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Gli integratori alimentari sono oramai un classico degli armadietti degli italiani. Che si tratti di assumere vitamine, minerali, Omega 3 o altri micronutrienti, nel nostro paese si ricorre sempre più spesso a compresse e capsule che compensino quello che non riusciamo a ottenere (a volte per pigrizia) dalla nostra dieta quotidiana.
Un popolo “integrato”
Stiamo diventando come gli statunitensi, che ogni anno spendono 8 miliardi di dollari per questi supplementi? Forse in proporzione gli italiani fanno anche di più, se si considera che con più di 3,2 miliardi di euro spesi ogni anno il nostro paese è al primo posto come quota del mercato europeo (23%), seguita da Germania (13%), Francia (9%) e Regno Unito (8%). In totale, sono 32 milioni gli italiani che fanno uso di integratori alimentari. Tra questi, circa 18 milioni li usano tutti i giorni, mentre più di 4 milioni qualche volta al mese. Gran parte degli utilizzatori, pari al 62,8%, ha un’età compresa tra i 35 e 64 anni, mentre il 60,5% sono donne.
Un popolo, insomma, che ricorre all’integrazioni per stare meglio. A volte ignorando, come dimostra la storia di copertina di questo numero del Salvagente, che in una parte importante degli integratori viene ancora utilizzato il biossido di titanio, colorante più che sospetto di danneggiare il Dna.
E non solo. Quanti ipotizzerebbero che le compresse colorate a cui affidano un ruolo sempre più importante della loro salute o della prevenzione delle malattie rischiano di fare inutilmente il loro viaggio nel nostro organismo senza “liberare” nessuna delle sostanze utili che promettono di regalarci? Insomma che come le assumiamo così, assolutamente intatte, le evacuiamo?
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La ricerca choc sugli integratori
È uno dei risultati del test che ha condotto la professoressa Fabiana Quaglia, ordinario di Tecnologia e legislazione farmaceutiche all’Università degli studi di Napoli Federico II, dipartimento di Farmacia laboratori di Tecnologie farmaceutiche. Lo studio, che il Salvagente può presentare in esclusiva, mostra come solo la metà dei campioni analizzati simulando il transito intestinale abbia davvero svolto la sua funzione, in tre casi su sei – come si direbbe volgarmente – “così come sono entrati sono usciti”. In sostanza non sono serviti assolutamente a nulla e di certo non hanno rilasciato i micronutrienti che contenevano.
Spiega la professoressa: “Le compresse più diffuse negli integratori alimentari sono rivestite e non. Le non rivestite possono essere monostrato o multistrato. Le rivestite, invece, sono ricoperte con uno o più strati di miscele di varie sostanze; il rivestimento ha diversi scopi tra cui quello di proteggere i principi attivi dalla degradazione, favorire la deglutizione oppure modificare il rilascio del principio attivo in termini di spazio e tempo. In quest’ultima categoria rientrano le compresse gastroresistenti, concepite per resistere al fluido gastrico e rilasciare i principi attivi nel fluido intestinale”.
Aggiunge Fabiana Quaglia: “Le compresse devono necessariamente disaggregarsi in un mezzo acquoso in un arco di tempo definito per permettere la liberazione di quanto contengono e il loro assorbimento nel tratto gastrointestinale. La scelta degli eccipienti e le modalità di produzione sono essenziali al fine di garantire la disaggregazione e la performance del prodotto”.
La legge che non c’è
Fin qui parrebbe ovvio: per svolgere il loro ruolo, gli integratori debbono sciogliersi, perfino banale. Quello che è meno noto è che la legislazione europea sugli integratori alimentari non preveda alcun obbligo di un test sulla capacità di queste compresse di disgregarsi. “Le farmacopee indicano come valutare la disaggregazione in vitro, le condizioni sperimentali da adottare per l’esecuzione del saggio nonché il tempo massimo in cui il processo di disaggregazione deve concludersi” spiega la docente. E aggiunge: “Sebbene per gli integratori alimentari non vi siano controlli tecnologici obbligatori sul prodotto finito, la United States Pharmacopeia (Usp) riporta un saggio di disaggregazione/dissoluzione per questi prodotti in compresse e capsule a base di vitamine-minerali, botanicals e loro combinazioni e le specifiche del tempo di disaggregazione. L’esito di questo saggio può essere indicato sul confezionamento del prodotto e garantisce che gli attivi contenuti nella compressa possano essere assorbiti”.
