Glifosato: che cos’è, dove si trova e quali effetti ha sulla salute

GLIFOSATO

Glifosato: da “probabile cancerogeno” a “improbabile cancerogeno”. Le organizzazioni e i governi non danno certezze. La giustizia invece ne ha condanno l’uso, come ha fatto recentemente la Corte Suprema degli Stati Uniti. L’Unione europea attende il giudizio dell’Efsa nel 2023, che potrà decidere di metterlo al bando. Cosa possiamo fare noi?

 

È di alcuni giorni fa la storica sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti. I giudici americani hanno rigettato l’appello presentato dalla multinazionale farmaceutica Bayer che ora dovrà pagare un maxi risarcimento a un agricoltore. Si tratta di Edwin Hardeman, un californiano che ora si è visto riconosciuto un risarcimento da 25 milioni di dollari dopo che gli è stato diagnosticato un linfoma perché aveva usato il RoundUp per 26 anni, un erbicida a base di glifosato.

Il colosso dell’agrofarma Bayer-Monsanto, da oltre 15 miliardi di dollari di fatturato, è stato messo sotto scacco dalle oltre 30mila cause di risarcimento pendenti negli Stati Uniti. Nonostante il maxi fondo di 4,5 miliardi di dollari accantonato per far fronte alla valanga di ricorsi giudiziari, la Bayer ora è stata costretta ad annunciare che smetterà di vendere il Roundup nel 2023.

La sentenza della Corte Suprema è stata anticipata dallo storico provvedimento della Corte federale degli Usa, che ha bocciato la decisione con la quale l’Epa, l’Agenzia per la protezione ambientale, nel 2020 aveva prorogato l’uso del glifosato. “Non ha valutato se causa il cancro e si è sottratta ai suoi doveri”, è stato il lapidario giudizio.

È evidente, dunque, che la giustizia sta cercando di mettere fine a degli interessi che potrebbero portare a conseguenze dannose per la salute pubblica.

Non conosci il Salvagente? Scarica GRATIS il numero con l'inchiesta sull'olio extravergine cliccando sul pulsante qui in basso e scopri cosa significa avere accesso a un’informazione davvero libera e indipendente

Sì! Voglio scaricare gratis il numero di giugno 2023

Ma il dibattito è rovente anche in Europa. A fine maggio 2022, l’Echa (Agenzia europea delle sostanze chimiche) ha dichiarato che “le prove scientifiche disponibili non soddisfano i criteri per classificare il glifosato per la tossicità specifica per organi bersaglio o come sostanza cancerogena, mutagena o reprotossica”. A queste tesi, sono seguite le denunce della rete Ban Glyphosate, che ha così ribadito: “È una tesi antiscientifica e prona agli interessi dell’industria”.

La rete civica ha affidato al tossicologo, Peter Clausing, alcune osservazioni:

“È triste vedere che l’Echa ha ovviamente ripetuto la sua cattiva condotta scientifica dal 2017. Per giungere a una conclusione ha dovuto ignorare i risultati dei tumori riscontrati in cinque studi di cancerogenicità sui topi e sette sui ratti. In tal modo non solo ha violato la buona pratica scientifica ma anche le proprie linee guida e persino i regolamenti europei”.

Ancora, nel giugno 2022, per la prima volta in Germania un’azienda agricola è stata condannata a risarcire un apicoltore, Sabastian Seusing. Proprio a causa del glifosato utilizzato sui campi limitrofi agli alveari, Seusing ha dovuto gettare via tonnellate di miele pesantemente contaminato. Per questo, il tribunale distrettuale di Francoforte ha costretto l’azienda agricola a risarcire l’intero danno stimato in 14.500 euro. Determinanti sono state le analisi di laboratorio del miele, i cui risultati hanno mostrato che i livelli massimi di residui consentiti per il glifosato erano stati superati fino a 152 volte.

Oltretutto, il glifosato minaccia la sopravvivenza stessa delle colonie di api selvatiche e mellifere. Secondo l’Efsa (L’autorità europea per la sicurezza alimentare), però i pesticidi che maggiormente minacciano la vita degli insetti impollinatori sono i neonicotinoidi clothianidin, gli imidacloprid e i thiametoxam.

