Gli assi del salmone bio: meno pesci in vasca e mangime certificato

SALMONE BIO

Nel numero in edicola abbiamo analizzato 12 salmoni affumicati e solo quello biologico si avvicina alla qualità nutrizionale del selvaggio. Enrica Tanzi, responsabile qualità della Foodlab, ci spiega le differenze con il convenzionale e come il loro prodotto certificato ha scalato la nostra classifica

Le condizioni di allevamento, le pratiche del benessere animale, fanno davvero la differenza sulla qualità nutrizionale del salmone. Più spazio a disposizione dove poter crescere, e una specifica alimentazione, consentono una prevalenza di grassi “buoni”, gli Omega 3, rispetto ai “cattivi”, Omega 6. Tradotto: un salmone allevato in modo biologico, come mostrano anche i risultati delle nostre analisi su 12 salmoni affumicati nel nuovo numero in edicola e in digitale (acquista qui), garantisce un apporto nutrizionale, espresso soprattutto nel rapporto Omega 3/Omega 6, che si avvicina di molto a quello di un pesce selvaggio pescato. E, aggiungiamo, è molto migliore (più alto anche più di quattro volte il convenzionale) rispetto ai dati rilevati sui campioni di salmone allevato secondo le modalità intensive del convenzionale. “La differenza sostanziale la determinano la densità di allevamento, più bassa nel biologico, e il tipo di alimentazione: nel bio la mangimistica è tutta certificata, sono vietati gli Ogm, gli additivi e l’aggiunta di carotenoidi”, ci spiega Enrica Tanzi, responsabile qualità di Foodlab, azienda italiana leader nella trasformazione e confezionamento di salmone affumicato, con linee di produzione sia convenzionali che biologiche.
Il lotto analizzato della Foodlab, a marchio S&Co. salmone scozzese affumicato biologico acquistato da NaturaSì, è risultato uno dei migliori del nostro test, con livelli nutrizionali di acidi grassi simili a un prodotto selvaggio. L’occasione è quella di incontrare un’esperta del settore per farci spiegare come funziona questa filiera.

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Dottoressa Tanzi, prima di entrare nello specifico dei requisiti che chiedete ai vostri fornitori, quali sono le principali differenze tra un salmone allevato secondo i criteri bio e uno convenzionale?
È doveroso fare una premessa. La specie ittica, indipendentemente dal fatto che provenga da Scozia o Norvegia, o che sia allevata in modo convenzionale o biologico, è sempre la stessa: Salmo salar. Anche le condizioni ambientali sono le stesse: le vasche sono di fronte alla costa davanti ai fiordi in Norvegia e fronte costa davanti alle isole o costa in Scozia. Veniamo alle differenze. Le principali sono la densità di allevamento e l’alimentazione. Seguono poi il diverso trattamento farmacologico e il divieto dell’utilizzo di additivi.
Cominciamo dalle condizioni di allevamento: come si diversificano i due metodi?
La densità dei pesci nelle vasche è espressa in chilogrammi per metro cubo di acqua: nel biologico è di circa 7-10 chili (circa due pesci, ndr) per metro cubo, nel convenzionale, almeno in base ai criteri che chiediamo ai nostri fornitori, è di circa 13-17 chili. Diciamo che sopra i 20 kg non è considerato favorevole, ma c’è chi ricorre anche a questi standard.
Più spazio a disposizione significa anche maggiore possibilità di muoversi e migliore crescita, giusto?
Certo. La mobilità per queste specie è fondamentale: più si muovono e più sviluppano una composizione lipidica di supporto alla crescita stessa.

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Ingrassano meglio, evitano grassi in eccesso…
Senza dubbio. Tuttavia qui influisce soprattutto il tipo di alimentazione. Nel biologico la mangimistica ammessa è tutta certificata bio, sono vietati gli Ogm – ad esempio la soia ammessa è solo di origine vegetale – le farine di pesce sono di origine selvaggia, cioè ad esempio crostacei pescati, sono esclusi additivi, come i polifosfati (o altri additivi chimici funzionali) ammessi nel convenzionale con obbligo di riportarlo in etichetta, e l’uso di carotenoidi che servono a sostenere la colorazione delle carni. Tutto questo oltre a conferire al salmone biologico una più spiccata percezione di mare, influenza positivamente anche la qualità nutrizionale. Più spazio hanno a disposizione per crescere e più la crescita è supportata da un’alimentazione equilibrata, migliore ad esempio risulterà il rapporto Omega 3/Omega 6.
Parliamo di trattamenti farmacologici: quali sono le differenze?
In generale posso dire che nelle filiere del salmone c’è stata una forte riduzione, in questi anni, delle somministrazioni di antibiotici. Questo risultato è stato raggiunto grazie a una vaccinazione preventiva contro le infezioni batteriche degli avannotti, somministrata prima di immergerli in mare. Tuttavia posso garantire che per i nostri prodotti, bio e non, i trattamenti sono praticamente pari a zero. I nostri fornitori di salmone biologico dichiarano che sono ammessi solo due somministrazioni all’anno, mentre nel convenzionale non c’è un tetto massimo. Ovviamente ogni trattamento è sotto il controllo del servizio veterinario di competenza.
Oltre agli antibiotici a quali altri medicinali si ricorre?
Se c’è bisogno, agli antiparassitari. La maggior parte dei trattamenti è mirata a combattere il sea lice, la “zecca di mare” che attacca i pesci mangiandone le carni.
Veniamo al vostro prodotto bio: cosa “aggiungete” oltre agli obblighi di legge?
Innanzitutto non usiamo additivi, neanche l’acido citrico, né zuccheri aggiunti. Inoltre facciamo una salatura a secco e non usiamo iniezioni di salamoia, né ovviamente di polifosfati. Questo perché, più si aggiunge acqua, più si dà supporto alla crescita microbiologica, patogena e non. La salatura a secco inoltre garantisce una minore deperibilità, una maggiore stabilità nella conservazione, un colore più vivo e una texture delle carni più consistente.
Cosa significa? Che i vostri salmoni non vengono mai congelati, nemmeno dopo la produzione?
Significa che vengono lavorati sempre freschi e una volta confezionati non vengono mai congelati, ma avviati alla vendita. La congelazione post-produzione è una pratica ammessa e consente una certa comodità organizzativa per gestire ad esempio i picchi di domanda. Inoltre, l’acquisto di materia prima congelata, permettere di comprare in periodi in cui costa di meno e di lavorarla successivamente.
Un prodotto congelato cosa perde?
La pratica influisce sul piano organolettico, ovviamente. Congelare e poi scongelare aggredisce il prodotto finale: il colore risulta più sbiadito, la texture diventa gommosa e viene penalizzata l’affumicatura, più debole nella percezione sensoriale.
Come avviene la vostra affumicatura?
La nostra è un’affumicatura delicata a freddo: le temperature non superano mai i 30-32° C – mentre una a caldo è intorno ai 60-70 gradi -, usiamo segatura di faggio priva di residui da trattamenti di additivi e per uso rigorosamente alimentare, e i filetti stazionano nella camera per circa 3-4 ore. Infine monitoriamo attentamente gli Ipa, gli Idrocarburi policiclici aromatici e, grazie a questa affumicatura “delicata”, possiamo garantire che nei nostri prodotti questi contaminanti sono sempre sotto il Loq – il limite di quantificazione analitica – risultando pressoché assenti.

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