la saccarina.