Scampi alla griglia in plastica, zuppa di scorfano alla plastica, acciughe e sgombri al forno con plastica. Questo sembra essere il menù degli italiani questa estate. La plastica non ce la mangiamo, perché si concentra nell’intestino e il pesce abitualmente lo consumiamo eviscerato, ma l’allarme rimane e non va in alcun modo sottovalutato.Il 35% dei pesci e degli invertebrati raccolti nel Mar Tirreno centrale, durante il tour MAY DAY SOS Plastica condotto nella primavera dello scorso anno, aveva ingerito infatti fibre tessili e microplastiche (ovvero frammenti di dimensioni inferiori ai 5 millimetri). Le frequenze maggiori di ingestione in specie provenienti dalle isole dell’Arcipelago Toscano, nell’area del Santuario dei Cetacei.È quanto emerge dai risultati della ricerca diffusa oggi da Greenpeace insieme all’Università Politecnica delle Marche (UNIVPM) e all’Istituto per lo studio degli impatti antropici e sostenibilità in ambientemarino (IAS) del Cnr, il Consiglio nazionale delle ricerche di Genova in cui sono stati esaminati in laboratorio oltre 300 organismi rappresentativi di diverse specie di pesci e invertebrati consumati abitualmente sulle nostre tavole come cozze, scampi, scorfani, acciughe e sgombri.I dati diffusi oggi mostrano un lieve peggioramento delle frequenze di ingestione di microplastiche (35%) rispetto a quelle osservate durante la precedente campagna effettuata nel 2017 (30%) e a quella riferita agli organismi del Mar Adriatico (27%). La ricerca ha evidenziato le frequenze di ingestione di microplastiche più elevate (fino al 75% degli organismi) nei campioni provenienti dalle isole dell’Arcipelago toscano, nell’ordine Giglio, Elba e Capraia, mentre le frequenzepiùbasse sono state riscontrate nei campioni raccolti in Sardegna e limitrofe al porto di Olbia.Inoltre, l’analisi di pesci, rappresentativi di diversi habitat, ha permesso di evidenziare che le specie demersali (ad esempio gallinella, scorfano, pagello fragolino, razza), che hanno una stretta relazione con l’ambiente di fondo dove si alimentano, presentano le frequenze di ingestione di microplastiche maggiori (75-100%) rispetto alle specie pelagiche, in quasi tutti i siti indagati.”I dati diffusi oggi – commentano gli autori della ricerca – confermano la presenza di microplastiche in specie marine che consumiamo quotidianamente. Il Santuario dei Cetacei è interessato da questa minaccia, in misura anche maggiore di altre aree campionate. D’altronde, a distanza di cinque anni, decine di tonnellate di rifiuti in plastica si trovano ancora su questi fondali. Il rischio è che le balle si deteriorino, trasformandosi in microplastiche e aggravando la contaminazione. Bisogna intervenire subito per rimuoverle“.