Uno studio documenta come l’aumento dei fertilizzanti sui territori coltivabili porti a una riduzione drastica delle api per la diminuzione della biodiversità dei fiori
I fertilizzanti sono ormai uno strumento irrinunciabile per l’agricoltura, specie quella intensiva. E si tratta di uno strumento sempre più utilizzato nei campi, come dimostra un articolo di Statista, portale specializzato di statistica con dati da 170 industrie e 150 paesi, che testimonia l’aumento della domanda globale di fertilizzanti agricoli dal 2011/2012 al 2023/2024. I benefici di tanta chimica in agricoltura, però, non sembrano vantaggiosi come in molti pensano.
Uno degli effetti lo testimonia una ricerca, iniziata addirittura nel 1856, della Sussex University di Brighton con la stazione sperimentale specializzata in agricoltura Rothamsted Research, pubblicata recentemente da Nature portfolio. Lo studio documenta come l’aumento dei fertilizzanti sui territori coltivabili porti a una riduzione drastica degli impollinatori (nello specifico api, farfalle, vespe e mosche) per la diminuzione della biodiversità dei fiori.
Fertilizzanti nemici delle api
L’articolo della università inglese si concentra soprattutto sulle api che risultano essere 9 volte di meno nei terreni dove le coltivazioni crescono con l’aiuto dei fertilizzanti rispetto a quelli che non li usano. Lo studio è stato realizzato su territori coltivabili di uno dei paesi più in vista d’Europa, la Gran Bretagna, e se consideriamo che l’esperimento è stato fatto su un campione di 144 kg di fertilizzante per ettaro mentre nei terreni agricoli inglesi l’utilizzo medio di prodotti chimici è di 100 kg per ettaro, lo scenario non risulta favorevole per il futuro di questi piccoli impollinatori. Dati preoccupanti per gli scienziati poiché influiscono sull’ambiente in maniera negativa, visto che lo scenario dell’estinzione delle api è catastrofico per la stessa agricoltura che non potrebbe contare su questi impollinatori naturali.
Agricoltori al bivio
Gli elementi chimici più presenti all’interno dei fertilizzanti, che vengono rilasciati nell’ambiente (circa l’1,4% delle emissioni nell’atmosfera di CO2 all’anno sono dovute all’utilizzo di questi elementi chimici), sono il fosforo, il potassio e l’azoto, il più presente tra tutti.
Di per sé l’azoto è molto utile per la crescita delle piante, ma quantità eccessive causano l’inquinamento delle falde acquifere e di corpi idrici superficiali, e in più favoriscono l’aumento dell’attacco di microrganismi patogeni (fonte: Agronotizie). Più patogeni, ovviamente, maggiore esigenza di pesticidi. Di fronte a queste evidenze il bivio per gli agricoltori, spiega la ricerca, è impegnativo: compiere una scelta a favore del benessere del suolo, di una biodiversità ricca di impollinatori e di piante da fiore o privilegiare i rendimenti indubbiamente favoriti dai fertilizzanti.
I ricercatori della Sussex dichiarano: “Questo è solo un promemoria su ciò che la sfida nel conciliare obiettivi contrastanti nella gestione dei terreni agricoli rappresenta” e sostengono come siano importanti dei finanziamenti per compensare la riduzione dei rendimenti al fine di spronare gli agricoltori verso metodi agricoli ecosostenibili e raggiungere risultati migliori per la biodiversità dei terreni agricoli.