Perché la crisi del grano e dell’olio ucraino potrebbe destabilizzare molti paesi extraUe

grano ucraina

L’Unione europea sta pensando a “corridoi di solidarietà” per consentire l’uscita dall’Ucraina di grano, mais e di olio di girasole, derrate bloccate nei silos o nei porti del Mar Nero, UNa misura da non rimandare se non si vuole correre il rischio di mettere a rischio la Food security. Non tanto quella europea ma quella di molti paesi del Mediterraneo, con esiti che sarebbero difficili da governare

L’Unione Europea sta proponendo in questi giorni come misura di emergenza la creazione di “corridoi di solidarietà” che possano consentire l’uscita dall’Ucraina di grano, mais e di olio di girasole, di milioni di tonnellate di derrate bloccate nei silos o nei porti del Mar Nero. L’Ucraina è da sempre il granaio di Europa e ha nell’agricoltura un punto di forza della sua economia.

Questa strategia emergenziale è un passo avanti per compattare l’Unione Europea e può aiutare gli agricoltori ucraini in questa grave crisi. Questi corridoi di solidarietà permettono di svincolarsi da porti come quello Odessa per individuare percorsi via terra verso alcuni paesi confinanti. L’obiettivo è di recuperare circa il 30% dei livelli di export pre-guerra.

Una lettura rapida di quanto sta accadendo fa concludere che siamo di fronte ad una grave crisi di sicurezza alimentare ovvero di “Food Security” che si traduce in non avere cibo a sufficienza per accedere ad una vita sana ed attiva.

La stessa FAO, perché non si scateni una crisi alimentare, indica i quattro pilastri essenziali in disponibilità di cibo, l’accesso allo stesso, utilizzo e costanza degli approvvigionamenti per i paesi non autosufficienti.

La Dichiarazione dei Diritti Umani del 1948 parla esplicitamente di diritto al cibo e per alcuni storici una crisi alimentare è considerata un fattore co-scatenante della “Primavera araba” del 2010 che fu alimentata dall’aumento dei prezzi, dalla scarsità di materie prime alimentari e, naturalmente, da interessi politico-economici a contorno.

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Non è mai ammesso che una crisi alimentare diventi arma di pressione economica e tantomeno politica su paesi terzi. I paesi più ricchi sono però fortemente spaventati da problemi di Food Security perché temono di vedere ridursi l’enorme attuale disponibilità di cibo e ancora peggio vedono profilarsi all’orizzonte la minore possibilità di sprecarlo in forza a livelli di qualità non eccelsi e a costi accessibili.

In questo periodo la percezione nei consumatori d’insicurezza alimentare ha valicato le porte Scee e una crisi alimentare dovrà riconoscere equamente il lavoro di chi produce, individuare gli sprechi e accollerà maggiori costi per una maggiore qualità dei prodotti alimentari.

Questa crisi alimentare si sta innestando su una grave crisi climatica e su una altrettanto grave crisi economica molto simile a quella del 2008-2010 provocata dalla pandemia.

La conseguenza sarà una maggiore pressione migratoria dalle aree più povere verso l’Occidente perché la sopravvivenza di intere popolazioni, che dipendono dalla importazione di derrate alimentari essenziali, non potrà attendere troppo.

L’insicurezza alimentare è statisticamente misurabile e se in famiglia cresce la paura di non avere cibo a sufficienza, specie per i bambini, si attivano dei meccanismi molto profondi che conducono a problemi sociali molto complessi da governare e da risolvere.

Una lettura, utilizzando il pensiero parallelo, di quanto sta avvenendo associa per molti paesi Europei la non autosufficienza per il cibo a quella per l’energia che ricevevano dai paesi coinvolti nel conflitto.

Un qualcosa di simile si è osservato con l’Iraq e il programma “Oil for Food” che oggi si potrebbe ribattezzare “Gas for Food”. Aumentiamo da alcuni paesi l’importazione di energia in cambio di sostegno alimentare.

L’augurio è che i risultati siano più efficaci dell’”Oil for Food” dove alcuni punti deboli e veri e propri scandali crearono delle brecce in un approccio nel complesso positivo che hanno condotto a seri problemi economici e sociali.

Occorre però trovare una soluzione nel breve termine, è urgente depressurizzare la crisi e far sì che i paesi più ricchi esportino alle nazioni più a rischio di crisi alimentare, risorse, tecnologie ed innovazione. Dobbiamo mutare da una politica assistenziale figlia delle crisi e non strutturabile ad una sorta di “mutua solidarietà”.

Ridurre gli sprechi laddove è l’abbondanza a non dare la misura giusta, ridistribuire le risorse alimentari laddove mancano o mancheranno a breve, ad es. nei paesi affacciati sul Mediterraneo dal lato equatoriale, queste e altre misure simili permetterebbero di evitare che su una crisi grave e incomprensibile come quella in atto se ne innesti una alimentare ben più grave e di proporzione quasi planetarie.

Il futuro, in questo momento, è meno stocastico di quanto si immagini. Se prevediamo cosa accadrà ad una stella ad anni luce di distanza, mortifichiamo l’essenza umana se ci appelliamo all’alea per gestire diversamente quanto accadrebbe se continuiamo a percorrere queste strade.