Origine del grano e made in Italy: “Pasta Reggia, è corretta l’etichetta?”

Una nostra lettrice, Angela Ronchi, ci ha inviato le foto (che pubblichiamo qui sopra) dell’etichetta della Pasta Reggia – marchio del Pastificio Pallante – esprimemdo dei legittimi dubbi: “Caro Salvagente, segnalo la confezione della Pasta Reggia, che riporta la striscia del made in Italy e poi in piccolo la dicitura di grano Ue e non Ue. La trovo fuorviante perché il made in Italy non dovrebbe riguardare solo la produzione di pasta ma soprattutto dove il grano viene coltivato. Voi che ne pensate?”

Cosa dice la normativa europea e quella italiana

Facciamo alcune di premesse e poi diamo la parola al Pastificio Pallante al quale abbiamo chiesto una risposta.

Il Regolamento 1169/11 sulle informazioni da fornire ai consumatori stabilisce che qualora l’acquirente di un prodotto alimentare possa essere tratto in inganno sull’origine della materia prima, il produttore deve specificare il paese di provenienza (senza stabilire dove, se sul frontespizio – front pack – o sul retro delle confezioni).

Di più il decreto 26 luglio 2017Indicazione dell’origine, in etichetta, del grano duro per paste di semola di grano duro” ha stabilito l’obbligatorietà – poi prorogata fino al dicembre 2021 – di indicare il paese di coltivazione e di molitura del grano usato per produrre la pasta sulle confezioni in vendita nel nostro paese.

L’intervento dell’Antitrust per etichette più trasparenti

Esattamente un anno fa, l’Antitrust concluse 5 provvedimenti istruttori nei confronti di altrettanti aziende alimentari che diffondevano informazioni fuorvianti circa l’origine del grano duro utilizzato nella produzione della loro pasta di semola di grano duro. In particolare, l’Autorità ha accettato gli impegni a modificare le etichette di Divella, De Cecco, Cocco e Margherita Distribuzione (Passioni, Auchan). Nei confronti di Lidl, invece, l’Antitrust irrogò una sanzione di 1 milione di euro dal momento che il marchio discount non aveva presentato impegni nel corso del procedimento. Nel caso di Lidl i due marchi rei di aver ingenerato confusione nei consumatori circa l’origine italiana del grano erano Italiamo e Combino.

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Per tutti i marchi, l’accusa mossa dall’Antitrust era sempre la stessa: sulle confezioni dei pacchetti di pasta c’erano immagini e informazioni (come il richiamo al made in Italy) tali da far credere che la materia prima fosse italiana salvo poi scoprire – grazie alle informazioni contenute sempre sulla confezioni ma in caratteri microscopici – l’origine da paesi esteri, europei e non.

La risposta del Pastificio Pallante: “L’etichetta è corretta”

Il caso segnalato dalla nostra lettrice sembra richiamare l’intervento dell’Antitrust. È così? Abbiamo rivolto la domanda al Pastificio Pallante che ci ha risposto che nel febbraio 2020 ricevette la richiesta di chiarimenti da parte dell’Antitrust e che da allora si è impegnato a cambiare le informazioni sul proprio sito internet e sull’etichetta.

In particolare fino all’intervento dell’Authority sul frontespizio delle confezioni riportava solo la fascia tricolore con la scritta “Made in Italy”. A seguito della moral suasion dell’Antitrust, il produttore ha cambiato la confezione e ha aggiunto anche la provenienza del grano (Ue e non Ue) per fornire subito al consumatore informazioni sull’origine della materia prima. A novembre, ci fa sapere ancora il Pastificio Pallante, l’Antitrust ha giudicato corrette le modifiche apportate: “L’Autorità – si legge nella nota inviata dall’Agcm all’azienda – ha riscontrato che i profili di possibile scorrettezza sono stati completamente rimossi”.

Del resto in casi analoghi la stessa Autorità garante del mercato e della concorrenza aveva specificato: “Nel caso di specie, a fronte della scelta del professionista di esaltare di molto l’italianità del prodotto, si rende necessario controbilanciare tale enfasi con una più evidente e contestuale indicazione dell’origine del grano“.

L’etichetta quindi è corretta. Rimane naturalmente l’effetto straniante che si ha leggendo made in Italy e poi non trovare il nostro paese tra quelli di origine (ma questa circostanza a questo punto è solo una scelta aziendale) e notare la differenza di carattere tra il “vistoso” “Made in Italy” e il resto.