Come si elimina l’anisakis nel pesce. Alici e sardine più a rischio

ANISAKIS

L’anisakis è un minuscolo parassita, minaccia per chi mangia il pesce crudo. Per questo i ristoranti e le peschire devono prevenivamente e obbligatoriamente abbatterlo con temperature tra -20 e -40 gradi

In Giappone le intossicazioni da anisakis sono più o meno diffuse e gestibili. In Europa si comincia a parlare di questo problema quando le catene di sushi a buon mercato (gli all you can eat) cominciano a invadere il mercato della ristorazione di massa.

In realtà, questo vermetto biancastro o rosato, con uno sforzo visibile pure a occhio nudo, è da sempre presente nei nostri mari. Di conseguenza, anche sulle tavole, di casa e dei ristoranti, dove si devono prendere tutte le precauzioni (o pretendere le dovute informazioni) per evitarne l’ingestione.

Secondo studi scientifici questo parassita è presente nel Mare Adriatico centrale con percentuali del 3,1% per sardine e 4,1% per alici, che sono pesci tra i più consumati nel Mediterraneo. Il rischio di ingerire anisakis si azzera consumando pesci come salmone, branzino, orata.

Cos’è l’anisakis

L’anisakis è uno dei tanti pericoli che si nascondono nel pesce, soprattutto quando consumato crudo (o cotto male). Si parla di anisakidosi o anisakiasi quando è in corso un’infezione parassitaria del tratto gastrointestinale, causata proprio dall’ingestione di pesce crudo o non sufficientemente cotto contenente le larve di parassiti (nematodi) appartenenti alla famiglia Anisakidae (che include i generi Anisakis, Pseudoterranova e Contracaecum).

Come arriva l’anisakis sulle nostre tavole

Questi parassiti crescono nell’ambiente marino attraverso un ciclo che coinvolge i mammiferi marini, quali balene, foche, delfini. I parassiti adulti si annidano nei loro intestini e nello stomaco quali ospiti definitivi. Vengono espulsi attraverso le feci.

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I mammiferi marini invece rilasciano le uova, che dopo la schiusa vengono ingerite dai primi ospiti intermedi; piccoli crostacei che formano il cosiddetto krill, dove si sviluppa la larva di I stadio (L1). Il krill a sua volta viene mangiato da un secondo ospite intermedio, che è un pesce o un mollusco, nel quale le larve passano al II e III stadio larvale (L2 e L3).

Quando un pesce o mollusco infetto viene mangiato da un mammifero marino, è nel loro stomaco e nell’intestino che la larva di anisakis diventa verme adulto, chiudendo così il ciclo di riproduzione. Per questo è molto probabile l’incontro tra pesci di largo consumo e consumatore umano.

L’uomo si infetta mangiando pesci o molluschi crudi o poco cotti contenenti le larve in stadio 3 (L3). Una volta ingerito il pesce con la presenza delle larve, il rischio è di incorrere in gravi disturbi nel tratto gastrointestinale o reazioni allergiche.

L’Istituto superiore di sanità (Iss) spiega come le larve che infettano l’uomo non si sviluppino diventando parassiti adulti, ma sono destinate a morire. Quindi l’uomo non elimina uova alimentando il ciclo del parassita. Il ciclo si interrompe nel nostro tratto gastrointestinale.

Inoltre, non è possibile una trasmissione da uomo a uomo, in quanto l’infezione avviene solo attraverso l’ingestione di larve vitali negli ospiti intermedi (pesci o molluschi).

L’anisakis è visibile a occhio nudo

Le larve di anisakidi misurano da 1 ai 3 centimetri e sono visibili a occhio nudo nella cavità addominale, nell’intestino, sul fegato, sulle gonadi e nei muscoli dei pesci. Hanno una colorazione che varia dal bianco al rosato, sono sottili e tendono a essere arrotolate a spirale su sé stesse.

Il rischio di contrarre l’infezione è dato dall’abitudine di consumare pesce crudo o poco cotto. L’infezione infatti è molto frequente nei paesi dove il pesce viene mangiato crudo, leggermente sottaceto o sotto sale.

Nei paesi scandinavi la principale causa è il fegato di merluzzo, in Giappone i numeri salgono per via del consumo di sushi e sashimi, in Olanda il pericolo si annida nelle aringhe fermentate, lungo la costa Pacifica del Sud America si trasmette soprattutto con il consumo di insalata di mare nota come ceviche, nel nostro bacino del Mediterraneo l’anisakis si diffonde a causa del consumo di alici crude o marinate. Quindi l’avvento dei ristoranti orientali in Italia ha solo aumentato la consapevolezza di questo pericolo.

