Pasta, ecco da dove viene il grano

PASTA ORIGINE

Marchio per marchio, ecco l’origine del grano della pasta venduta nei supermercati. Il test completo sugli spaghetti nel numero ancora in edicola

Da dove viene il grano della pasta che acquistiamo al supermercato o nei discount? Nella grafica che segue abbiamo riportato l’origine della materia prima – indicata per legge sulle confezioni – per i principali marchi. Il test completo sui 20 spaghetti analizzati è disponibile nel numero ancora in edicola o in digitale (acquista qui).

Dal Canada, leader mondiale nella produzione di grano duro, nel 2021 sono arrivate oltre un milione di tonnellate (1,025), consolidando il ruolo di primo fornitore italiano. Sebbene la quota importata segni un flessione considerevole (-33%) rispetto al quantitativo record 2020 (1,5 milioni di tonnellate), da Montreal le forniture sono tornate ai livelli massimi, archiviando il periodo del biennio 2017-2018 quando – specie per effetto glifosato, l’erbicida molto utilizzato a quelle latitudini – gli arrivi dal Nord America erano crollati addirittura ad appena 220mila tonnellate.
Nonostante il calo delle importazioni registrato nel 2021, come testimoniano gli ultimi dati di Ismea, l’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare, l’acquisto di grano duro estero resta fondamentale per l’industria italiana (2,3 milioni le tonnellate importate nell’ultimo anno, a fronte di una produzione interna di 3,88 milioni di tonnellate). Parallelamente in questi anni è cresciuta la produzione di pasta fatta al 100% di grano italiano.

E allora come si giustificano tutte queste importazioni? Molto semplicemente: gran parte del grano estero è usato per produrre pasta destinata, a sua volta, all’esportazione.
Certo, scorrendo la nostra lista (pubblicata sopra) non sono pochi i pastifici che ancora usano miscele di grani anche esteriDe Cecco e Rummo tra i grandi marchi -, tuttavia la quota di “duro” tricolore è decisamente aumentata. Scrive Ismea: “Uno stimolo consistente al consumo di pasta perviene dalla pasta 100% italiana che nel 2020 ha mostrato un aumento delle vendite del 3,8%. Il consumatore italiano negli ultimi anni sta mostrando un crescente interesse nei confronti di questo prodotto, così come l’industria nazionale sta utilizzando sempre più l’etichetta d’origine per il riposizionamento della propria produzione. Il peso detenuto dalla pasta 100% italiana – prosegue Ismea – è costantemente aumentato: da una quota del 14% in volume e del 17% in valore nel 2018, ha raggiunto il 38% in volume e il 41% in valore nei primi sei mesi del 2021”.
La maggiore trasparenza in etichetta – unita alla spinta dell’opinione pubblica contraria all’erbicida probabile cancerogeno – ha contribuito a condizionare le scelte dei produttori sull’origine della materia prima. E non è un caso se, prima volta in 8 anni, dalle nostre analisi nessun campione ha riportato tracce di glifosato: nei capitolati di fornitura l’erbicida è sempre meno accetto.

Origine in etichetta: cosa prevede la legge

L’indicazione obbligatoria dell’origine del grano sulla pasta è stata introdotta nel 2017 dall’Italia, con il benestare della Ue, in via sperimentale e finora è stata sempre rinnovata di anno in anno. Stando alle regole attuali, sulle confezioni di pasta secca per il mercato interno o vendute in Italia devono essere riportate le seguenti diciture:
Paese di coltivazione del grano: nome del paese nel quale il grano viene coltivato;
Paese di molitura: nome del paese in cui il grano è stato macinato;
• Se queste fasi avvengono nel territorio di più paesi, possono essere utilizzate, a seconda della provenienza, le diciture: “Paesi UE”, “Paesi NON UE”, “Paesi UE E NON UE”;
• Se il grano duro è coltivato almeno per il 50% in un solo paese, come ad esempio l’Italia, si potrà usare la dicitura: “Italia e altri Paesi UE e/o non UE”.