Disfattismo contro il made in Italy: Coldiretti attacca Report

COLDIRETTI REPORT

Dopo l’inchiesta di Report sugli allevamenti della filiera del prosciutto di Parma, tanto il presidente di Confagricoltura che Prandini di Coldiretti si sarebbero lamentati con la premier Meloni: la trasmissione screditerebbe gli imprenditori agricoli. Un anno fa il Salvagente aveva pubblicato i conflitti di interessi tra controllori e controllati

Non facciamo disfattismo sul made in Italy. Sembrano riecheggiare antiche accuse a chi metteva in discussione la follia dell’autarchia nelle parole, riportate dal Corriere della Sera, di Ettore Prandini presidente di Coldiretti che si sarebbe lamentato con la premier Meloni della trasmissione di Report andata in onda lunedi scorso sulle condizioni in cui vengono allevati maiali che vengono avviati alla produzione del prosciutto di Parma. La colpa di Report secondo Prandini? Screditare gli imprenditori agricoli. Anche il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti, sempre secondo il quotidiano, si è lamentato con la premier del fatto che la tv di Stato non può ospitare programmi che ledano la reputazione delle aziende italiane.

Report nell’inchiesta di Giulia Innocenzi “Che porci!” ha mostrato come in alcuni allevamenti che riforniscono la filiera del prosciutto di Parma vessazioni e uso “allegro” di topicidi possano mettere a rischio la salute degli animali. Non solo. Il secondo taglio della trasmissione è stata dedicata a ricostruire i conflitti di interessi tra il controllato – i prosciuttifici del Consorzio – e il controllore – l’ente di certificazione Csqa – come aveva già testimoniato l’inchiesta pubblicata esattamente un anno fa dal Salvagente che però la brava collega Innocenzi non ha mai citato.

Per chi volesse ripubblichiamo di seguito la nostra inchiesta e anche l’intervista al Csqa con le incongruità che emersero:

Si regolarizzava senza regolarizzare”. Era questa la prassi seguita nei macelli dove venivano sezionate le cosce di suino destinate a diventare prosciutti di Parma Dop. Maiali fuori peso, non ammessi dal disciplinare del Consorzio di tutela, che attraverso un escamotage matematico venivano sistematicamente “regolarizzate” come partite conformi. Una situazione avallata dal Csqa, l’ente di certificazione della filiera del Parma.
Il risultato? Il consumatore convinto di portare in tavola le prestigiose fette poteva pagare tra il 30 e il 50% in più per un prosciutto che probabilmente non aveva le caratteristiche per potersi fregiarsi del famoso marchio. In quello che a tutti gli effetti sembra essere un nuovo capitolo dello scandalo di Prosciuttopoli, scoppiato appena cinque anni fa e che portò alla luce l’impiego fraudolento di razze di suini a rapida crescita non ammesse dal disciplinare, le cosce ricavate da suini fuori peso sarebbero dovute essere smarchiate, escluse quindi dal circuito della Dop e vendute a un prezzo decisamente più basso.

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Uno scandalo che, a quanto risulta al Salvagente che pubblica nel nuovo numero in edicola da oggi documenti esclusivi, è proseguito anche in anni più recenti con animali fuori peso – per genetica o scorretta alimentazione – che hanno continuato a diventare prosciutto di Parma non avendone le caratteristiche. Secondo l’Icqrf, l’Ispettorato centrale della tutela della qualità e la repressione frodi dei prodotti agroalimentari del ministero delle Politiche agricole, che a febbraio ha sospeso per quattro mesi il Csqa per “ripetute violazioni del Piano dei controlli”, tra gennaio e novembre 2020 “per l’intera filiera tutelata sono state rilevate 14.596 partite fuori peso su un totale di 58.245 partite consegnate, riferibili a 2.125 allevamenti”, la totalità dei fornitori del Parma. In altre parole la Repressione frodi ha accertato che il 25% dei maiali avviati alla filiera della Dop nel 2020 non aveva le caratteristiche per ricevere il prestigioso marchio.  Quanti prosciutti sono coinvolti? I numeri sono enormi: ogni partita rappresenta un camion che trasporta 130 capi dai quali si ricavano – al netto dell’autocontrollo e degli scarti dell’autorità sanitaria – circa 200 cosce. A conti fatti si stimano 730mila cosce irregolari. Un numero enorme, che rischia però di rappresentare solo la punta di un iceberg ben più grande visto che le “regolarizzazioni irregolari” sarebbero proseguite fino a dicembre 2021.

