Minerale e pesticidi: quando i controlli fanno acqua

minerali minerale

Dopo il nostro test in cui ben 14 minerali su 18 sono risultate contaminate da pesticidi, abbiamo cercato di capire come vengono selezionati i fitosanitari da monitorare chiedendo alle autorità sanitarie locali. Le risposte ottenute disegnano una babele di rimpalli tra Arpa e Asl. E a trarne vantaggio sono le aziende che imbottigliano e che sono tenute a cercare solo alcune sostanze tra le tante potenzialmente pericolose

 

Con il test di laboratorio sulle acque minerali del numero di agosto, il Salvagente ha acceso i riflettori su un aspetto poco conosciuto e per molti inimmaginabile della pervasività dei pesticidi nell’ambiente: ben 14 campioni sui 18 analizzati riportavano residui di antiparassitari, e questo nonostante nella comune percezione, alimentata dagli spot martellanti, un’acqua imbottigliata alla fonte non possa essere che purissima. Invece, a parte acqua Panna naturale, San Benedetto Ecogreen naturale, Evian naturale in vetro e Fonte essenziale naturale, tutte quelle analizzate contenevano tracce di pesticidi, seppur in quantità che non superavano i limiti di legge.

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Così i produttori si difendono

A colpirci, oltre al dato in sé, anche il confronto del punto di vista degli esperti consultati con quello delle aziende. In particolar modo, Cogedi, che gestisce due delle quattro acque giudicate dal Salvagente come insufficienti, Uliveto e Rocchetta. Facendo riferimento alla normativa applicabile sul tema, contenuta nel decreto ministeriale 10 febbraio 2015, “Criteri di valutazione delle caratteristiche delle acque minerali naturali”, Cogedi rimandava agli allegati con i gruppi o le singole sostanze non ammessi e i rispettivi limiti fissati. “In particolare, – ha risposto al Salvagente – è indicato che tra le classi di composti elencate si devono ricercare gli antiparassitari che hanno maggiore probabilità di trovarsi nel territorio influente sulla risorsa interessata, in considerazione anche della loro pericolosità, e l’elenco di tali composti va richiesto alle autorità sanitarie locali competenti”. E, concludeva Cogedi, gli antiparassitari trovati dal Salvagente nei campioni citati “non figurano nell’elenco”.

Ma i pesticidi viaggiano anche per centinaia di km

Una risposta, però, che mette in evidenza quello che a nostro avviso è un grosso limite normativo che porta a una carenza di controlli. Sono diversi, infatti, gli studi che confermano come i pesticidi possano viaggiare, trasportati dalle correnti aeree o tramite il dilavamento che dai terreni li porta fin dentro le falde acquifere, anche a decine o persino centinaia di chilometri di distanza dal luogo in cui sono stati irrorati. Pertanto diventa impellente chiedersi chi compili queste liste e su quali basi fondi la decisione di inserirvi un antiparassitario e lasciarne fuori un altro, come per esempio il Propiconazole e il Cypermethrins, tossici per la fertilità, o altri che possono degradare in composti cancerogeni, come il Biphenyl (tutte sostanze trovate nel nostro test sulle acque minerali).

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Controlli: il quadro cambia da regione a regione

Per approfondire, abbiamo contattato le Arpa delle regioni in cui sono collocate le fonti delle acque da noi testate, scoprendo che tra Aziende regionali per la protezione ambientale e Usl, non sempre le competenze sono chiare e strettamente definite. Per esempio, alla nostra domanda sulla lista, un tecnico dell’Arpa Umbria risponde: “Il set analitico è stato elaborato dal settore Coordinamento tecnico scientifico e dal laboratorio di Arpa, e con la Regione per quanto riguarda i dati di vendita e utilizzo. Non mi risulta siano state coinvolte le Usl”, salvo poi aggiungere: “C’è stata poi una condivisione delle scelte fatte, in effetti dalle Usl. Dove ci sono punti di captazione per le acque minerali ci vengono richieste le liste di prodotti fitosanitari analizzati, credo che debbano rispondere alle richieste del ministero della Sanità. Per questi dettagli forse è bene sentire direttamente le Usl competenti per territorio”.

