Una delle risposte più comuni degli operatori telefonici, di fronte all’accusa di telemarketing scorretto, o vendita aggressiva dei loro prodotti, è quella di scaricare la responsabilità sui venditori. È difficile, infatti, dimostrare che dietro quelle promesse eccessive o quei costi nascosti attivati all’insaputa del cliente ci sia una volontà dell’operatore. Di sicuro, però, la pressione economica e i vincoli penalizzanti da parte del gestore nei confronti dei sui rivenditori potrebbe spingere questi ultimi a cercare scorciatoie pur di portare a casa il risultato. Da questo punto di vista, l’istruttoria aperta dall’Antitrust nei confronti di Wind Tre, per presunte condotte scorrette è molto interessante.
La denuncia
A segnalarle è stata una società a controllo familiare i cui soci di riferimento, per molti anni hanno gestito, anche attraverso altre società , alcuni punti vendita nel Lazio, come rivenditori autorizzati prima di H3G e, dopo la fusione con Wind Tre. Secondo quanto riporta l’Antitrust, la denuncia sostiene che “Wind Tre imporrebbe alla rete dei propri rivenditori clausole e condizioni economicamente insostenibili. In particolare, il Segnalante si lamenta che, a seguito della fusione H3G/Wind, il rapporto contrattuale con Wind Tre è andato deteriorandosi, culminando poi nel recesso, ad avviso del rivenditore, ingiustificato del 7 febbraio 2018. Le condotte di Wind Tre di seguito descritte non costituirebbero un caso isolato, ma sarebbero poste in essere nei confronti dell’intero canale distributivo dei rivenditori di quest’operatore telefonico”. In altri termini, le condotte di Wind Tre, avrebbero coinvolto un ampio numero di distributori, anche piccole aziende a conduzione familiare.
Le accuse
Dalla documentazione inviata all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, risulta che i contratti prevedono un sostanziale obbligo di esclusiva del rivenditore nei confronti di Wind Tre e ciò sia in virtù di una clausola di non concorrenza sia, tra l’altro, in ragione di stringenti obblighi sulla tipologia di arredi e del materiale che il rivenditore può usare nei propri locali. Al centro della protesta anche tre aspetti del contratto che emergono dagli atti del procedimento: il meccanismo del reverse charge in base al quale il costo dell’Iva viene, di fatto sostenuto, dal rivenditore anziché del cliente finale; il meccanismo degli storni pro rata; una successione di modifiche unilaterali volte a peggiorare la remunerazione economica del rivenditore; il recesso da parte di Wind Tre.
Reverse charge. Come funziona
Per comprendere il meccanismo del reverse charge, applicato almeno dai primi mesi del 2011, è utile premettere che il rivenditore doveva acquistare dal gestore telefonico sia gli apparecchi telefonici sia le Sim, attraverso un’operazione di compravendita, esente da Iva. Se invece il rivenditore avesse comprato il cellulare sul mercato, il sistema di attivazione della Sim non lo avrebbe riconosciuto, impedendo l’attivazione del contratto di telefonia e rendendo impossibile la vendita del dispositivo in abbinamento con la Sim. Al momento della vendita al cliente finale, però, il rivenditore emetteva uno scontrino al consumatore finale che paga l’Iva al 22% sui beni acquistati, senza tuttavia incassare alcun importo. Infatti, contestualmente alla vendita al consumatore finale, scattava, per l’intero importo indicato nello scontrino la cessione del credito a Wind Tre, mentre l’onere di versare all’erario l’Iva rimaneva in capo al rivenditore, essendo il soggetto che emetteva lo scontrino. La copertura di questa spesa erodeva per tanto le provvigioni del rivenditore, che si sono ridotte nel tempo a causa delle modifiche unilaterali e del meccanismo degli storni pro rata “rendendo il suddetto onere fiscale economicamente insostenibile” scrive l’Antitrust.
Come funziona lo storno pro rata
Gli storni pro rata, sono un meccanismo che riguarda la rateizzazione al consumatore finale degli importi del prezzo di vendita. Nel dettaglio, spiega l’Authority, Wind Tre pagava, mensilmente e per intero, al rivenditore le commissioni per i clienti acquisiti in quell’arco temporale, tuttavia, con la stessa cadenza temporale, la compagnia conteggiava i clienti che nel frattempo avevano interrotto il rapporto, senza completare il pagamento rateizzato. Quindi, nel caso di recesso da parte dei clienti finali e a prescindere dalle eventuali penalità applicate a questi ultimi, Wind Tre stornava, dagli importi dovuti al rivenditore, la quota di commissione connessa alle rate che il cliente non avrebbe più pagato. Un meccanismo che insieme al reverse charghe comportava una graduale insostenibilità economica per il rivenditore. “Giova sottolineare – spiega l’Antitrust – che questo meccanismo operava a prescindere sia dalla causa che portava il cliente a cambiare gestore, sia da eventuali responsabilità del rivenditore e anche nei casi in cui il gestore recuperava in altro modo il cliente, ad esempio grazie ad operazioni di win-back telefonico da parte del canale call center”. Anche se nella valutazione dell’Antitrust non vi si fa menzione, è lecito ipotizzare che comportamenti del genere da parte degli operatori nei confronti dei rivenditori, possano spingere i più disperati o i meno onesti tra questi ultimi a cercare scorciatoie a danno dei consumatori per riportare i profitti a un livello accettabile.
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Le valutazioni dell’Antitrust
Tra le valutazioni finali dell’Agcm, alcune pesano in particolar modo: “La differente dimensione e posizione sul mercato delle Parti: Wind Tre è, insieme a Tim e Vodafone, uno dei tre operatori leader nella telefonia mobile, mentre i rivenditori sono piccole imprese, anche a gestione familiare, con un potere negoziale pressoché inesistente nei confronti di Wind Tre”. Come se non bastasse, “il rapporto contrattuale è caratterizzato da un’esclusiva a solo beneficio di Wind Tre che, unitamente alle altre condizioni contrattuali precedentemente richiamate, impedisce al rivenditore di instaurare e intrattenere rapporti con altri operatori di telefonia mobile sia in corso di contratto sia, di fatto, per un considerevole lasso di tempo, successivamente alla cessazione del rapporto”.
Inoltre, “i rivenditori aderiscono sostanzialmente a contratti standard, contenenti le previsioni contrattuali sopra descritte (ad esempio, storni pro quota, reverse charge uniti alla cessione del credito e ai meccanismi di compensazione, modifiche delle condizioni contrattuali unilaterali) che risultano idonee a individuare un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi tra Wind Tre e i rivenditori, rendendo estremamente difficile per il rivenditore sciogliere il rapporto contrattuale”. Per questo l’Antitrust parla della possibilità che Wind Tre abbia imposto ai propri rivenditori “una serie di condizioni e di obblighi ingiustificatamente gravosi, tali da condizionare indebitamente l’attività economica del rivenditore e comprimerne i margini di redditività ”. Su cui pesano anche “le frequenti rimodulazioni delle condizioni contrattuali, economiche e non, che rendono difficile per il rivenditore avere la piena consapevolezza del contenuto del contratto e degli effetti dei meccanismi sopra descritti in termini di esposizione finanziaria”. Adesso Wind Tre ha tempo fino a fine gennaio 2022 per rispondere alle accuse, dopodiché l’Autorità potrebbe decidere di comminare una multa pesante al gestore.