Non solo alici crude o marinate. Nel Mediterraneo il parassita è estremamente diffuso, e vi sono specie di pesci, quali lo sgombro e il pesce sciabola, che raggiungono il 70-100% di infestazione nel pescato.

I casi di anisakis in Italia: rari e non temibili

Una volta ingerite, le larve di anisakis spesso muoiono e non provocano disturbi. Infatti i casi ufficiali registrati in Italia sono stati piuttosto sporadici. Dal 1996 al 2011 i casi di infezione umana da anisakis nel nostro Paese sono stati appena 54, concentrati soprattutto nelle regioni costiere, causati in gran parte dal consumo di pesce crudo, crostacei e acciughe marinate. Le reazioni allergiche sono state rare.

Anisakis: i sintomi

Negli ultimi anni se ne parla di più. Nei pochi casi in cui l’anisakis provoca disturbi succede perché le larve vive ingerite invadono la mucosa dello stomaco (gastrica) o dell’intestino causando la anisakidosi gastrointestinale.

La forma acuta dell’infezione è generalmente quella gastrica, caratterizzata dai seguenti sintomi:

  • nausea
  • vomito
  • dolori alla “bocca dello stomaco” (epigastrici) che possono comparire da 4 a 6 ore dopo aver mangiato pesce infestato.

Nella forma intestinale, segni e disturbi possono manifestarsi anche 7 giorni dopo l’infezione con:

  • febbre
  • aumento dei globuli bianchi (leucocitosi)
  • vomito
  • diarrea
  • dolori addominali e nausea.

Le reazioni gravi da anisakis

Molto raramente le larve di anisakis possono perforare la mucosa gastrointestinale, causando emorragie.

In rari casi le larve si localizzano al di fuori dell’apparato gastrointestinale (nel mesentere, un ripiegamento della membrana che riveste la cavità addominale, nella cavità addominale etc.).

Possono anche provocare manifestazioni allergiche di vario grado che vanno dall’orticaria alla congiuntivite fino, nei casi più gravi, allo shock anafilattico.

Nelle persone che lavorano nella catena di conservazione del pesce è stata riscontrata una forma di allergia legata alla loro attività che può provocare asma, congiuntivite e dermatite da contatto.

Anisakis: le cause

La anisakidosi si contrae principalmente consumando pesce crudo o sottoposto a procedimenti non idonei ad uccidere le larve, quali la salagione, l’affumicatura o la marinatura.

Attenzione: la salamoia che richiede l’impiego di sale, limone, olio e aceto non ha alcun effetto sull’anisakis

Una volta che le larve raggiungono il sistema digerente, si attaccano alla mucosa gastrointestinale e, utilizzando il loro particolare apparato boccale rilasciano enzimi che sciolgono le proteine (proteolitici) perforando così le mucose in profondità e danneggiando l’area circostante al punto nel quale sono attaccate.

Talvolta, possono persino oltrepassare le barriere gastro-intestinali e localizzarsi in altre parti dell’addome, come il fegato, la milza, il pancreas etc.

Nell’uomo, che è un’ospite accidentale, questi parassiti non possono svilupparsi fino allo stadio adulto. Infatti, nel corpo umano gli anisakidi rimangono, in genere, per non più di due settimane, finendo inglobate in un piccolo aggregato di cellule infiammatorie chiamato granuloma.

Come riconoscere i sintomi da anisakis

Poiché i disturbi (segni e sintomi) causati dall’infezione da anisakis sono molto vari, questa malattia spesso non viene riconosciuta immediatamente e viene confusa con altre malattie che provocano disturbi simili, come l’ulcera, l’ostruzione intestinale, il morbo di Crohn, etc.

Per accertare l’infezione il medico curante dovrebbe indagare sull’alimentazione della persona che accusa tali disturbi in modo da poterli collegare ad un’eventuale ingestione di pesce marino crudo o poco cotto.

Tuttavia, l’accertamento e la diagnosi definitiva di anisakidosi si ottiene mediante l’esame endoscopico (gastroscopia, duodenocolonscopia, ecc), che potrà essere anche curativo se si ha la possibilità di estrarre tutte le larve presenti nell’ospite.