Resa fittizia

A questo punto è lecito porsi la domanda: come faceva una partita non conforme rispetto al peso a essere avviata al macello e poi immessa nel circuito Dop? Qui entra in gioco l’escamotage matematico bollato come “inaccettabile” dall’Icqrf e che ha portato alla sospensione del Csqa che sembra, scrivono gli ispettori nella relazione presentata nell’ottobre 2021, “più orientato ad assecondare le esigenze della filiera (prosciuttifici e Consorzio compresi, ndr) che preoccupato del rispetto della conformità del disciplinare di produzione e del Piano dei controlli”. La “gestione sconsiderata” dell’ente di certificazione ha favorito “gli operatori evitandogli sanzioni per le non conformità gravi” che risulta essere più interessato “agli aspetti economici che alla gestione dell’imparzialità”.
Ma qual è l’escamotage matematico attraverso il quale si “regolarizzava senza regolarizzare”? In estrema sintesi: veniva usato il peso da morto dell’animale e non quello medio da vivo come prescrive il disciplinare del prosciutto di Parma. E così, usando un gioco di numeri, rientrava nel range accettabile per considerare Dop una coscia e non declassarla.

Gioco di numeri

Andiamo con ordine. I maiali che da vivi pesavano più del consentito – 160 chili, più o meno uno scarto tollerato del 10%, con un range compreso tra i 144 e 176 chili – venivano regolarizzati da morti attraverso una vera e propria forzatura: per rendere conforme la partita veniva applicata la resa teorica di macellazione e non quella reale prevista dal disciplinare.
Nel macello si calcola il peso medio perché in una partita di maiali ci possono essere capi che pesano più dello standard e compromettono quindi l’intera fornitura. Per renderla regolare si devono compiere dei calcoli per valutare se può ambire a entrare nel circuito Dop.
Facciamo un esempio. Una partita che arriva in mattatoio con una media di 182 kg è irregolare. In questo caso le norme consentono di escludere il capo più pesante e dopo la macellazione ricostruire il peso medio da vivo per procedere alla regolarizzazione applicando la resa effettiva. La resa media di macellazione accettata è dell’82% e nel nostro esempio il peso medio delle carcasse (eviscerate) è 152 chili. Per ricostruire il peso medio da vivo dell’animale viene applicata la resa reale (l’82% di 152) e il risultato è 185 chili: la partita resta non conforme e quindi dovrebbe esclusa dalla Dop. Cosa succedeva invece nei macelli con l’avallo del Csqa come accertato dall’Icqrf? Veniva applicata non la resa reale ma una resa fittizia quasi sempre tra l’84 e l’86% (applicandolo al nostro esempio il peso finale risulta essere 176 chili, quindi in linea con quanto previsto dal disciplinare) in modo tale da dare il via libera alla quasi totalità delle oltre 14mila partite risultate irregolari all’arrivo nei macelli nel 2020.
Scrivono gli ispettori della Repressione frodi: “Nei verbali esaminati, la resa utilizzata dai macelli è quasi sempre compresa tra l’84 e l’86% e non corrisponde alla resa effettiva della relativa partita macellata che, se utilizzata, avrebbe rilevato la mancata regolarizzazione delle partite”. Si applica un artificio matematico per “aggiustare” un peso che avrebbe determinato l’esclusione dell’animale dalla filiera del prestigioso Parma. L’obiettivo è chiaro: “I macelli utilizzavano una resa teorica alta per distogliere il minor numero possibile di carcasse”. Un modus operandi che faceva comodo a tanti (a cominciare dagli stessi macellatori che con una resa fittizia più alta si aggiudicavano il marchio Dop sulla coscia e incassavano 70-80 euro, mentre avrebbero avuto meno della metà se la coscia fosse stata esclusa) e sul quale il Csqa, a quanto appare dai verbali dell’Icqrf, non ha mai avuto da ridire. “A disciplinare vigente – si legge nella relazione dell’Icqrf – una regolarizzazione dopo la macellazione rappresenta già una forzatura; consentirla secondo l’interpretazione degli organismi di controllo (Csqa, ndr) è inaccettabile”.

