Approfondiamo la questione sui richiami delle bacche di goji, una storia che va avanti da più di due mesi, quando è stato scoperto il primo lotto contaminato. E che ha continuato a essere protagonista di costanti richiami fino a oggi (qui la lista completa). E lo facciamo col dottor Giorgio Paolo Manco, tecnologo alimentare esperto in Sistemi di Gestione della Qualità e della sicurezza alimentare.
Qual è lo stato dell’arte della filiera italiana ed europea delle bacche di goji e degli altri “superfood”?
Il goji che viene consumato in Europa oggi proviene per lo più dalla Cina, dove i residui fissati dalle autorità per la sicurezza alimentare spesso sono più alti di quelli europei, senza contare i conservanti utilizzati e i metodi di essiccazione svolti in condizioni ambientali ed igieniche che favoriscono lo sviluppo di micotossine (aflatossine) o contaminazione da salmonella. Sono comunque numerosi i richiami che interessano i cosiddetti superfood: melograno dalla Turchia con residui di pesticidi fuori norma, sesamo dal Sudan con contaminazione da salmonella, zenzero dalla Cina con alti valori di aflatossine e residui di pesticidi, curcuma con salmonella, aflatossine e pesticidi. Quindi i prodotti identificati come nutraceutici invece di far bene, in questi casi, possono nuocere alla salute.
In Europa e soprattutto in Italia i produttori si stanno spingendo verso la produzione locale di superfood (melograno, goji, avocado, etc…) con metodi biologici o con agricoltura integrata, quindi i consumatori possono trovare prodotti italiani migliori dal punto di vista della sicurezza alimentare.
Come funziona in modo semplificato un Sistema della Gestione della Qualità e dei richiami dei prodotti alimentari che possono costituire un pericolo per la salute del consumatore?
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Quando c’è il sospetto che alcuni alimenti in commercio siano pericolosi per la salute, le aziende e le autorità sanitarie mettono in atto il sistema delle allerte alimentari.
Le allerte possono partire direttamente dalle aziende mediante i controlli di ruotine effettuati nell’applicazione dell’HACCP, oppure da prelievi effettuati dalle ASL durante i controlli ufficiali o da segnalazioni di consumatori o da casi clinici dovuti a episodi di intossicazioni e infezioni.
Quindi, effettuate le relative verifiche (analisi), le aziende possono agire tramite un “ritiro”, interrompendo la commercializzazione del lotto dell’alimento pericoloso e altri lotti che contengono l’ingrediente incriminato o tramite un “richiamo” che viene effettuato quando il prodotto è già sugli scaffali o nelle case dei consumatori. In questo caso il produttore è obbligato alla notifica all’ASL di competenza che, una volta acquisito l’elenco dei punti vendita, lo segnalerà al ministero della Salute, che a sua volta avvertirà le altre ASL. In caso di vendita fuori nazione il ministero segnalerà l’allerta al RASFF (Sistema Europeo di allerta rapida per le emergenze alimentari). Gli strumenti per il richiamo utilizzati sono cartelli presso i punti vendita, tv, giornali, sito del ministero e altri strumenti.
Nel caso in esame però è evidente che qualcosa non ha funzionato. Di chi è la responsabilità?
I richiami sono effettuati solo sui lotti di prodotti finiti segnalati, quindi con ogni probabilità le autorità sanitarie non hanno fatto un’indagine a monte al fine di individuare il distributore italiano di questa partita e quindi individuare rapidamente tutte le aziende che hanno acquisito e commercializzato questa materia prima. Con ogni probabilità i richiami del 04/02 non hanno nulla a che vedere con quelli dall’11 marzo in poi che comunque sono sul mercato da quasi un mese. Quindi, il problema principale, non è tanto del nostro sistema di allerta, ma nella fattispecie dipende dal prodotto. Il Goji proveniente dalla Cina, coltivato con tecnica intensiva, ha molto spesso residui di fitofarmaci sopra la norma o residui di prodotti chimici non ammessi, oltre a presentare altri pericoli come aflatossine, contaminazione da salmonella, etc… Solitamente tutti i prodotti di importazione, in particolar modo i cosiddetti “superfood” (zenzero, curcuma, etc…) hanno problemi di sicurezza alimentare quindi sarebbe consigliabile mangiare prodotti freschi italiani .
Come sarebbe dovuta andare per evitare una così lunga permanenza sul mercato di questi prodotti non conformi?
Le autorità sanitarie avrebbero dovuto effettuare l’indagine fin dal primo momento a monte della filiera. Fidiamoci comunque del nostro sistema di allerta e consumiamo prodotti italiani di stagione.