Contaminanti nei cibi per l’infanzia: livelli sotto i limiti, ma allerta sui furani

La presenza di contaminanti negli alimenti per neonati e bambini è diminuita negli ultimi 5 anni. Tuttavia per alcune sostanze, come i furani, classificati come potenzialmente cancerogeni, ma non ancora regolamentati,  sarebbe necessaria l’introduzione di valori limiti.

Quanti contaminanti ci sono negli alimenti per neonati e bambini? Dalle analisi effettuate negli ultimi 5 anni dall’Ufficio per le ispezioni chimiche e veterinarie di Friburgo, su oltre 700 campioni di prodotti per neonati e bambini fino a 3 anni, arrivano notizie positive (ma non troppo): i livelli di queste sostanze sono bassi o possono essere ridotti attraverso misure di minimizzazione. Per alcuni contaminanti, come i furani, c’è bisogno di ulteriori ricerche; per quelli non ancora regolamentati sarebbe necessaria l’introduzione di valori limiti, vista la particolare delicatezza del target di consumatori a cui sono rivolti. Ricordiamo che i contaminanti sono sottoprodotti indesiderati e potenzialmente dannosi che si formano durante il processo di produzione degli alimenti e per questo i regolamenti europei fissano per i cibi destinati all’infanzia dei limiti maggiori rispetto a quelli validi per gli altri alimenti.

Ad esempio per gli acidi grassi trans, che influenzano il livello di colesterolo nel sangue, i limiti sono del 3% sul totale di grassi per i prodotti alimentari pronti al consumo e del 2% per gli altri. Le analisi hanno riscontrato livelli ampiamente entro i limiti, con un contenuto medio di 0,32 g/100 g di grassi (pari allo 0,32%).

Ci sono poi i PAK, categoria di composti che possono formarsi dalla combustione incompleta di materiali organici come carbone, petrolio, legno o altre parti vegetali. Alcuni di questi, come il benzo(a)pirene, sono classificati come cancerogeni per l’uomo, mentre altri sono considerati “probabilmente cancerogeni” e “potenzialmente cancerogeni”. Il regolamento europeo 2023/915 stabilisce un limite massimo di 1,0 µg/kg per la somma dei PAK benzo(a)pirene, benzo(a)antracene, benzo(b)fluorantene e crisene in alimenti per l’infanzia. Nei prodotti analizzati non sono stati rilevati limiti superiori.

Bisogna fare attenzione anche al 3-MCPD, al glicidolo, e ai loro esteri di acidi grassi, sostanze indesiderate che possono formarsi durante il processo di raffinazione di grassi e oli commestibili, quando vengono esposti a temperature elevate. Il 3-MCPD è sospettato di causare tumori, mentre il glicidolo possiede proprietà genotossiche ed è classificato come probabilmente cancerogeno. Tutti i cibi esaminati hanno rispettato i limiti massimi legali, tranne uno a base di cereali dove è stato rilevato il glicidolo legato agli esteri appena al di sopra del limite. Per il latte per neonati e di proseguimento si registra un drastico calo del contenuto medio di esteri di 3-MCPD e glicidilestere rispetto alle precedenti indagini.

Rispetto all’acrilammide, classificato come “probabilmente cancerogeno”, che si forma durante la cottura, tostatura o frittura di alimenti amidacei, alle aziende alimentari viene chiesto di tenere i livelli al di sotto dei valori guida indicati dall’Europa, che corrispondono a 40 µg/kg per i cibi per l’infanzia e a 150 µg/kg per biscotti e fette biscottate per bambini. Solo 5 campioni, su un totale di 153 alimenti analizzati, hanno superato leggermente il valore di 40 µg/kg mentre nei biscotti e nelle fette biscottate il contenuto medio di acrilammide è risultato nettamente inferiore rispetto ai cibi destinati al consumo generale.

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Infine, arriviamo al furano, contaminante classificato come potenzialmente cancerogeno, su cui però l’Europa non ha ancora imposto un limite. Rispetto alle analisi precedenti, si registra una positiva tendenza alla diminuzione nei prodotti per l’alimentazione dei neonati e dei bambini, dovuto a una maggiore consapevolezza da parte dei produttori e una conseguente modifica dei processi di produzione. Le analisi condotte nel 2010 avevano rivelato livelli elevati di furano soprattutto nei cibi complementari a base di carne o pesce e nei cibi complementari a base di verdure (cibi che tendono ad avere quantità di furano più elevate), dove i livelli più alti trovati erano rispettivamente di 123 µg/kg e 201 µg/kg. Questa volta sono stati trovati livelli compresi tra 5,9 µg/kg e 94 µg/kg. Il trend positivo dimostra che è possibile ridurre i livelli di furano attraverso modifiche ai processi di produzione. Inoltre i risultati delle indagini indicano anche che la composizione degli ingredienti potrebbe giocare un ruolo importante nella formazione di furano, così come di alchilfurani. I laboratori specializzati continueranno a monitorare il carico di furano e alchilfurani nei prodotti anche per verificare se vi è una correlazione tra il tipo di ingredienti e i livelli di questi contaminanti.