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Lo studio “viziato”

Ammesso che, come accertato, non è regolare applicare una resa teorica al posto di quella reale, chi ha calcolato la percentuale fittizia che veniva usata?
Nell’audit della Repressione frodi ci si trova di fronte a un vero e proprio conflitto di interessi: la percentuale è stata di fatto stabilita a tavolino dagli industriali della carne, dagli allevatori di suini e dallo stesso Consorzio. La resa teorica compresa tra il 78 e l’86% che veniva applicata per regolarizzare le partite non conformi è ricavata da uno studio condotto nel dicembre 2019 dal Crpa, un ente di ricerca di proprietà di diverse associazioni di categoria: Anas (gli allevatori di suini), Assica (gli industriali della carne e dei salumi) Progeo (mangimifici), Aia (allevatori) e, dulcis in fundo, dal Consorzio del Parma. “È di tutta evidenza”, scrive la Repressione frodi, “che uno studio sulla resa di macellazione commissionato e realizzato da detto ente risulta carente di terzietà, soprattutto per le finalità collegate all’utilizzo dei risultati che vanno a incidere direttamente sui proprietari stessi del Crpa”.
Il paradosso è che il precedente ente di certificazione, l’Ipq sospeso nel 2019 e sostituito dal Csqa, aveva provato in passato ad applicare una resa dell’86% ma in quel caso proprio gli industriali di Assica si erano opposti. Ora invece, insieme ad altri, hanno pagato uno studio per legittimare quella percentuale.
Le incongruenze non finiscono qui. L’Ispettorato del ministero contesta la formazione del campione preso in esame: nello studio non si spiega perché sono stati scelti alcuni macelli e non altri e perché sono stati considerati periodi diversi di osservazione. Non solo: i dati sulla resa di macellazione sono stati ricavati dal portale impresa.gov sul quale vengono registrate le operazioni (compreso il peso) di macellazione. “Quei dati non sono affidabili”, accusano gli ispettori del ministero, perché “il file con cui sono trasmessi può essere alterato dal macello prima dell’invio”. Sembrerà assurdo ma è risultato anche che “alcuni macelli non avevano la pesa e inserivano su impresa.gov semplicemente il peso indicato dall’allevatore”. Alla luce di tutte queste criticità è lecito chiedersi quanto possa essere affidabile il campione preso in esame dallo studio e la percentuale di resa teorica che ne deriva.
Se si fosse seguito un percorso più lineare, si sarebbe dovuto utilizzare una resa media universalmente accettata che è pari al 82% per procedere all’eventuale regolarizzazione delle partite fuori peso.

Lapidaria la conclusione dell’Icqrf: “Non vi è dubbio che tutto questo fosse ben chiaro alla filiera e agli Organi di controllo che non intendevano utilizzare un valore di resa universalmente accettato (l’82% appunto) che avrebbe comportato di distogliere un maggior numero di carcasse dalla Dop”. Che invece sono diventate prosciutti di Parma. Si ritorna così al problema principale che ha segnato uno dei gioielli del made in Italy e cioè, prosegue ancora l’Icqrf, “che il peso medio dei suini è diffusamente superiore a quello previsto dai disciplinari. È questo dunque il principale problema da risolvere per mantenere la credibilità del sistema della Dop”.

