Pasta e nuova etichetta: Barilla vuole “nascondere” il grano canadese?

Nel giorno in cui firma un  accordo triennale con cui si impegna ad aumentare del 40% i volumi acquistati di “grano duro sostenibile” italiano di alta qualità, Barilla annuncia il suo disappunto all’etichettatura della pasta con l’origine del grano, novità voluta dal governo Renzi: “l’origine da sola non è sinonimo di qualità” ha detto Luca Virginio, responsabile relazioni esterne del gruppo.

Cosa prevede il decreto in discussione a Bruxelles

Proprio oggi il ministro Martina ha annunciato di aver inviato a Bruxelles per la prima verifica lo schema di decreto che introduce la sperimentazione dell’indicazione obbligatoria dell’origine per la filiera grano pasta in Italia. Si avvia così l’iter autorizzativo previsto a livello europeo per arrivare a un modello di etichettatura che consentirà di indicare con chiarezza al consumatore sulle confezioni di pasta secca prodotte in Italia il Paese o l’area dove è coltivato il grano e quello in cui è macinato. La deputata Pd Colomba Mongiello che affida ad un tweed la sua soddisfazione: “Finalmente i consumatori potranno scegliere”.

Il  decreto interministeriale, firmato dai ministri Maurizio Martina (Politiche agricole) e Carlo Calenda (Sviluppo economico), è stato messo a punto lo scorso 18 novembre: il documento prevede l’indicazione del Paese di origine dell’ingrediente primario della pasta, ossia la semola, se di fatto coincide con il Paese di ultima trasformazione: “Pasta italiana prodotta con semola italiana da grano italiano” o “Pasta prodotta da semola italiana”. Inoltre, se il decreto troverà l’approvazione dell’esecutivo europeo, sulle confezioni della pasta troveremo anche l’indicazione del Paese di provenienza dell’ingrediente primario della semola, vale a dire l’origine del grano duro. Ad esempio: “Pasta italiana prodotta con semola italiana da grano canadese”. (continua dopo l’infografica)

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Barilla dice “No”

Secondo Barilla indicare in etichetta solamente l’origine non è sinonimo di qualità. Inoltre, non incentiverebbe i coltivatori italiani a produrre grano con gli standard richiesti dai pastai, compromettendo anziché rafforzare la competitività dell’intera filiera. “Tutto a svantaggio del consumatore”, precisa il responsabile Barilla, “che potrebbe addirittura pagare di più una pasta meno buona. E l’industria della pasta, con un prodotto meno buono, perderebbe quote di mercato soprattutto all’estero.”

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