Ci spostiamo in Francia. Nel 2018 a fare notizia è stata la birra contenente glifosato. L’Istituto nazionale del consumo francese ha condotto una serie di test su 45 marche di “bionda”, stilando un dossier dal titolo emblematico: “La bionda che inganna”. Questo diserbante erbicida era stato rinvenuto in 25 campioni tra quelli oggetto dello studio francese.

E non va meglio in Germania, molto più recentemente, con un terzo delle Pills con residui.

In Italia a denunciare la presenza ingombrante dell’erbicida nell’alimento simbolo della nostra dieta era stato, per ultimo proprio il Salvagente mandando in laboratorio nel 2020  20 marche di spaghetti. I risultati ci avevano restituito la presenza di residui in 7 prodotti (Agnesi, Divella, Esselunga, Eurospin, Garofalo, Lidl e Rummo), 6 dei quali con grano proveniente anche da paesi extraeuropei.

 

Ma che cos’è il glifosato?

Il glifosato è noto come erbicida totale (non selettivo). È un composto chimico divenuto di libera produzione nel 2001, anno in cui è scaduto il relativo brevetto di produzione, fino ad allora appartenuto alla Monsanto Company, acquisita nel giugno 2018 dalla casa farmaceutica tedesca Bayer dopo il via libera da parte dell’Antitrust USA, per un importo di 63 miliardi di dollari. Una volta completata la fusione, il marchio Monsanto è stato cancellato.

Il composto chimico fu scoperto nel 1950 dal chimico Henry Martin, che lavorava per la svizzera Cilag. Fu poi riscoperto, in modo indipendente, nel 1970 nell’ambito di una ricerca sugli addolcitori d’acqua condotta dalla Monsanto sugli analoghi dell’acido aminometilfosforico. Alcuni di questi addolcitori destarono interesse quando mostrarono un blando potere erbicida, motivo per cui la Monsanto incaricò il suo chimico John E. Franz della ricerca di altri analoghi con maggior efficacia erbicida.

L’uso del glifosato in agricoltura è stato approvato per la prima volta negli anni Settanta del Novecento. Negli anni a seguire ha ricevuto l’approvazione in 130 paesi del mondo, tra cui l’Europa.

Il suo uso ha conosciuto un grande impulso per via dell’associazione con colture di cultivar transgeniche in cui era stata indotta la resistenza al glifosato. Questo, in associazione con la bassa tossicità per l’uomo dichiarata dai produttori, ha determinato il grande successo commerciale del prodotto e ne ha fatto l’erbicida dall’impiego più diffuso al mondo.

 

Dove si trova il glifosato?

L’Environmental Protection Agency (Epa) ha stimato negli Usa un impiego di 750 miliardi di chilogrammi di glifosato nell’annata 2006/2007.

Secondo un rapporto dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) relativo agli anni 2011 e 2012, questo diserbante risulta tra gli erbicidi più utilizzati nell’agricoltura italiana. Stando ai dati dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente del Veneto (Arpav), nel 2007, nella sola provincia di Treviso, sono stati impiegati 55mila chilogrammi di glifosato e 8mila chilogrammi di ammonio-glufosinato.

 

È vero che il glifosato è cancerogeno?

La risposta a questa domanda non è semplice ed è frutto di un controverso dibattito. Una delle risposte forse più equidistante rispetto ai singoli interessi ci è stata fornita nel 2021 dalla Fondazione Airc per la Ricerca sul Cancro.

La risposta dell’Airc è: Forse.

“In laboratorio – scriveva un anno fa la Fondazione – il glifosato provoca danni genetici e stress ossidativo, ma negli studi sugli esseri umani la cancerogenicità non è stata ancora dimostrata con assoluta certezza”.

“La Iarc (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) – ricorda l’Airc – ha inserito il glifosato nella categoria dei “probabili cancerogeni””.