Dalla Toscana alla Lombardia, come cambiano le risposte

Chiaro? Non proprio. Proviamo con Arpa Toscana: “La direzione tecnica, contattata con riferimento alle vostre domande, ha risposto che, da oltre 10 anni Arpat non si occupa più di acque minerali, che essendo un alimento sono di competenza della Asl. La legge regionale ha attribuito tutte le competenze in questo ambito all’Azienda sanitaria”. L’Arpa Lazio, invece, ammette che “la questione è un po’ complessa”, e cerca “comunque di fornire un quadro, per quanto possibile: ci sono differenze tra una regione e l’altra (dovute soprattutto all’attribuzione di competenze), per cui possiamo rispondere per quanto riguarda il Lazio, ma non è detto che ciò che vale per noi sia valido anche in altre regioni allo stesso modo”. “C’è differenza – continua Arpa Lazio – tra i controlli sulle acque alla sorgente e quelli fatti sulle acque confezionate che vengono trattate come ‘alimenti’ e rispondono a una normativa diversa da quella indicatavi da Cogedi (che vale per le acque alla sorgente)”. “Le aziende che imbottigliano – prova a sbrogliare la matassa l’ufficio stampa di Arpa Lazio – ricevono delle autorizzazioni alla commercializzazione da parte di Regioni e ministero della Salute basate anche su set di analisi”. Nello specifico, per il Lazio i controlli sulle acque minerali naturali sono di competenza della Asl che definisce, sulla base delle conoscenze del territorio e degli impatti che alcune sostanze possono avere per la salute umana, cosa i laboratori dell’Agenzia devono cercare sui campioni prelevati ed è l’Asl che trasmette la lista ai laboratori Arpa quando chiede loro le analisi. Basta spostarci in Lombardia e l’interpretazione cambia ancora: “Le locali autorità sanitarie competenti sono Asl e Ats (Regione Lombardia)” spiega l’Arpal che poi conferma: “In alcune realtà nazionali le analisi vengono svolte dai laboratori Arpa su indicazioni e protocolli delle Asl competenti per territorio”.

La lista dei pesticidi da controllare

In Piemonte, invece, al contrario di quasi tutte le altre regioni, le aziende sanitarie locali non toccano palla:“La lista di pesticidi da controllare nelle acque minerali della Regione Piemonte – spiega l’Agenzia regionale per la protezione ambientale – viene concordata annualmente tra Arpa e Regione ed ufficializzata nell’ambito della definizione del Piano regionale integrato sicurezza alimentare (…). Le molecole inserite in tale lista discendono da una valutazione dello stato delle risorse idriche del territorio”. Ben più ingarbugliata la risposta dell’Arpa Emilia-Romagna, secondo cui l’elenco di tali composti va richiesto alle locali autorità sanitarie competenti, “cioè alle Ausl”. Allo stesso tempo, però, “Secondo la nota del ministero della Salute inviata alle Arpa”, il laboratorio che esegue le analisi a supporto delle Ausl, che nel caso dell’Emilia-Romagna è il laboratorio multisito di Ferrara della stessa Arpae, è tenuto ad inviare annualmente alle Ausl, l’elenco delle sostanze antiparassitarie che fanno parte del protocollo analitico ordinario che viene applicato alle acque minerali naturali. “Il protocollo analitico proposto alle Ausl competenti da parte dalle Arpa viene verificato e sulla base di valutazioni che includono anche i quantitativi e le tipologie di prodotti fitosanitari utilizzati nei territori di interesse, può essere accettato o possono essere richieste eventuali modifiche o integrazione; Arpae quindi procede solo dopo aver ricevuto il parere positivo delle Ausl territorialmente competenti”. Insomma, la lista spetta alle Aziende sanitarie locali, che però ricevono la proposta di elenco dalle Arpa. Difficile comprendere per quale motivo una questione così delicata come i controlli di contaminanti sulle sorgenti di acque destinate al consumo umano sia gestita in maniera così differente da regione a regione, con rimpalli continui tra Asl, Arpa e ente regionale.

Come viene compilata la lista

Quando si entra nel merito del “come vengono composte le liste”, è impossibile non notare i limiti di una normativa che, tranne eccezioni, si mantiene sul vago. Nell’allegato del decreto ministeriale del 2015 che stabilisce i criteri per le acque minerali, sono indicati i limiti per singolo minerale e metallo pesante, ma gli antiparassitari, tranne poche eccezioni (Aldrin, dieldrin, eptacloro, eptacloro epossido) vengono indicati genericamente come da mantenere entro un limite (originariamente di 0,05 microgrammi per litro, poi portato a 0,1), per poi rimandare alle scelte delle autorità sanitarie rispetto ai controlli. Come vengono fatte queste scelte? “L’evoluzione del protocollo analitico – spiega ad esempio Arpae – tiene conto sia dei risultati analitici ottenuti dai programmi di monitoraggio ambientali del territorio (indagini Arpae sulle acque superficiali e sotterranee), considerando le sostanze attive che hanno dato una maggiore evidenza di residualità, sia dei dati di vendita, utilizzo e caratteristiche chimico-fisiche dei principi attivi (capacità di diffondersi nel comparto acque)”. Risposta simile a quella di Arpa Umbria, che per le revisioni della lista tiene conto di: “Richieste specifiche di sostanze da norme su acque potabili, minerali sotterranee e superficiali; risultati dei monitoraggi pregressi, in termini di positività rilevate nei vari corpi idrici regionali, sia superficiali che sotterranei; dati di vendita medi a scala regionale (2009-2012), elaborati da Istat e forniti da Ispra; dati, seppur parziali, forniti dal Sistema informativo agricolo regionale sulle quantità di prodotti fitosanitari impiegate in Umbria; indici di pericolosità per sostanza riportati nelle Linee guida Ispra”. Nel caso dell’Umbria il risultato è una lista di 100 sostanze, nel caso di altre regioni ci si ferma ad alcune decine (poco più di 30 per esempio, in Piemonte). Oltre al limite per singola molecola la legge prevede una soglia massima per la somma dei pesticidi (0,5 mcg/l). Salta all’occhio che la probabilità di superarla si riduce molto quando si cercano solo poche sostanze.