Per accertare l’allergia da anisakidi è opportuno eseguire degli esami, come il prick test e l’ImmunoCAP, in grado di rivelare la presenza di immunoglobuline di classe E (IgE) specifiche per gli anisakidi in assenza di IgE specifiche verso il pesce consumato. Questi esami sono molto sensibili ma possono produrre risultati positivi anche in caso di esposizione ad allergeni di altri nematodi, molluschi o insetti a causa della somiglianza esistente tra questi e gli allergeni presenti negli anisakidi (falsi positivi). Per questo motivo è conveniente rivolgersi a laboratori specializzati che hanno a disposizione test più specifici.

Come si cura l’anisakis

Senza dubbio la cura migliore è la rimozione endoscopica dei parassiti dal tratto gastrointestinale, sempre che sia possibile (nelle forme gastriche). In casi gravi, per esempio nell’ostruzione intestinale, nell’appendicite o nella peritonite, è necessario un intervento chirurgico. Il ministero della Salute non esclude la riuscita del trattamento con farmaci antiparassitari quali l’albendazolo, che in molte situazioni ha portato al successo terapeutico.

Come prevenire i rischi da anisakis

Mangiare il pesce crudo in sicurezza dovrebbe essere prioritario. Nei decenni passati in molte località marittime il consumo di pesce crudo, appena pescato e per nulla trattato, ha esposto le popolazioni a rischi ben più gravi. L’epidemia di colera del 1973 si verificò nell’ambito della settima pandemia di colera, principalmente nelle aree costiere delle regioni Campania, Puglia e Sardegna. Tra il 20 agosto e il 12 ottobre vennero ufficialmente diagnosticati 278 casi di colera e contati almeno 24 morti.

A Napoli e a Ercolano venne vietato il commercio di molluschi, pesci e fichi, e fu disposto il sequestro delle cozze, provocando la rivolta dei pescatori professionali che per protesta mangiarono i loro prodotti ittici crudi per evidenziarne la purezza. Anche a Bari il problema fu sottovalutato.

L’avanzata dell’epidemia arrestò grazie al vaccino, anche perché 20 anni dopo il colera si ripresentò nuovamente nel barese e nel tarantino, dove il consumo di cozze crude fa parte della tradizione culinaria.

Il Salvagente vi spiega in questo articolo come proteggersi, mangiando pesce crudo in sicurezza, al riparo da batteri, virus e parassiti. Tenendo sempre a mente che la conservazione e la cottura di carne, pesce (e in alcuni casi anche le verdure), protegge i consumatori da altri rischi, quali escherichia coli, solo per citarne una.

Anche le autorità sanitarie ricordano che il congelamento e la cottura di pesci e molluschi sono i due metodi più efficaci per evitare una infezione da anisakidi.

Per prevenire l’anisakidosi si consiglia di:

  • Togliere le viscere dal pesce prima possibile in modo da diminuire il rischio del passaggio delle larve dalla cavità viscerale ai muscoli (parti che si mangiano);
  • Assicurarsi che il pesce nella sua totalità, anche le parti più grosse, sia congelato a meno 18 gradi (-18°) per almeno 96 ore (solo i congelatori industriali o quelli domestici a tre o più stelle possono raggiungere questa temperatura). Solo dopo questo trattamento si potrà consumare il pesce crudo (sushi, sashimi, carpacci, pesce affumicato a freddo, pesce marinato) o poco cotto;
  • Cuocere il pesce, tenendo conto che, per avere la certezza di aver ucciso le larve, l’interno del pesce, anche le parti più grosse, deve raggiungere una temperatura superiore ai 60°C per almeno 10 minuti.

Il pesce crudo va prima abbattuto

Se proprio non possiamo fare a meno di mangiarlo crudo, dobbiamo assicurrarci che sia stato abbattuto. La normativa dell’Unione Europea stabilisce l’obbligo per chi vende o per i ristoranti che servono pesce crudo o in salamoia di effettuare la procedura d’abbattimento preventivo del pesce destinato al consumo a crudo.

L’abbattimento si effettua tramite un’apparecchiatura (tipo freezer) che consente di portare l’alimento a temperature tra i -20 e -40°C molto velocemente per un tempo variabile dalle poche ore fino a più giorni. Solo con questa procedura si distruggono le larve.

Esiste una normativa europea del 2004 che obbliga l’abbattimento a tutti gli esercizi che vendono o servono pesce crudo.