Sulle tracce del (vero) aceto balsamico: la nuova inchiesta di Altreconomia

ACETO BALSAMICO

Preoccupati a cercare di neutralizzare l’offensiva estera (la norma slovena che consente la produzione di un aceto balsamico locale) abbiamo sottovalutato il rischio che nel nostro paese corre l’Aceto balsamico tradizionale di Modena e Reggio Emilia (un prodotto a denominazione di origine controllata) minacciato dal “cugino” Aceto balsamico di Modena (Abm), che dal 2009 può rivendicare l’Indicazione geografica protetta (Igp). È di questa minaccia sottovalutata che si occupa il numero di dicembre di Altreconomia (che si può acquistare qui) con un’inchiesta curata da Luca Martinelli che ha fatto chiarezza su un mercato, quello dell’Abm che vale un miliardo di euro (soprattutto in export).

Un mercato da capogiro che, però, ha dimenticato la vera ricetta dell’aceto balsamico. Mentre il “disciplinare di produzione (dell’Aceto balsamico Dop ndr) è molto vincolante” si legge nell’inchiesta dove “l’unico ingrediente ammesso è il mosto cotto; le uve devono appartenere a sette varietà -Lambrusco, Ancellotta, Trebbiano, Sauvignon, Sgavetta, Berzemino e Occhio di Gatta- ed essere coltivate nella zona di produzione; l’affinamento deve durare almeno 12 anni“, “il disciplinare dell’Igp, approvato nel 2009, è invece un’altra cosa: si tratta di un “balsamico a metà”. Innanzitutto, questo disciplinare prevede “tra gli ingredienti, il mosto cotto -prodotto con le sette varietà di uva tradizionale- ma anche quello concentrato, ottenuto mediante la separazione della parte liquida, ma che non ha necessariamente origine locale. Nella ricetta figura anche l’aceto di vino, che si ottiene con procedimenti industriali in 24/48 ore. In più, può essere aggiunto caramello (fino al 2%) ed è previsto l’uso di un’aliquota indefinita di “aceto vecchio di almeno dieci anni”. Soprattutto, l’affinamento dura 60 giorni, cioè appena due mesi, ed è l’unica parte del processo produttivo che deve svolgersi per forza nelle province di Modena o Reggio Emilia”.

Ora, è lecito chiedersi – come ha fatto Altreconomia – la provenienza del mosto concentrato. E a chi rivolgersi se non al Consorzio e all’ente di certificazione Csqa (csqa.it) informazioni circa la provenienza dei mosti. “Il primo – si legge – ci ha risposto che “il Consorzio non dispone di questi dati”. Il secondo che “il Csqa non verifica la provenienza geografica delle materie prime”, aggiungendo che “oggi la totalità del mosto utilizzato per la produzione di Aceto balsamico di Modena ha provenienza italiana”. Niente è dato sapere, invece, sulla provenienza degli altri aceti (quello di vino e quello di vino invecchiato) ammessi nel disciplinare”. Insomma ancora una volta ci troviamo di fronte ad uno strano modo di proteggere le nostre eccellenze che danno lustro all’Italia all’estero mentre siamo sempre pronti a gridare al pericolo straniero.