Cosa può fare un contribuente per contestare l’Agenzia delle entrate: quali sono gli strumenti a sua disposizione e in cosa consiste il ricorso tributario. I diversi gradi di giudizio e il ricorso in Cassazione, le cifre da pagare e le tempistiche previste.
Quando un contribuente riceve un accertamento fiscale che ritiene illegittimo o infondato può rivolgersi alla Commissione tributaria provinciale per chiederne l’annullamento totale o parziale. Lo strumento del ricorso tributario è solo uno di quelli messi a disposizione del cittadino per evitare che di instaurare un contenzioso con l’Agenzia delle entrate e incappare nella riscossione coattiva dei tributi (pagamento di un tributo non pagato spontaneamente o a seguito della notificazione dell’avviso di accertamento). Tra gli altri troviamo:
- l’autotutela, che si verifica nei casi in cui sia l’Agenzia stessa a rendersi conto di aver commesso un errore e dunque ad annullare la riscossione del tributo o a correggerlo;
- l’acquiescenza, con cui il contribuente che riceve un avviso di accertamento a suo dire illecito ha l’opportunità, se rinuncia a presentare ricorso, ad ottenere una riduzione delle sanzioni;
- l’accertamento con adesione, grazie al quale il contribuente sancisce un accordo con l’Agenzia per il pagamento delle somme dovute riportate nell’avviso di accertamento;
- il reclamo o la mediazione, strumento deflativo del contenzioso tributario per prevenire ed evitare le controversie che possono essere risolte senza ricorrere al giudice;
- la conciliazione giudiziale, che permette di chiudere i contenziosi con il fisco.
Il ricorso tributario
Nel caso in cui il contribuente ritenga illegittimo l’accertamento emesso a suo carico, può contestare l’Agenzia delle entrate con un ricorso tributario. Si tratta di portare la questione dinanzi ad un giudice, in un processo che ha sempre due gradi di giudizio di merito:
- il primo grado, che si svolge dinanzi alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado territorialmente competente. Il contribuente potrà agire contro gli atti emessi dagli uffici dell’Agenzia delle entrate, delle dogane e dei monopoli, dagli enti locali e contro le cartelle di pagamento e i provvedimenti emessi dagli agenti e dai concessionari della riscossione;
- l’appello, che si svolge dinanzi alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado, si può proporre impugnazione per le sentenze emesse dalle Corti di Giustizia Tributaria di primo grado.
Vi è poi un terzo grado di giudizio, che permette ai contribuenti di opporsi alle decisioni della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado portando il caso in Cassazione.
Ricorso tributario, il procedimento
Per avviare un processo tributario è necessario che il contribuente presenti il ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di competenza. Più nello specifico l’atto emesso dagli uffici dell’Agenzia andrà contestato entro 60 giorni dalla data in cui il contribuente ha ricevuto il medesimo atto, con il ricorso che andrà immediatamente notificato all’ufficio che lo ha emesso. Tale comunicazione potrà avvenire:
- per consegna diretta;
- per posta, con plico raccomandato senza busta e con l’avviso di ricevimento;
- a mezzo notifica di ufficiale giudiziario.
Successivamente, entro 30 giorni dalla data in cui ha provveduto alla notifica del ricorso all’ufficio che ha emesso l’atto, il contribuente deve costituirsi in giudizio e dunque depositare o trasmettere alla Commissione tributaria una copia del ricorso, una fotocopia della ricevuta di deposito o della spedizione per raccomandata a mezzo del servizio postale.
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Si ricorda che, anche il ricorso non esenta il contribuente dal versamento dovuto all’Agenzia delle entrate. Si tratta, come evidente, di un pagamento provvisorio che verrà rimborsato nel caso in cui il ricorso dovesse essere accolto.
Il passaggio successivo del processo tributario è quello che si svolge nei vari gradi di appello. A tal proposito si ricorda che:
- la sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di primo grado può essere appellata alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado entro 60 giorni a decorrere dalla notificazione dell’istanza di parte (6 mesi se non viene notificata la sentenza). Tale ricorso è proposto nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di primo grado;
- la sentenze pronunciate in grado d’appello possono essere impugnate con ricorso in Cassazione;
- per controversie che riguardano tributi di valore superiore a 3.000 euro è indispensabile l’assistenza di un difensore abilitato
Il ricorso in Cassazione
Soffermiamo ora l’attenzione sul solo caso del ricorso in Cassazione. Si tratta dell’extrema ratio del processo per ricorso tributario che, tuttavia, potrà verificarsi solo al realizzarsi di determinate condizioni:
- problematiche legate alla giurisdizione;
- violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento di competenza;
- violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro;
- nullità della sentenza o del procedimento;
- omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Inoltre, si ricorda che in base a quanto previsto dal comma 2-bis dell’art. 62 del D.Lgs. n. 546 del 1992, le parti possono accordarsi per impugnare la sentenza della Commissione tributaria provinciale proponendo direttamente ricorso per Cassazione. Si salta, dunque, il secondo grado di giudizio. In ultimo, per potersi verificare un ricorso in Cassazione è necessario che questo venga sottoscritto da un avvocato iscritto nell’apposito albo, munito di procura speciale.