Airc ricorda che “il glifosato è l’erbicida più diffuso al mondo, per via della sua efficacia e della minore tossicità rispetto agli analoghi prodotti che erano disponibili quando è stato messo in commercio.

 

“Probabile cancerogeno”

Uno studio svolto con il glifosato somministrato ai ratti sembrava averne dimostrato la cancerogenicità. Tuttavia, l’articolo pubblicato nel 2012 è stato in seguito ritrattato per problemi di metodo e i dati non sono mai stati replicati in studi di qualità superiore.

Dopo attenta analisi delle prove disponibili, la Iarc di Lione ha classificato il glifosato nel gruppo 2A, tra i “probabili cancerogeni”.

Airc ripercorre le tappe più recenti di questo dibattito: “Echa, Efsa, Oms e Fao hanno espresso giudizi più rassicuranti, ma hanno previsto comunque misure di cautela, come il divieto di utilizzarlo in aree densamente popolate o la necessità di riesaminare i livelli massimi di residui di questa sostanza che per legge possono essere presenti dentro e sopra gli alimenti.

Negli anni il glifosato ha continuato a essere studiato e dibattuto internazionalmente. Per quanto riguarda le decisioni assunte dai singoli Stati, la Francia si è prefissa di ridurne l’uso per poi eliminarlo completamente nel giro di pochi anni, mentre l’Olanda ne vieta la vendita ai privati per uso casalingo.

Il suo utilizzo come erbicida è stato nuovamente approvato nell’Unione europea nel 2017 fino al 2022, con alcune limitazioni, tra cui il divieto di avere nella stessa formulazione glifosato e ammina di sego polietossilata”.

 

Monsanto papers: l’inchiesta del quotidiano Le Monde

Nel 2012 la rivista Food and Chemical Toxicology pubblicò uno studio di Gilles-Éric Séralini e collaboratori che evidenziava grave patogenicità e cancerogenicità nei ratti, ma la ricerca, in seguito, come rileva l’Airc, fu ritirata dopo le critiche ricevute dalla comunità scientifica in merito alle errate metodologie di utilizzo dei dati e all’affidabilità dei risultati dello studio.

Insomma, non si conoscono ancora i rischi di questo erbicida che non si riviene facilmente nei pozzi o nelle falde acquifere perché ha una penetrazione molto bassa nel suolo, limitata a una profondità di circa 20 centimetri.

Secondo un’inchiesta del quotidiano francese Le Monde del 2017, nell’ambito del cosiddetto “Monsanto papers”, la multinazionale Monsanto avrebbe tentato di influenzare le valutazioni del 2012.

Le Monde scrive:

“…il glifosato non è cancerogeno. Arrivano a questa conclusione gli studi delle più grandi agenzie di regolamentazione…: l’Agenzia di protezione dell’ambiente (Epa), negli Stati Uniti, e in Europa l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) e l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (Echa). È stato necessario aspettare il 2015 per vedere l’Iarc, un’altra organizzazione, arrivare alla conclusione opposta. Come si spiega questa […] differenza di valutazione? Gli osservatori indicano soprattutto un motivo: le agenzie si sono basate sui dati forniti dalla Monsanto, mentre l’Iarc non ha avuto accesso a quei dati. In altre parole, la decisione favorevole al glifosato è per lo più basata sulle conclusioni dell’azienda statunitense”.

In effetti, nel marzo 2015, l’Iarc ha classificato la sostanza e i fitofarmaci che la contengono come “probabile cancerogena per l’uomo” inserendola nella categoria 2A. Studi in laboratorio hanno dimostrato che il glifosato induce nelle cellule danni a livello genetico e stress ossidativo. Escludendo un lieve incremento di linfomi non Hodgkin tra gli agricoltori esposti, le prove di cancerogenicità sull’uomo e sugli animali sono limitate.

