L’oro delle miniere illegali brasiliane finisce in Italia

AMAZZONIA ORO

L’oro estratto illegalmente nelle miniere della terra indigena Kayapó, in Brasile, ha alimentato la produzione di uno dei più grandi leader di metalli preziosi in Europa, un gruppo italiano specializzato nella raffinazione del minerale per la fabbricazione di gioielli e per la formazione di lingotti d’oro che sono custoditi nei caveau di banche svizzere, inglesi o americane. A dirlo è un’inchiesta di Reporter Brasil, che punta il dito su Chimet Spa, acronimo di Chimica Metallurgica Toscana, colosso con sede ad Arezzo che occupa la 44° posizione tra le aziende che guadagnano di più in Italia.  L’azienda nel 2020 ha registrato il fatturato più grande della sua storia: oltre 3 miliardi di euro con un aumento del 76% rispetto all’anno precedente.

Da dove nasce tutto

Tutto parte da un’inchiesta giudiziaria brasiliana. “Per arrivare al nome della raffineria italiana, la Polizia Federale ha indagato su una complessa organizzazione criminale di estrazione illegale, formata da decine di personaggi che lavorano nel sud del Pará e mantengono collegamenti con società con sede a San Paolo, Goiás e Rio de Janeiro – che, a loro volta, “lavano” (legalizzano tramite frode) ed esportano il metallo”, scrive Rp.

L’operazione Terra desolata

Lo schema è stato messo a nudo nell’ottobre dello scorso anno con l’Operazione Terra Desolata, quando sono stati emessi 12 mandati di arresto e 62 mandati di perquisizione e sequestro, oltre al blocco di circa 90 milioni di euro dai conti indagati. Tre mesi dopo l’operazione, tutti i detenuti sono stati rilasciati in attesa di giudizio.

La storia di Chimet

Chimet nasce negli anni ’70 da un ramo di Unoaerre, altro leader del settore in Italia e azienda quasi centenaria, che afferma di essere responsabile della produzione del 70% delle fedi nuziali vendute nel Paese. I due sono attualmente controllati dalla stessa famiglia, Squarcialupi, e hanno sede ad Arezzo, città che ha una tradizione millenaria nella produzione di gioielli. Descritta sul proprio sito web come un’azienda “rispettosa dell’ambiente” e titolare di certificati di sostenibilità “per la sua azione responsabile”, Chimet ha dichiarato a Repórter Brasil di acquistare sempre il metallo accompagnato da documenti che ne attestano l’origine legale.

La risposta di Chimet

Gli acquisti in questione sono stati sempre accompagnati da documentazione che attesti la lecita provenienza del metallo, come dimostrano anche le fatture del fornitore e le autorizzazioni all’esportazione, oltre ai documenti doganali, siano essi brasiliani o italiani”, ha affermato in una nota. Tuttavia, la società ha riconosciuto “il rischio che effetti negativi possano essere associati al commercio e all’esportazione di minerali da aree ad alto rischio”.  Quando avvengono frodi, le fatture che dichiarano l’origine del minerale sono su carta, compilate dal venditore, che può facilmente mentire sul luogo da cui è stato estratto il metallo. “Purtroppo l’oro illegale è una realtà sul mercato europeo. Le aziende hanno questa doppia faccia, acquistano oro da fonti illegali per raggiungere determinati standard internazionali di quantità produttiva”, spiega a RB, Nunzio Ragno, presidente di A.N.T.I.C.O., acronimo di Associazione italiana per la tutela del settore orafo.