L’esito della sentenza
Il ricorso tributario viene discusso in Camera di consiglio, ovvero senza la presenza delle parti. Spetterà alla segreteria della Commissione il compito di comunicare alle parti costituite il dispositivo della sentenza. Vediamo dunque cosa succede nei diversi casi di sentenza favorevole o sfavorevole per il contribuente che ha avviato il processo di ricorso.
Qualora la decisione della Camera di consiglio fosse sfavorevole al ricorrente, nei casi in cui è prevista la riscossione frazionata del tributo oggetto del giudizio, le somme dovute con i relativi interessi devono essere pagate in modalità differenti rispetto alla fase del processo:
- dopo la notifica dell’accertamento (dunque prima dell’avvio del processo stesso), andranno pagate le imposte dirette, l’Iva e l’imposta di registro per un ammontare pari ad un terzo della maggiore imposta. Non viene previsto invece, in questa fase, il pagamento di sanzioni;
- dopo la decisione della Corte di Giustizia Tributaria di primo grado sfavorevole al contribuente, andranno pagati i due terzi del tributo con gli importi che vengono diminuiti di quanto già corrisposto;
- dopo la decisione della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado, andranno pagati gli importi residui dell’ammontare indicato nella sentenza.
In questi ultimi due punti, ovvero dopo le decisioni di primo e secondo grado, si deve considerare lo stesso procedimento di pagamento anche per le sanzioni applicate al contribuente.
Nei casi in cui, invece, la sentenza anche non definitiva si esprimesse a favore del contribuente che ha presentato il ricorso, l’ufficio dell’Agenzia che ha emesso l’atto nei suoi confronti deve, entro 30 giorni dalla notifica della sentenza, provvedere ad eseguire gli obblighi stabiliti dalla Camera di consiglio. Qualora l’ufficio non dovesse rispettare quanto previsto dalla sentenza, il contribuente può presentare un ulteriore ricorso per richiederne l’esecuzione, il cosiddetto giudizio di ottemperanza. In questo caso il ricorso va presentato al Presidente della Commissione che ha emesso la sentenza di cui si chiede l’ottemperanza.
Inoltre, nella sentenza la Commissione tributaria stabilisce anche l’ammontare delle spese processuali, indicandole a carico della parte soccombente. Se la soccombenza è reciproca o sussistono delle gravi ed eccezionali ragioni espressamente motivate, la Commissione tributaria può anche decidere di compensare le spese tra le parti del giudizio. Le sentenze favorevoli al contribuente sono immediatamente esecutive anche in ordine alle spese di giudizio.
Ptt, il processo tributario telematico
In base a quanto previsto dal decreto del direttore generale delle Finanze del 4 agosto 2015, le parti coinvolte in un ricorso tributario possono costituire un giudizio con modalità telematiche relativamente ai ricorsi notificati a partire dal 1° dicembre 2015, da depositare presso le Corti di Giustizia Tributaria di primo grado e secondo grado della Toscana e dell’Umbria. Si tratta di un vero e proprio avvio operativo che ha lo scopo di testare tale modalità processuale prima di estenderla a tutto il territorio nazionale.
Tutto l’iter viene gestito dal Sistema Informativo della Giustizia Tributaria (S.I.Gi.T). Le parti del processo, ovvero agenzie fiscali, enti della riscossione, camere di commercio, enti territoriali locali, professionisti e cittadini, dovranno esservi registrati ed essere in possesso di una casella di posta elettronica certificata PEC e di una firma digitale valida. Con il processo telematico si avranno delle tempistiche più brevi rispetto alle tradizionali, in quanto vengono resi più celeri gli adempimenti processuali. Le parti, inoltre, potranno presentare tutta la documentazione in via telematica ed avere accesso al fascicolo informatico del processo per consultare gli atti e i provvedimenti emanati dal giudice.