L’Iarc lo include quindi nella categoria di cancerogenicità 2A, costituita da quelle sostanze per le quali risulta una limitata evidenza di cancerogenicità nell’uomo, ma una sufficiente prova di cancerogenicità nei test clinici su animali. Nella stessa categoria del glifosato sono annoverate sia sostanze come il DDT e gli steroidi anabolizzanti sia le emissioni da frittura in oli ad alta temperatura, le carni rosse, bevande assunte a temperature molto alte, le emissioni per la combustione di legna da ardere e biomasse in camini domestici. La difficile comprensione pubblica delle definizioni di rischio cancerogeno da parte dell’organizzazione Iarc viene sfruttata sia da chi è favorevole sia da chi è contrario all’utilizzo della sostanza.

 

E l’Europa?

Nel novembre dello stesso anno, il 2015, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (Efsa), con una procedura che prevede una valutazione tecnica da parte di un ente di uno Stato membro, in questo caso il BfR tedesco, ha concluso che “è improbabile che il glifosato costituisca un pericolo di cancerogenicità per l’uomo” e ne ha proposto “nuovi livelli di sicurezza che renderanno più severo il controllo dei residui di glifosato negli alimenti”.

 

“Improbabile cancerogeno”

La valutazione dell’Efsa, che classifica il prodotto come “improbabile cancerogeno” a differenza dello Iarc che lo valuta come “probabile cancerogeno”, è stata criticata con una lettera aperta a Vytenis Andriukaitis, commissario dell’Unione Europea per la salute e la sicurezza alimentare, sottoscritta da 90 scienziati a cui l’Efsa ha replicato difendendo la correttezza delle procedure e valutazioni implementate.

 

Le altre valutazioni

Un anno dopo, nel maggio 2016, anche gli esperti della Oms (Organizzazione mondiale della sanità) e della Fao (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura), ha concluso che “è improbabile che il glifosato comporti un rischio cancerogeno per gli uomini come conseguenza della esposizione attraverso la dieta”.

Nel marzo del 2017 un nuovo studio della Echa ha concluso che il glifosato non può essere considerato cancerogeno né genotossico. Giudizio che replicherà nel 2022.

Si arriverà così alle sentenze del 2022 sopra citate, negli Stati Uniti, in Germania e in Francia.

“Con questi limiti non è un problema”

È questa, in genere, la risposta di chi è rassicurato dalla presenze di tracce in ciò che mangiamo, e fa riferimento ai limiti europei. Vale la pena sintetizzare la risposta che a tutti costoro ha dato la dottoressa Fiorella Belpoggi, direttore scientifico dell’Istituto Ramazzini e autrice di uno dei pochi studi proprio sugli effetti del glifosato in basse dosi. “A chi vi domanda perché dovrebbe interessare trovare livelli così bassi di glifosato nella pasta bisognerebbe chiedere: chi ha stabilito i livelli consentiti nella pasta? Perché in effetti le dosi bassissime dei pesticidi non sono mai state studiate in passato. Solo di recente sono state effettuate ricerche del genere, da quando si è scoperto che queste basse dosi, lavorando ai livelli dei nostri ormoni, possono interferire con l’attività ormonale”.

Nell’Ue è ammesso fino al 2023

L’uso del glifosato era stato ammesso nell’Unione europea fino al 15 dicembre 2022. A fine 2017, a seguito di valutazioni di Efsa e Echa, la Commissione europea aveva concesso l’approvazione per i successivi 5 anni, con alcune limitazioni. In realtà, l’utilizzo slitterà anche oltre, attualmente fino al 2023 anno in cui sarà emessa la valutazione dell’Efsa, cruciale per stabilire se nei paesi membri dell’Ue potrà ancora essere utilizzato questo controverso erbicida o se, al contrario, sarà messo definitivamente al bando in quanto tossico per la salute delle persone e dell’ambiente.

 

Nel dubbio..

A questo punto il dibattito è più aperto che mai, ma non ci sono ancora certezze. Forse le avremo nel 2023. Nel dubbio, meglio sapere cosa fare per evitare il glifosato, o impostare scelte alimentari secondo la propria coscienza, in attesa di giudizi più solidi.

I prodotti più comuni contenenti glifosato sono la soia, i piselli, le carote, le patate dolci e il mais.