La peste suina sbarca in Italia. Cinghiali contagiati tra Liguria e Piemonte. Il governo studia restrizioni

La marcia di avvicinamento dall’Estremo Oriente è arrivata purtroppo anche in Italia. La peste suina, che in Cina ha messo in ginocchio gli allevamenti di maiali, e che nello scorso anno è stata registrata in vari paesi d’Europa, colpisce ora alcuni esemplari di cinghiali anche nel nostro paese. Per la precisione sul confine tra Piemonte e Liguria. E proprio le due regioni sono le più interessate al momento dalle restrizioni già avviate e quelle che a breve verranno prese di comune accordo con il ministero della Salute.
 La prima carcassa con il sospetto virus della peste suina è stata trovata a Ovada, in provincia di Alessandria, mentre le altre due Franconalto, sempre nell’alessandrino, e a Isola del Cantone (Genova). Il virus è molto contagioso e porta alla morte dell’animale nel 90% dei casi. Fortunatamente, non è rischioso per l’essere umano, il quale però può fare da vettore inconsapevole dello stesso e contribuire alla diffusione della malattia.

Lo stop alla caccia e alle passeggiate nei boschi

Anche per questo, le misure in arrivo dovrebbero imporre nell’area interessata (78 comuni) lo stop alla caccia, alla raccolta dei funghi e oltre che il divieto di fare passeggiate nei boschi in compagnia di cani (tutte attività che comportano un contatto con aree potenzialmente contaminate da suini selvatici infetti). Intanto, la Regione Piemonte ha chiesto ai sindaci dei Comuni interessati di vietare sul loro territorio la caccia e di alzare il livello di attenzione nel controllo di cinghiali e suini da allevamento, oltre che stare attenti nelle operazioni di trasporto e di movimentazione degli animali, di mangimi, prodotti e persone.

I consigli dell’IzsV

Nello specifico, già nel 2020, l’Istituto zooprofilattico delle Venezie aveva pubblicato dei consigli specifici:

  • Per i cacciatori che si recano in aree infette: pulire e disinfettare le attrezzature, i vestiti, i veicoli e i trofei prima di lasciare l’area di caccia; eviscerare i cinghiali abbattuti solo nelle strutture designate; evitare i contatti con maiali domestici dopo aver cacciato.
  • Per gli allevatori: rispettare le norme di biosicurezza, in particolare cambiare abbigliamento e calzature quando si entra o si lascia l’allevamento e scongiurare i contatti anche indiretti con cinghiali o maiali di altri allevamenti; notificare tempestivamente ai servizi veterinari sintomi riferibili alla PSA e episodi di mortalità anomala.

Coldiretti: colpevoli ritardi nella prevenzione

“Siamo costretti ad affrontare una grave emergenza sanitaria perché è mancata l’azione di prevenzione come abbiamo ripetutamente denunciato in piazza e nelle sedi istituzionali di fronte alla moltiplicazione dei cinghiali che invadono città e campagne da nord a sud dell’Italia dove si contano ormai piu’ di 2,3 milioni di esemplari”. È quanto afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini. “Abbiamo più volte evidenziato – afferma Prandini – il rischio della diffusione della Psa attraverso i cinghiali e la necessità della loro riduzione sia numerica che spaziale attraverso le attività venatorie, le azioni di controllo della legge 157/92 articolo 19 e le azioni programmabili nella rete delle aree protette. Adesso serve subito – avverte Prandini – un’azione sinergica su più fronti anche con la nomina di un commissario in grado di coordinare l’attività dei prefetti e delle forze dell’ordine chiamate ad intensificare gli interventi, per tutelare e difendere gli allevamenti da questa grave minaccia che rischia di causare un gravissimo danno economico alle imprese”.

Un virus molto resistente

Come spiega l’Istituto Zooprofilattico delle Venezie, la PSA è sostenuta da un virus molto stabile che non viene inattivato dalla putrefazione, né dalla refrigerazione o congelamento delle carni ma per essere inattivato deve arrivare alla temperatura di 60 °C per almeno 30 minuti. Queste caratteristiche lo rendono capace di sopravvivere per lunghi periodi nelle secrezioni degli animali, nelle carcasse, nelle carni fresche e congelate e in alcuni prodotti derivati (nei prodotti a lunga stagionatura, come il prosciutto crudo dopo 300 giorni, non è stata dimostrata la presenza di virus infettante, mentre la semplice maturazione delle carni o una stagionatura più breve, come quella delle salsicce e dei salami, non eliminano il virus, che resta presente e infettante). La cottura a temperature superiori a 70 °C è invece in grado di inattivare il virus.

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I paesi Ue già raggiunti dal virus

All’inizio dell’agosto 2019, la malattia è stata rilevata in nove stati membri dell’UE: Belgio, Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia e Romania, Slovacchia e Serbia, secondo l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, che ha formulato una serie di raccomandazioni e sottolineato la necessità di una maggiore biosicurezza nelle aziende agricole dell’UE.

Le conseguenze catastrofiche in Asia

La situazione in Asia è stata catastrofica, con focolai segnalati in Cina, Vietnam, Cambogia, Mongolia, Corea del Nord e Laos. Soprattutto in Cina, secondo l’agenzia di stampa Reuters la malattia ha gravemente colpito l’industria dei suini. Il secondo produttore cinese di maiali Muyuan Foods, ha dichiarato la scorsa settimana che le sue perdite sono aumentate rispetto allo scorso anno a causa della caduta dei prezzi dei maiali e dei costi sostenuti per combattere il virus.

Nelle stesse settimane in Italia, milioni di abbattimenti per l’influenza aviaria

L’emergenza peste suina si accavalla così con quella dell’influenza aviaria, che in Italia ha portato all’abbattimento di 14 milioni di capi tra pollame e tacchini, in 5 regioni diverse, per quella che è stata la peggior epidemia del genere che l’Europa abbia mai vissuto.