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La replica del Csqa: “Problemi risolti”. Ma le date non tornano

Il Salvagente ha formulato una serie di domande a Csqa ripercorrendo le criticità emerse dall’ispezione dell’Icqrf: nel numero in edicola riportiamo l’intera posizione dell’azienda. Nelle risposte ottenute il certificatore a mo’ di premessa fa sapere che “la vigilanza di Icqrf è stata effettuata sulle attività che Csqa ha svolto sulla filiera del Prosciutto di Parma Dop in un anno che ha visto la concomitanza di tre fattori di grande impatto: l’avvio del nuovo Piano dei controlli avvenuto senza alcun periodo di transizione; l’inizio del periodo pandemico; l’integrazione in Csqa del personale del precedente ente di controllo allo scopo di non creare ricadute negative di carattere occupazionale e sociale”.

Le partite regolarizzate sono diventate prosciutti di Parma Dop? Sono stati tutti venduti? “Rispetto alla contestazione più grave – rispondono da Csqa – relativa alla presunta applicazione scorretta della procedura di regolarizzazione delle partite fuori peso, si sottolinea come tale rilievo non sia stato successivamente confermato da Icqrf che ha riconosciuto, nell’estate del 2021, la correttezza dell’operato di Csqa specificando che: “L’interpretazione fornita da codesti Organismi risulta coerente con l’attuale formulazione del Piano di Controllo (…)”. I prosciutti sono stati pertanto dichiarati pienamente conformi e non è stata disposta dall’autorità competente alcuna esclusione di prodotto dal circuito tutelato. Ogni altra considerazione o illazione risulta pertanto inutile e pretestuosa”.
Qualcosa nelle date, però, non ci torna: Icqrf ha presentato il Rapporto finale di audit il 7 ottobre 2021 con le censure dell’operato del Csqa come fa l’organismo a sostenere di aver avuto un via libera precedente dallo stesso Ispettorato?
Al Salvagente inoltre risulta che a metà luglio 2021 la Direzione generale per il riconoscimento degli organismi di controllo e certificazione e tutela del consumatore dell’Icqrf abbia confermato che per la regolarizzazione delle partite fuori peso doveva essere applicata la resa effettiva e non teorica come accertato per tutto il 2020. Dunque anche in estate non sembrava aver ottenuto alcun via libera.
Resta infine il fatto che se tutto fosse stato risolto negli scorsi mesi sarebbe incomprensibile la decisione dell’Icqrf di mettere sotto tutela Csqa a febbraio 2022.

La posizione del Consorzio del prosciutto di Parma: “Nessuna violazione”

Le criticità sollevate dall’Icqrf-Repressioni frodi lungo la filiera del prosciutto di Parma riporta al problema principale che da anni il Consorzio non sembra riuscire a risolvere: il peso medio dei suini è ampiamente superiore a quello previsto dal disciplinare. Al Consorzio del prosciutto di Parma abbiamo chiesto perché si è continuato a vendere cosce che sono state regolarizzate con procedure censurate da Icqrf e contrarie al piano dei controlli e al disciplinare?
Questa la posizione del Consorzio: “Riguardo ai prosciutti marchiati e venduti come “Prosciutto di Parma”, non è stata commessa alcuna violazione del disciplinare e affermare il contrario è del tutto pretestuoso. È infatti nell’interesse del Consorzio stesso e dei suoi produttori offrire a tutti consumatori un prodotto conforme alle norme di produzione imposte nel disciplinare e con tutte le garanzie proprie di una Dop. Csqa ha dimostrato che la procedura di regolarizzazione era stata discussa e condivisa con Icqrf prima di essere correttamente applicata, nonché approvata nel piano dei controlli.
Come Consorzio, apprezziamo i notevoli sforzi compiuti da Csqa – sia durante la pandemia che negli ultimi mesi – per adeguare la propria attività alle nostre indicazioni di rafforzamento del sistema di controllo e continuiamo a ribadire il nostro pieno sostegno al loro operato, fiduciosi che la questione si chiuderà positivamente quanto prima”.