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La filiera ricostruita

Secondo la polizia brasiliana, Chimet acquisisce il prodotto dalla brasiliana CHM, in un rapporto di partnership “costituito da decenni” attraverso l’italiano Mauro Dogi e suo figlio Giacomo, che vivono in Brasile. Entrambi sono partner di CHM e sono indagati per il commercio illegale di minerali. Sono descritti dagli investigatori come “i principali beneficiari di oro illegale proveniente dalle terre indigene della regione”. Mauro Dogi era un tempo impiegato Chimet presso il suo stabilimento di Arezzo. Tra settembre 2015 e settembre 2020, Chimet ha pagato a CHM do Brasil l’equivalente di 317 milioni di euro per l’acquisizione di circa una tonnellata di metallo. L’azienda europea sostiene che questo volume è irrilevante rispetto al totale – 70 tonnellate – lavorato annualmente negli stabilimenti del gruppo. CHM, a sua volta, ha acquistato il metallo da Cooperouri (Cooperativa de Garimpeiros e Mineradores de Ourilândia e Regione) che, secondo la Polizia Federale, estrae oro dal territorio indigeno. A titolo di prova, la polizia informa che la società fondata da Dogi ha effettuato alla cooperativa 25 depositi, per un totale due milioni di euro in un periodo di un anno (tra il 2019 e il 2020).

Cooperouri, il fornitore sul loco

Oltre ad estrarre minerale da aree illegali, secondo la polizia brasiliana, Cooperouri acquisisce anche il metallo da minatori e intermediari illegali che operano nella stessa regione: 42 milioni di euro sono stati trasferiti a questi fornitori tra settembre 2015 e settembre 2020. Secondo RB, CHM agisce anche come esportatore di oro illegale. L’inchiesta sottolinea che le esportazioni avvengono “su voli privati, all’insaputa delle autorità competenti, senza passare per il Sistema Integrato del Commercio Estero (Siscomex)”.

I rapporti tra Chimet e CHM

Riguardo CHM, Chimet, tramite l’avvocato Roberto Alboni, ha affermato che Mauro Dogi ha lavorato presso la sede italiana per cinque anni, dal 1990 al 1995, facendo intendere che non è una persona che mantiene un rapporto con gli alti livelli dell’azienda. La società ha anche contestato le informazioni citate nell’inchiesta brasiliana: ha affermato che il suo rapporto con CHM do Brasil è durato “da quattro a cinque anni”, interrotto lo scorso ottobre dopo la notizia dell’operazione effettuata dalla Polizia Federale (e non decenni , come sostiene l’inchiesta).

La difesa di CHM

In una dichiarazione, CHM ha negato di aver acquisito oro da terre indigene e ha affermato che le sue acquisizioni sono state effettuate “da cooperative in grado di estrarre nelle rispettive aree, che hanno sempre presentato la documentazione legalmente richiesta e necessaria per svolgere le loro attività”. La società ha confermato che il minerale acquistato è destinato a gruppi esteri e ha affermato che “tutto l’oro acquistato sul mercato interno viene controllato dall’Agenzia delle Entrate e dalla Polizia Federale durante il processo di esportazione”. Le attività della società, secondo i suoi legali, sono temporaneamente sospese. Repórter Brasil ha cercato di contattare la direzione di Cooperouri, ma l’avvocato responsabile della difesa della cooperativa e uno dei suoi direttori, Douglas Alves de Morais, non hanno risposto alle domande inviate dal rapporto.

Inchiesta difficile

Una delle difficoltà di questo tipo di indagine è il fatto che l’oro brasiliano viene “lavato”, cioè “legalizzato” in Brasile prima dell’esportazione. Poiché esiste un documento che certifica che si tratta di metallo presumibilmente legale e lecito, il problema diventa di competenza delle autorità brasiliane, sfuggendo all’attribuzione delle autorità italiane.

Le garanzie di Chimet e Unoaerre

Sia Chimet che Unoaerre hanno certificati di buona pratica da organizzazioni come il Responsible Jewellery Council con sede a Londra, che ha sviluppato una linea guida per il settore al fine di osservare la legalità dell’oro e la conservazione dei diritti umani, anche durante la sua estrazione. Sono ancora soggette a un regolamento approvato dal Parlamento Europeo nel 2017 che impone il controllo obbligatorio sulle fonti di metalli preziosi originari al di fuori dell’Unione Europea e acquistati da una società con sede in Europa.