Le nostre analisi: troppi Ipa nei salumi affumicati “al naturale”

SALUMI AFFUMICATI

Abbiamo portato in laboratorio salmone e salumi affumicati per misurare la presenza di idrocarburi policiclici aromatici. I risultati in alcuni casi mostrano il superamento dei limiti consentiti dall’Unione europea, nei prodotti con fumo “naturale”

Da metodo secolare per conservare gli alimenti in assenza del freddo a sapore caratteristico e ricercato dai consumatori. Da centinaia di anni il fumo viene utilizzato per conservare carni, pesci e formaggi sfruttando le proprietà antibatteriche di alcune delle sostanze volatili in esso contenute (come aldeide formica) combinate alla temperatura elevata e dalla disidratazione dell’ambiente che diventa povero di ossigeno. In seguito al trattamento di affumicatura, eseguito utilizzando principalmente legno di faggio, quercia e castagno, l’alimento assume il particolare sapore e aroma che conosciamo e apprezziamo ancora oggi, quando questa tecnica non ha quasi più utilità pratica per la conservazione.

I due metodi per l’affumicatura industriale

Il processo di affumicatura, però, continua a essere largamente utilizzato dall’industria alimentare. Il procedimento lento e a freddo prevede che l’alimento venga trattato con

Nel numero in edicola i risultati della prova che abbiamo condotto nei laboratori del Gruppo Maurizi su salmone, coppiette, pancetta e guanciale affumicati. L’edizione digitale la trovate qui

fumo tra i 20 e i 25°C per un tempo che varia da pochi giorni ad alcune settimane. In genere viene usato per il salmone e gli alimenti semigrassi. L’alternativa è veloce e a caldo: tra i 25 e i 45°C o tra i 50 ed i 90°C. Di solito è usata per trattare salumi ed insaccati come prosciutto, speck, lardo e pancetta.
Questi parametri sono importanti perché influenzano i livelli di Ipa contenuti nella fase meno volatile del fumo. Gli Ipa, o Idrocarburi policiclici aromatici sono composti costituiti da due o più anelli aromatici che si formano in seguito a una combustione incompleta di materiale organico.

Residui che spaventano

Nel Regolamento (CE) n. 1881/2006 parte 6 vengono indicati i tenori massimi applicabili ad alcune tipologie di alimenti per Benzo(a)pirene (utilizzato come marcatore della presenza e dell’effetto nei prodotti alimentari di Ipa cancerogeni) e la somma di Benzo(a)pirene, Benzo(a)antracene, Benzo(b)fluorantene e Crisene.
Si tratta, come è ovvio, di molecole indesiderabili in ciò che mangiamo, che dovrebbero essere oggetto di attenti controlli dell’industria alimentare.
Ma da cosa dipende la formazione di questi idrocarburi e la concentrazione nei cibi? Da diversi fattori che dipendono da come viene effettuato il processo di affumicatura:

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  • maggiore è l’areazione dell’ambiente e la distanza tra alimento e fumo e minore sarà la quantità che si depositerà su di esso;
  • minore è la temperatura con cui viene eseguita l’affumicatura e minore sarà la presenza nell’alimento.

Una soluzione a basso costo per i produttori alimentari – dichiarando in etichetta “aroma di affumicatura” – è l’uso del fumo liquido, una soluzione aromatizzata prodotta dalla combustione di legni selezionati, il cui fumo è condensato con acqua fredda, depurato e opportunamente filtrato. Il fumo liquido così ottenuto può essere iniettato direttamente nell’alimento oppure con le tecniche di immersione e nebulizzazione. Il risultato è comunque il colore e l’aroma molto simile a quello del cibo naturalmente affumicato.
Fin qui le tecniche utilizzate. Ma quali sono le più sicure per evitare di trovarsi nel piatto i pericolosi idrocarburi policiclici?

