La presidente della Camera lancia il portale Bastabufale.it, dove possibile firmare una petizione contro il dilagare delle notizie false sul web e chiedere a tutte le parti in gioco di impegnarsi contro questo fenomeno: “Le bufale creano confusione, seminano paure e odio e inquinano irrimediabilmente il dibattito. Le bufale non sono innocue goliardate. Le bufale possono provocare danni reali alle persone, come si è visto anche nel caso dei vaccini pediatrici, delle terapie mediche improvvisate o delle truffe online”. La petizione è già stata firmata da Gianni Morandi, Rosario Fiorello, Francesco Totti, il sociologo Marc Augé, Carlo Verdone. Laura Boldrini consegnerà le firme ai rappresentanti del mondo della scuola e dell’università, dell’informazione, delle aziende e dei social network. E proprio questi ultimi sembrano intenzionati a fare la loro parte.
Twitter e Facebook annunciano la stretta
Twitter ha annunciato che cancellerà gli account abusivi e migliorerà il motore di ricerca interno in modo da eliminare i risultati inaffidabili. L’azione di contrasto si concentrerà anche sulla caccia e l’oscuramento dei tweet il cui contenuto è falso o di “qualità scadente”, che tuttavia “saranno ancora accessibili a coloro che li cercano”. Anche Facebook ha accettato di collaborare in questo senso, dopo le pressioni giunte dal governo francese, preoccupato per l’influenza della “post-verità” populista in vista delle prossime elezioni politiche. Più di un’analista ha infatti giudicato decisive le bufale social nel creare il consenso che ha portato alla vittoria di Trump negli Usa. La società di Zuckerberg, insieme a Google, collaborerà con i giornalisti di 8 testate francesi, tra cui Le Monde, per scovare le fake news all’interno dei propri spazi e segnalarle adeguatamente, se non proprio rimuoverle (Nel frattempo Fb ha già iniziato a schermare in prima battute delle immagini giudicate inadatte a tutti). Pochi mesi fa, era stata la cancelliera tedesca Angela Merkel, a parlare delle bufale su internet come “un problema che va affrontato e, se necessario, regolamentato”.
Scorza: “Tra vero e falso, difficile il giudizio”
Di fronte a queste richieste di un giro di vita, però, sorge spontanea una domanda: Come decidono i social network quando una notizia ha le caratteristiche di una bufala, ed è degna di essere marchiata come tale se non addirittura di essere rimossa? Il rischio della restrizione degli spazi di espressione è dietro l’angolo. Guido Scorza, avvocato e Presidente dell’Istituto per le politiche dell’innovazione, commenta così: “Chiunque ha avuto a che fare con l’informazione sa che affianco al caso bianco e al caso nero esiste anche il caso grigio, realisticamente qualcosa che è né vera né falsa ma è “realtà aumentata”, gonfiata, riempita di particolari che non sono veri. Per capirci se due giudici si trovano a dover giudicar se una notizia è vera o falsa, nelle ipotesi di diffamazione, capita che arrivino a conclusioni diverse. Immaginare che un processo così complesso venga ridotto a bit, a un’automatizzazione, preoccupa”.
Trasparenza della moderazione? Non è un diritto
Secondo Scorza, poi, gli utenti di Facebook, ad esempio, non hanno diritto a richiedere regole diverse e maggiore trasparenza dalla piattaforma: “Sono spazi privati in cui già oggi la liceità o meno di ciò che ciascuno pubblica su quelle piattaforme è apprezzata in rapporto ai termini d’uso di quelle piattaforme. Lo spazio è pubblico, il servizio è privato. Loro ti propongono delle condizioni generali non negoziabili e tu le puoi accettare o no”. Secondo l’avvocato esperto di diritto digitale, la strada della stretta sui social è quelle più sbagliata: “Io credo che il ragionamento sia a monte, quanta libertà di informazione vogliamo nel contesto telematico. Io preferire una specie di evoluzione darwiniana in cui dopo un po’ gli utenti di internet imparano a distinguere la fake news da quella vera, come fino all’altro ieri hanno fatto con i media. Non vorrei che ci abituassimo all’idea che se una notizia non è sui giornali allora è falsa. È altamente probabile che questo porti a una deriva”. Nel frattempo, sarebbe utile che Zuckerberg e strappassero quel velo di oscurità che giace sui meccanismi di moderazione dei post “sgraditi” in vigore e su quelli in arrivo.
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