In laboratorio
Dato che in Europa questo non avviene e in etichetta non c’è alcuna indicazione per i consumatori, la professoressa Quaglia ha deciso di mettere alla prova sei integratori, scelti tra multivitaminici, prodotti che apportano aminoacidi, oli essenziali e “botanicals” (a base di alghe).
Per questa prova ha scelto lo standard che si utilizza per il test sui medicinali. L’apparecchiatura – un Disgregatore Erweka – è composta da un cestello porta tubi, da un becher cilindrico basso, della capacità di un litro e destinato a contenere il liquido di immersione, da un sistema termostatico che permetta di mantenere il liquido ad una temperatura compresa tra 35 e 39°C e da un dispositivo per alzare ed abbassare alternativamente il cestello nel liquido di immersione ad una frequenza costante.
Nella prova si introduce, in ciascuno dei sei tubi del cestello, una compressa e si mette in funzione l’apparecchio. Trascorso il tempo indicato, si solleva il cestello dal liquido e si esamina lo stato degli integratori. Tutte le unità devono essere completamente disaggregate. Se una o due unità non sono disaggregate, si ripete il saggio su ulteriori dodici unità. I requisiti del saggio sono soddisfatti se almeno sedici delle diciotto unità sottoposte al saggio sono disaggregate.
“I produttori devono intervenire”
“Posso fare una promessa ai consumatori: porterò questo lavoro alla prima assemblea degli associati, lo distribuirò a tutti e porrò il tema per sensibilizzarli su un problema che ritengo molto importante”. Germano Scarpa (Biofarma Group) è stato eletto lo scorso gennaio per la terza volta alla presidenza di Federsalus, l’associazione che rappresenta l’intera filiera del mercato degli integratori alimentari. A lui abbiamo mandato i risultati della ricerca effettuata dalla professoressa Fabiana Quaglia e nell’intervista che ci ha voluto concedere e che pubblichiamo nell’inchiesta del numero in edicola, non si è nascosto dietro un dito, non ha cercato di minimizzare i problemi, tutt’altro.
Scarpa ha aggiunto: “Dobbiamo distinguere innanzitutto tra compresse e capsule – ci spiega Scarpa -, le capsule sono involucri di gelatina prodotti esclusivamente da grandi multinazionali con tutti i controlli del caso. Dunque certamente si disgregano. Le compresse, invece, se non vengono prodotte con buone tecniche di galenica farmaceutica corrono il rischio evidenziato in questa ricerca”.
Falsa sicurezza
L’analisi ha mostrato che gli integratori alimentari in compresse attualmente commercializzati, non sono sempre in grado di disaggregarsi in un fluido acquoso. In sostanza in tre casi su sei queste compresse non avrebbero avuto nessun effetto su chi le avesse assunte, se non quello placebo. Con qualche rischio legato al passaggio nell’intestino? Tranquillizza la gastroenterologa Filomena Morisco, Professore Ordinario di Gastroenterologia e Direttore della Scuola di Specializzazione in Malattie dell’Apparato Digerente Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia dell’Università di Napoli Federico II: “Tenderei a escluderlo in un soggetto sano. Nei soggetti con la presenza di una stenosi intestinale l’ingestione di compresse che non disaggregano può creare almeno in via teorica complicanze quali l’occlusione intestinale. Dal momento che la presenza di stenosi intestinali può favorire questa complicanza, condizioni che possono causare stenosi del tratto gastrointestinale (malattia Crohn, presenza di aderenze in seguito a precedenti interventi laparotomici) potrebbero essere a rischio. Altre controindicazioni potrebbero essere la presenza di diverticoli e in particolare dei diverticoli ad ampio colletto o del diverticolo di Zenker”.
Resta il problema, questo sì per tutti, che la falsa sicurezza di assumere un integratore senza sapere che non ha alcun effetto potrebbe davvero influenzare la nostra salute.
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