Le nostre analisi su salmone, e salumi affumicati

I laboratori del Gruppo Maurizi hanno realizzato per il Salvagente uno studio per valutare eventuali differenze nel contenuto di Ipa tra prodotti affumicati e trattati con fumo liquido. I risultati li trovate nel numero in edicola del giornale ma vale la pena anticipare che  il campione di cubetti di pancetta in cui viene utilizzato l’aroma di affumicatura ha fornito tutti valori inferiori al limite di quantificazione del laboratorio (che è pari ad 0,1 µg/Kg, in tabella indicato come “non rilevabile”) a conferma della maggiore sicurezza nell’impiego della metodica del fumo liquido. In particolare, a parità di tipologia di alimento per quella affumicata con fumo di faggio notiamo la presenza di Benzo(a)pirene e Benzo(b)fluorantene.
A parità di tipo di affumicatura possiamo invece notare alcune differenze:

  • il salmone ha valori conformi a quelli previsti dal Regolamento europeo e la spiegazione potrebbe essere legata all’utilizzo di temperature più basse rispetto a quelle utilizzate per gli insaccati;
  • il guanciale e la coppietta hanno fatto segnare valori al di sopra dei tenori massimi consentiti. In particolare entrambi gli alimenti sono stati analizzati interi, cioè comprensivi di cotica o di buccia. Questo può farci dedurre che essendo l’affumicatura una tecnica che interessa la parte superficiale dell’alimento, la deposizione degli Ipa potrebbe concentrarsi sulla parte esterna mentre gli aromi, che costituiscono la frazione volatile del fumo, riescono a penetrare.

I dati ottenuti evidenziano come la temperatura, il tipo di cibo e il diverso trattamento di affumicatura a cui viene sottoposto possono variare i livelli di idrocarburi aromatici contenuti.

Meglio il fumo liquido?

Alla luce dei risultati è sempre consigliabile non eccedere nel consumo di alimenti affumicati, a prescindere dalla tecnica che utilizzano le aziende, cercando di limitare l’assunzione di quelli a base di carne. E, a dispetto di quanto si sarebbe portati naturalmente a pensare, in questo caso il metodo più naturale non sembrerebbe il più sano. Dalle nostre analisi emerge la sicurezza del trattamento con fumo liquido, identificabile in etichetta dalla dicitura “aroma di affumicatura”.
Può apparire una conclusione sorprendente per molti di noi, ma non stupisce gli addetti ai lavori come il nostro esperto Dario Vista. “No – ci spiega il tecnologo – non mi meraviglia affatto. Il fumo liquido è controllato e può più facilmente rispondere agli obblighi di legge e ai limiti stabiliti per le molecole più pericolose. In più anche dal punto di vista dei tempi di contatto la sicurezza è assicurata dalla possibilità di controllarli e limitarli”. Un metodo più accurato, spiega Vista: “Quantomeno l’azienda sa quanti e quali idrocarburi va a immettere nel processo di produzione, cosa che con il fumo convenzionale non può calcolare”.
Ma non è tutto. A favore di questa tecnica di affumicatura gioca, secondo gli esperti, anche un’altra considerazione. “Gli idrocarburi policiclici aromatici, molecole prevalentemente lipofile, ossia che si sciolgono nei grassi, in queste soluzioni hanno una reattività più blanda. Si formano dei legami chimici che rendono il fumo meno capace di persistere sull’alimento. E in questo modo, tra l’altro, le sostanze sono meno capaci di rimanere nella loro forma nativa. Nei test di laboratorio, dunque si vedono di meno”.
Non sarà, chiediamo, che gli idrocarburi policlici aromatici, si vedono di meno ma compaiono, magari sotto altre forme ugualmente preoccupanti? “Non credo – conclude Dario Vista – in quanto il fumo liquido in pratica lega attorno alla sua composizione, simile a quella a base di glicole del liquido di una sigaretta elettronica, le molecole che consideriamo preoccupanti, senza trasformarle ma rendendole un po’ più inerti. Dunque se dovessi dare un consiglio, oltre a quello, giusto, di non esagerare con gli alimenti affumicati, sarebbe certamente quello di preferire quelli che dichiarano fumo liquido”.