Insieme all’Alliance of Bioversity International e al Centro internazionale per l’agricoltura tropicale (Ciat), la Fao ha pubblicato uno studio che identifica centinaia di diverse specie vegetali e animali da cui i popoli indigeni di tutto il mondo dipendono e con cui generano cibo in modo sostenibile, valorizzando la biodiversità. Come spiega FoodNavigator, che riporta la notizia, la pubblicazione mappa otto diversi sistemi alimentari delle popolazioni indigene, fornendo approfondimenti e dettagli su i loro elementi unici di sostenibilità e resilienza. Nello specifico lo studio affronta otto sistemi alimentari delle popolazioni indigene in Amazzonia, Sahel, Himalaya, Isole del Pacifico e Artico, che generano centinaia di prodotti alimentari dall’ambiente senza esaurire le risorse naturali e raggiungendo livelli elevati di autosufficienza.
I sistemi analizzanti
I sistemi alimentari dei popoli indigeni analizzati nella pubblicazione includono quelli appartenenti al popolo Baka in Camerun, gli Inari Sámi in Finlandia, i Khasi, Bhotia e Anwal in India, i Melanesiani nelle Isole Salomone, Kel Tamasheq in Mali, Tikuna, Cocama e Yagua in Colombia e Maya Ch’orti’ in Guatemala. Questi sistemi vari e unici combinano diverse tecniche di generazione del cibo come la caccia, la raccolta, la pesca, la pastorizia e la coltivazione mobile. Le pratiche mobili, incluso il nomadismo, sono vitali per collegare la generazione e la produzione di cibo ai cicli naturali in modo resiliente, ha osservato il rapporto. Sviluppato nel corso di millenni dai popoli indigeni, tali tradizioni consentono agli habitat di riprendersi e consentono agli ecosistemi di ricostituirsi e fornire cibi freschi, nutrienti e diversificati.
L’esempio delle isole Salomone
Nelle Isole Salomone, ad esempio I melanesiani combinano l’agroforestazione, la raccolta di cibo selvatico e la pesca per generare il 70% della loro dieta. Nella regione artica della Finlandia, attraverso la pesca, la caccia e la pastorizia, il popolo Inari Sámi genera il 75%
delle proteine che consumano in una dieta caratterizzata da un elevato apporto di pesce grasso, carne rossa (principalmente renne), piatti grassi, di sangue e di organi, frutti di bosco e caffè bollito non filtrato e bassi apporti di ortaggi e frutta coltivati, pane e fibre. Le popolazioni indigene hanno “contributi validi e testati” da dare alla sostenibilità, osserva il rapporto, in particolare negli ambiti del consumo energetico, della gestione del territorio, dei rifiuti inseriti come input nel sistema, pratiche di maggese e gestione ecologica associate alla cultura e alla tradizione per consentire il rifornimento della base delle risorse naturali.
Politica in ritardo
“Gli scienziati stanno iniziando a riconoscerlo mentre i politici non sono ancora stati in grado di tradurre questa crescente consapevolezza in misure politiche efficaci che proteggano le pratiche delle popolazioni indigene”, osserva il rapporto, aggiungendo che “C’è il potenziale per trarre lezioni sulla sostenibilità dai popoli indigeni che possono essere estrapolate ad altri contesti e comunità”.
Il problema della conoscenza e della diffidenza
Il rapporto ha anche lamentato come la mancanza di rispetto dei diritti di proprietà intellettuale dei popoli indigeni sulla loro conoscenza delle piante sia stato uno dei maggiori vincoli per i popoli indigeni a condividerla con scienziati non indigeni. “La comunità internazionale ha bisogno di affrontare questo problema garantendo i diritti dei popoli indigeni”, ha affermato il rapporto, “Altrimenti, importanti segmenti di conoscenza e la comprensione di come funzionano la natura e la biodiversità, accumulata nel corso di generazioni di osservazione del cicli naturali e interazioni negli ecosistemi, si perderanno con il passaggio degli anziani e la migrazione di giovani ai centri urbani”.
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Cosa possiamo prendere da quei modelli
“Essere adattivi è il principale elemento resiliente di questi sistemi alimentari. I popoli indigeni adattano la produzione e il consumo di cibo alla stagionalità e ai cicli naturali osservati negli ecosistemi circostanti, in modo opposto rispetto alla maggior parte delle altre società” ha affermato Anne Nuorgam, presidente del Forum permanente delle Nazioni Unite sulle questioni indigene. “Abbiamo bisogno di interazioni più efficaci e creative tra conoscenza indigena e conoscenza scientifica dei sistemi. Questo è l’unico modo in cui raggiungeremo la trasformazione del sistema agroalimentare di cui il mondo ha bisogno”, ha aggiunto Máximo Torero, capo economista della FAO.