Plastica, 1 sacchetto della spesa su 4 è illegale

BUSTE DI PLASTICA

Il 28% dei sacchetti di plastica usati per la spesa non rispettano la legge. Il dato emerge da un rapporto di Assobioplastiche. Il motivo? Gli shopper non sono biodegradabili e compostabili

Nel 2022 sono stati i sacchetti di plastica per la spesa immessi sul mercato sono stati 78mila tonnellate e di queste ben 22mila (il 28,2%) non erano a norma. Dunque più di uno shopper su quattro è illegale. I numeri emergono dal “IX Rapporto sulla filiera italiana delle bioplastiche compostabili” presentato il 6 luglio a Roma durante un convegno organizzato da Assobioplastiche, Consorzio Biorepack e Cic, il Consorzio italiano compostatori.

Scrive il portale EconomiaCircolare: “Il trend delle buste non a norma è ovviamente speculare rispetto a quelle regolari, passando da 91.700 tonnellate nel 2013 (il 77% del totale) alle 17mila del 2021 (22%) per poi risalire leggermente nel 2022 al 28%. Il contesto esterno – nel 2022 la crisi energetica e l’aumento dell’inflazione – che alimenta “la ricerca del prezzo stimola l’illegalità – ha commentato Luca Bianconi, presidente di Assobioplastiche -: la presenza di sacchi non a norma è nettamente in recrudescenza”.

Ma cosa determina questa marea di shopper illegali? Spiega ancora EconomicaCircolare: “Diverse le forme di illegalità, spiegano Assobioplasstiche, Biorepal e Cic: “Decisamente frequente la commercializzazione di borse per asporto merci o alimenti sfusi prive di qualsiasi requisito di legge (certificazioni di biodegradabilità e compostabilità, rinnovabilità e relative etichettature). Altre volte vengono riportati falsi e ingannevoli slogan ambientali. Oppure compaiono marchi di certificazione di compostabilità su sacchetti privi dei requisiti stabiliti dallo standard EN 13432, ad esempio contenenti percentuali di materia prima di origine rinnovabile inferiore al 60%. E c’è poi il caso dei sacchetti dichiarati compostabili ma che in realtà contengono quantità più o meno rilevanti di polietilene, materia prima non ammessa per i bioshopper ma che viene usata per ridurre il costo di produzione. Una frode per chi, in buona fede, li acquista”.

La relazione della Commissione Ecomafie

I numeri presentati dal rapporto sono allarmanti anche se il quadro dipinto esattamente un anno fa dalla Commissione parlamentare sulle Ecomafie è ancora più fosco: ben 4 sacchetti su 10 non sarebbero nemmeno biodegradabili. A produrre questi sacchetti, hanno scoperto in diversi casi gli inquirenti, non sono piccoli laboratori clandestini, ma gli stessi siti produttivi che realizzano le plastiche biodegradabili e compostabili.

L’importo delle sanzioni poi sicuramente non aiuta come deterrente al contrasto di questa illegalità. I rischi per chi viola la legge infatti non sono del resto tali da scoraggiare questo business che la Commissione ecomafie definisce frutto di un’attività ben organizzata. Di fatto, per chi viola o elude la legge sulle borse in plastica è prevista una sanzione amministrativa che va dai 2.500 a 25.000 euro, elevabili fino a 100.000 euro se la violazione riguarda quantità ingenti di borse di plastica o un valore della merce superiore al 10% del fatturato del trasgressore.
Decisamente più gravi, invece, le responsabilità per chi applica alle buste una etichetta “biodegradabile – compostabile” non corrispondente alle caratteristiche del materiale di cui è costituita la busta. In questi casi il produttore è perseguibile penalmente, incorrendo nella fattispecie di “frode nell’esercizio del commercio” (art. 515 del codice penale)

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Il sacchetto non a norma “inquina” il rifiuto organico

Non dimentichiamoci che la non conformità dei sacchetti non si ferma agli shopper nei negozi: anche quelli usati per la differenziata, a cominciare dalla frazione dell’umido-organico, presenta più di un’insidia. Nei rifiuti organici raccolti in Italia con la differenziata, secondo un monitoriaggio del 2018 del Cic, il 4,9% è plastica. Il 44% dei sacchetti usati per l’umido sono di plastica tradizionale, invece che compostabile. A rivelarlo è un monitoraggio del Consorzio Italiano Compostatori (Cic), presentato a un convegno sulla gestione dei rifiuti a Kassel, in Austria. L’analisi del Cic è basata sui risultati delle 45 analisi effettuate su 27 impianti (15 di compostaggio, 12 di digestione anaerobica e compostaggio) nell’ambito del progetto “Di che plastica 6”, svolto in collaborazione con Assobioplastiche, Conai e Corepla.

Massimo Centemero, direttore del Cic, spiegava al Salvagente, che questa percentuale è possibile “perché se ci sono ancora in giro sacchetti con l’etilene, qualcuno li usa, soprattutto se non c’è una comunicazione adeguata del Comune, di un consorzio. Di questi la gran parte sono sacchetti di ortofrutta, perché il cittadino se li trova in casa e li usa. Adesso con la nuova legge che impone i bioshopper anche per l’ortofrutta, prevediamo un aumento dei sacchetti bio”. Secondo Centemero, “un sacchetto compostabile dovrebbe avere impresso un logo chiaro, in modo che nessuno si sbaglia”.