Microplastiche nel mare, l’allarme di Greenpeace: “Rischio tossicità per l’uomo”

Greenpeace pubblica un nuovo rapporto sull’impatto delle microplastiche su pesci, molluschi e crostacei. E sui rischi di contaminazione di tutta la catena alimentare, dal mare fino alle tavole degli italiani. Il dossier “La plastica nel piatto, dal pesce ai frutti di mare” sottolinea come la produzione globale di plastica aumenti in modo esponenziale, erano 204 tonnellate nel 2002, 299 tonnellate nel 2013, e i nostri mari siano sempre più inquinati e la salute degli organismi marini sempre più a rischio. Secondo l’associazione ambientalista, “Sono proprio i frammenti di plastica più piccoli quelli più pericolosi: a causa delle ridotte dimensioni – diametro o lunghezza inferiore ai 5 mm – le microplastiche possono essere involontariamente ingerite da un numero enorme di organismi e possono assorbire più contaminanti tossici (a parità di peso) dei frammenti di maggiori dimensioni”.

Sostanze tossiche accumulate dal 18% dei pesci

Gli organismi marini possono ingerirle in diversi modi: gli organismi filtratori, come le cozze, le vongole e le ostriche, possono semplicemente contaminarsi con l’acqua che filtrano per nutrirsi, mentre i pesci possono ingerirle sia direttamente, scambiandole per prede, che attraverso il consumo di prede contaminate. In entrambi i casi le conseguenze sono gravi: possono verificarsi lesioni negli organi dove avviene l’accumulo o trasferimento di contaminanti tossici dai frammenti di plastica ai tessuti degli organismi che li ingeriscono. Tra i contaminanti tossici contenuti spesso nelle microplastiche ci sono gli ftalati, il bisfenolo e il Pcb. Un recente studio condotto su 121 esemplari di pesci del Mediterraneo centrale, tra cui specie commerciali come il pesce spada, il tonno rosso e tonno alalunga, ha identificato la presenza di frammenti di plastica nel 18,2 per cento dei campioni analizzati. In un altro studio sulle coste portoghesi, i quantitativi più elevati sono stati ritrovati nel lanzardo (Scomber japonicus) una specie simile allo sgombro e presente sul mercato italiano.

Se risale la catena alimentare

Ma ai rischi per la fauna marina si aggiungono quelli per gli esseri umani. “La contaminazione – sostiene Greenpeace – può risalire la catena alimentare e arrivare dritta sulle nostre tavole. Gli studi scientifici che riguardano il possibile effetto tossicologico generato dall’ingestione di cibo contaminato con microplastiche nell’uomo sono ancora agli albori, ma il rischio che attraverso l’alimentazione si possano ingerire microplastiche è assai concreto soprattutto nel caso dei molluschi, che sono consumati interi”. Le microplastiche possono essere state prodotte dall’industria (come le microsfere utilizzate in molti prodotti cosmetici o per l’igiene personale) o derivare dalla degradazione in mare di oggetti di plastica più grandi per effetto del vento, del moto ondoso o della luce ultravioletta.

L’appello

“La situazione è grave e occorre agire subito applicando il principio di precauzione – scrive Greenpeace – Chiediamo al Parlamento di adottare al più presto il bando alla produzione e uso di microsfere di plastica nel nostro Paese: su iniziativa dell’associazione Marevivo è stata già presentata una proposta di legge. Si tratta di una misura necessaria per fermare al più presto il consumo umano di questi materiali”.