La black list viene aggiornata spesso? non sempre

C’è, poi, la questione di quanto frequentemente vengano aggiornate le “black list”.  Alcune Arpa, come il Piemonte, assicurano un aggiornamento annuale, altre come quella dell’Umbria specificano che l’ultimo aggiornamento risale al 2019. In un mercato così aggressivo, come quello dei fitofarmaci, in cui l’intervento del legislatore nazionale e comunitario è ricorrente per vietare o restringere l’utilizzo di questo o quel principio, nel frattempo definito dalla scienza come tossico o cancerogeno, cinque anni sembrano un’infinità. In questo mare magnum, quasi disorientante, di risposte burocratiche che il Salvagente ha ricevuto alle sue richieste di chiarimento, una persona in particolar modo ha risposto in maniera chiara, senza nascondersi dietro tecnicismi.

Gli interessi dell’industria sono più forti

Marcello Caputo, responsabile della Direzione integrata della prevenzione Asl Cuneo 1, riguardo alla frequenza dei controlli e dei rilevamenti, specifica: “Noi dell’Asl facciamo un controllo circa all’anno sulla lista fornita dall’Arpa, e non abbiamo mai trovato presenza di fitofarmaci”. Il dirigente dell’Asl, allo stesso tempo, aggiunge: “In effetti sono rimasto stupito dell’assenza di alcune sostanze dalla lista, come la cypermethrins, che è usata in piccole quantità ma abbastanza comunemente”. Secondo Caputo, il decreto che stabilisce i criteri sulle acque minerali non aiuta di certo: “Normalmente, quando c’è un obbligo viene abbastanza specificato, invece nel decreto viene scritto che gli antiparassitari non devono esserci in linea di principio e viene rimandato a una lista stilata dalle autorità che devono indicare quelli più comuni da cercare, ma non vi è un esplicito riferimento al singolo fitofarmaco”. Caputo aggiunge: “Da quello che mi risulta, non c’è una procedura chiara su come comportarsi nel caso in cui in una bottiglia di acqua minerale fosse trovato un pesticida in quantità rilevanti. Probabilmente perché, in effetti, si dà per assunto che in un’acqua minerale raccolta alla fonte non ci siano pesticidi”. Di fronte ai limiti e in certi casi alla vaghezza della normativa, sarebbe auspicabile un aggiornamento del quadro che passasse anche da un obbligo di controllo di tutti i pesticidi più pericolosi per la salute presenti in commercio. Si tratta di analisi che i laboratori accreditati svolgono regolarmente con costi non proibitivi. Per intenderci, lo stesso tipo di analisi commissionate dal Salvagente per il suo test per le acque minerali.

L’esperto dell’Asl: La risposta al problema è in genere alzare i limiti

“Il punto – riflette Marcello Caputo – è che il modo usato per adeguare il quadro normativo in questi casi è alzare i limiti di accettabilità delle sostanze. E questo perché il problema è del sistema. In un certo senso, la notizia non è che avete trovato pesticidi nell’acqua minerale, ma che sono dovunque nell’ambiente: nell’aria, nell’acqua, nel cibo, sui terreni. Per cui, qualsiasi soluzione che non sia alzare i limiti significherebbe un aumento dei costi per le aziende. È il sistema di produzione e di consumo che andrebbe messo in discussione. Bisognerebbe diminuire l’uso di pesticidi, ma per questo servirebbe una maggiore premialità per chi non li usa”. Caputo fa l’esempio della Valle Stura, proprio nel cuneese, dove si trovano le sorgenti di alcune acque minerali, tra cui la Sant’Anna: “È un continuo viavai di tir pesanti che inquinano trasportando l’acqua minerale imbottigliata in zona, confezionata in plastica. E sappiamo quanta ne finisce dispersa nell’ambiente sotto forma di microplastiche. Difficile occuparsi solo della questione delle acque senza mettere in discussione i nostri stili di vita e di consumo”. Ciò non toglie, però, che nel frattempo il legislatore potrebbe aggiornare le regole e fare un po’ di chiarezza a beneficio dei consumatori.